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Invece la Corte EDU è competente in ogni caso in cui vi sia una violazione dei diritti sanciti dalla CEDU.
Questo si può notare in un caso che è stato sottoposto a entrambe le Corti e ha portato a due sentenze
differenti. L'oggetto delle sentenze consisteva nell'attività di alcune associazioni studentesche irlandesi, che
avevano iniziato a diffondere dei volantini con cui veniva pubblicizzata l'attività di alcuni cliniche britanniche
che praticavano l'aborto (mentre in Italia tale pratica era vietata). Le autorità irlandesi avevano vietato
questa attività in quanto contraria alla legge irlandese; per questo le associazioni in questione si erano rivolte
alla Corte di giustizia per chiedere se questo divieto fosse o meno contrario alla libertà di espressione. In
particolare queste associazioni vedevano la loro attività come conforme ai principi dell'UE e si rivolgevano
alla Corte di giustizia perché la questione andava oltre le frontiere irlandesi. La Corte di giustizia però, con la
sentenza Grogan, dice di non potersi occupare della questione perché non legata alle competenze dell'UE in
tema di libera prestazione dei servizi: infatti il legame tra l'attività di volantinaggio e l'attività di prestazione
del servizio di aborto nelle cliniche britanniche è troppo labile. La questione viene dunque sottoposta alla
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Corte EDU, la quale invece può occuparsene perché l'Irlanda è uno Stato membro vincolato alla CEDU: nella
sentenza Open door (nome diverso) la Corte EDU dice che l'attività delle associazioni studentesche, oltre a
costituire esercizio della libertà di espressione, è anche collegata alla tutela della donna perché dà
informazioni su strutture sicure dove praticare l'aborto, quindi effettivamente c'è una violazione della CEDU
da parte delle autorità irlandesi.
Un altro esempio di soluzioni differenti delle due Corti riguarda invece il settore della concorrenza. In materia
di concorrenza in particolare la Commissione ha poteri estremamente incisivi nei confronti delle imprese,
come ad esempio dei grandi poteri di indagine. Il problema era se il potere della Commissione di ispezionare
i locali delle imprese potesse contrastare o no con l'art. 8 della CEDU, che tutela la vita privata e il domicilio.
Anche in questo caso le sentenze sono diverse → la Corte di giustizia risponde con la sentenza Deutsche
Vahn AG v. Commissione, nella quale ha bilanciato il diritto alla privacy con la tutela della concorrenza: essa
dice che l'art. 8 tutela il domicilio privato, non quello delle imprese, quindi non sarebbe ammissibile che la
Commissione effettuasse ispezioni ad es. nel domicilio privato dell'amministratore dell'impresa; invece i locali
dell'impresa non sono ritenuti “domicilio” ai sensi dell'art. 8, quindi nel caso di specie prevale la tutela della
concorrenza. La sentenza viene impugnata presso la Corte EDU che, non avendo problemi di bilanciamento,
si disinteressa della concorrenza e dà una soluzione opposta: nella sentenza Colas est dice che l'art. 8 copre
anche il domicilio delle imprese, quindi se l'ispezione non rispetta certi parametri è contraria alla CEDU.
Vi sono infine altre due sentenze della Corte EDU che mettono in luce il problema costituito dal fatto che l’UE
non è parte della CEDU, della quale fanno parte solo gli Stati membri: quando c'è incompatibilità tra obblighi
derivanti dall'UE e obblighi derivanti dalla CEDU, uno Stato membro può trovarsi a dover rispettare due
obblighi contrastanti tra loro (derivanti l'uno dalla Carta e l'altro dalla CEDU). Innanzitutto la prima sentenza
è la sentenza Matthews 1999, che riguardava il problema dell'estensione del diritto a partecipare alle elezioni
del Parlamento europeo anche ai cittadini di Gibilterra → infatti l'atto del 1976 che ha previsto l'elezione a
suffragio universale diretto del Parlamento è stato adottato dal Consiglio con l'approvazione degli Stati
membri, ed ognuno di tali Stati ha specificato a quali suoi territori estendere le elezioni europee. In tale
occasione il Regno Unito aveva detto che le elezioni non si sarebbero svolte a Gibilterra. Però un soggetto
residente a Gibilterra si è rivolto alla Corte EDU sostenendo che la privazione del diritto di partecipare alle
elezioni europee fosse in contrasto con il protocollo n.3 della CEDU, il quale dice che le parti contraenti (Stati
membri) si devono impegnare a organizzare periodicamente libere elezioni sul proprio territorio. La Corte
EDU dice che in realtà questa situazione è stata creata dal Regno Unito con l'atto del '76, perché tale atto è
stato adottato all'unanimità degli Stati membri: se il Regno Unito non fosse stato d'accordo, avrebbe potuto
efficacemente opporsi alla decisione di escludere Gibilterra. In sostanza la Corte dice che, in quanto l' atto UE
del '76 di cui si mette in discussione la compatibilità con la CEDU è stato adottato con l'approvazione dello
Stato coinvolto, quest'ultimo può essere ritenuto responsabile: se il Regno Unito fosse stato attento alle
disposizioni del protocollo non ci sarebbe stato contrasto, quindi è responsabile di violazione della CEDU.
La seconda sentenza al riguardo è la sentenza Bosphorus 2005 (che ha adottato una soluzione strana, per
aiutare gli Stati): essa riguardava un provvedimento adottato dalle autorità irlandesi, le quali avevano
sequestrato un aereo di una compagna battente bandiera iugoslava per dare attuazione ad una decisione del
Consiglio di sicurezza dell'ONU che imponeva sanzioni nei confronti della Iugoslavia. Le autorità irlandesi in
particolare avevano applicato un regolamento dell'Unione adottato sulla base della delibera dell'ONU: l'UE era
vincolata ad adottare tale regolamento e l'Irlanda non avrebbe potuto opporsi. Secondo i ricorrenti però
questo regolamento era in contrasto col diritto di proprietà garantito dalla CEDU. In questo caso se la Corte
avesse condannato l'Irlanda avrebbe messo gli Stati in forte difficoltà: infatti si sarebbe trattato di una
condanna per aver rispettato un obbligo imposto dal diritto UE. Per questo la Corte EDU sceglie una
soluzione di compromesso: essa dice che non c'è stata nessuna violazione del diritto di proprietà, perché si
presume che nell'Unione ci sia un livello di tutela dei diritti fondamentali pari a quello della CEDU
(presunzione di equivalenza) → si dà per scontato che il regolamento abbia rispettato i diritti fondamentali.
Si tratta di una soluzione un po' forzata, presa per non mettere in difficoltà gli Stati membri.
Una soluzione possibile per questi problemi di contrasto sarebbe che l'Unione europea aderisse alla CEDU
(soluzione proposta ma mai realizzata) → nel caso Matthews infatti non sarebbe il Regno Unito ad essere
portato davanti alla CEDU e da essa condannato, ma l’Unione europea, perché è da questa che proviene il
regolamento: invece allo stato attuale delle cose il regolamento non può essere impugnato davanti alla CEDU
in quanto atto dell'Unione, mentre invece può essere condannata la condotta del Regno Unito (perché esso
fa parte della Convenzione). Comunque i tentativi di far aderire l'Unione europea alla CEDU sono sempre
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falliti → il primo si è avuto nel 1979, quando la Commissione portò la proposta davanti al Consiglio; tale
proposta era motivata anche dal fatto che l'Unione stesse iniziando a inserire delle clausole di compatibilità
coi diritti fondamentali anche negli accordi con Stati terzi. Se allora fosse avvenuta l'adesione, i problemi che
ci sono oggi non si sarebbero nemmeno posti perché non sarebbero nati due sistemi paralleli. Tuttavia, di
fronte alla proposta della Commissione, la House of Lords inglese diede un parere negativo e la proposta fu
abbandonata. Dopodiché negli anni '90 ci fu un secondo tentativo della Commissione, fondato questa volta
sull'art. 352 (clausola di flessibilità); la Commissione dice che, pur non essendoci una norma nei trattati
secondo cui l'Unione può aderire alla CEDU, si può usare l'art.352 come base giuridica. In questo caso, prima
di concludere l'accordo di adesione, la Commissione ha chiesto un parere alla Corte di giustizia: questa ha
risposto che il progetto non era compatibile coi trattati in quanto in questo contesto l'art. 352 sarebbe servito
per apportare modifiche sostanziali e compiere un salto qualitativo nel procedimento di integrazione.
Una soluzione possibile per questi problemi di contrasto sarebbe che l'Unione europea aderisse alla CEDU
(soluzione proposta ma mai realizzata) → nel caso Matthews infatti non sarebbe il Regno Unito ad essere
portato davanti alla CEDU e da essa condannato, ma l’Unione europea, perché è da questa che proviene il
regolamento: invece allo stato attuale delle cose il regolamento non può essere impugnato davanti alla CEDU
in quanto atto dell'Unione, mentre invece può essere condannata la condotta del Regno Unito (perché esso
fa parte della Convenzione). Comunque i tentativi di far aderire l'Unione europea alla CEDU sono sempre
falliti → il primo si è avuto nel 1979, quando la Commissione portò la proposta davanti al Consiglio; tale
proposta era motivata anche dal fatto che l'Unione stesse iniziando a inserire delle clausole di compatibilità
coi diritti fondamentali anche negli accordi con Stati terzi. Se allora fosse avvenuta l'adesione, i problemi che
ci sono oggi non si sarebbero nemmeno posti perché non sarebbero nati due sistemi paralleli. Tuttavia, di
fronte alla proposta della Commissione, la House of Lords inglese diede un parere negativo e la proposta fu
abbandonata. Dopodiché nel 1990 ci fu un secondo tentativo della Commissione, fondato questa volta
sull'art. 352 (clausola di flessibilità); la Commissione dice che, pur non essendoci una norma nei trattati
secondo cui l'Unione può aderire alla CEDU, si può usare l'art.352 come base giuridica. In questo caso, prima
di concludere l'accordo di adesione, la Commissione ha chiesto un parere alla Corte di giustizia: questa ha
risposto che il progetto non era compatibile coi trattati in quanto in questo contesto l'art. 352 sarebbe servito
per apportare modifiche sostanziali e compiere un salto qualitativo nel procedimento di integrazione.
In particolare l'art. 6 par. 2 del Trattato di Lisbona sarebbe stata la base giuridica su cui l'Unione avrebbe
potuto fondare la sua adesione alla Convenzione (“L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non mo