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I DIRTTI POLITICI E SOCIALI

1. Partiti politici e democraticità dello Stato

Gli artt. 48 e 49 disciplinano rispettivamente il diritto di voto e i partiti politici.

Il riconoscimento delle libertà individuali (opinione, riunione, associazione, ecc.)

costituisce il presupposto per l'esercizio del diritto di voto.

Vi è una strettissima coessenzialità tra il partito politico, sovranità popolare e

democrazie. Se l'essenza della democrazia sta nel "principio inviolabile della sovranità

del popolo e nella presenza, con la massima approssimazione possibile, in ogni

momento temporale, del consenso dei governati nei confronti dei governanti", i partiti

politici sono il mezzo di collegamento tra le decisioni pubbliche e le scelte popolari, e

dunque costituiscono strumenti di attuazione della democrazia.

La Costituzione fa dei partiti il più rilevante strumento di partecipazione politica nelle

mani del popolo: l'art. 49 infatti recita, "tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi

liberamente in partiti politici per concorrere, con metodo democratico, a determinare la

politica nazionale".

La Costituzione pone i partiti a servizio dei cittadini. Secondo la norma costituzionale,

infatti, sono i cittadini e non i partiti a determinare la politica nazionale. O meglio lo sono

i cittadini attraverso i partiti, dal che consegue che questi ultimi costituiscono uno

strumento dei primi per esercitare le proprie scelte politiche.

I partiti politici sono definibili come organizzazioni della società civile, in quanto

espressione della libertà di associazione e non invece organi dello Stato.

2. I partiti politici: natura e disciplina legislativa

I partiti politici hanno dunque la natura di associazioni private, e in particolare rientrano

nella categoria delle associazioni non riconosciute previste nel cod. civ. La loro

organizzazione è infatti rimessa agli accordi tra i consociati, e quindi allo statuto del

partito che ne determina gli organi interni e il loro funzionamento, i diritti e i doveri degli

iscritti, gli obbiettivi e le finalità dell'associazione. Da questa qualificazione deriva

l'ulteriore conseguenza che il controllo giurisdizionale sulle delibere dei partiti può essere

effettuato alla luce dello statuto, secondo le regole che disciplinano le associazioni non

riconosciute.

Se dunque i partiti hanno natura privatistica, non può essere messo in discussione il loro

ruolo pubblico e costituzionale, anche in considerazione del fatto che, ad oggi, godono di

contributi pubblici, cosicché possono essere qualificati come soggetti privati esercenti

pubbliche funzioni. 184

3. Cenni alla c.d. "crisi dei partiti"

È noto che il modello di partito al quale faceva riferimento la Costituzione del 1948 non

esiste più.

I grandi partiti di massa che erano apparsi sulla scena politica a cavallo delle due grandi

guerre sono scomparsi. Il crollo delle ideologie, sancito dalla caduta del muro di Berlino,

e la progressiva perdita di valori generali di riferimento da parte della società, ha

ulteriormente accelerato la disgregazione dei grandi partiti che sulla ideologia o sui valori

ritenuti tendenzialmente universali si formavano.

Da allora si può dire che ci sono susseguiti vari modelli di partito che sono stati descritti

con nomi diversi dai politologi. Il partito-azienda, caratterizzato da una organizzazione di

partito che utilizza le metodologie aziendali per selezionare i rappresentanti e mira ad

ottenere il consenso attraverso operazioni di marketing; i partito persona, che si basa sul

sostegno, attraverso comitati, a leaders presenti in Parlamento; il partito "liquido" che

rifiuta qualunque ingabbiamento ideologico e programmatico per decidere, caso per

caso, in base a valutazioni contingenti del proprio leader.

Al di là delle definizioni, e delle indubbie differenze che esistono tra un modello e l'altro,

il tratto comune di queste "nuove" forme organizzative è dato dalla libertà dei leaders di

cambiare frequentemente la linea, per cercare di intercettare il rapido mutamento degli

interessi e finanche degli "umori" della società.

Se essi diventano ideologicamente interscambiabili e privi di un vero collante sociale,

non svolgono più la loro funzione fondamentale di sintetizzare e trasformare interessi

particolari in interessi omogenei sufficientemente generali e stabili.

Questa trasformazione produce vari effetti: in primo luogo essa amplifica ulteriormente lo

scollamento tra società e sistema istituzionale, poiché il collegamento stabile tra i due,

che costituisce la vera essenza della democrazia, viene a mancare. In secondo luogo

questa mancanza si ripercuote sulle istituzioni rappresentative, che sono guidate

attraverso comportamenti mobili, largamente imprevedibili, assai poco coerenti e quindi

anche, per forza di cose, inefficienti. In terzo luogo la inefficacia del partito politico viene

ribaltata dagli stessi sul sistema costituzionale, che sarebbe datato e non in grado di

garantire stabilità e coerenza di indirizzo, innescando dibattiti, perlopiù largamente

improvvisati, su ipotetiche riforme costituzionali.

4. Il diritto di voto

L'art. 48 disciplina il diritto di voto.

È attraverso il diritto di voto che il sistema delle libertà fondamentali diviene il

presupposto per l'esercizio di diritti politici, ed è ancora attraverso il diritto di voto che si

attua il 2° comma dell'art. 1 che afferma che "la sovranità appartiene al popolo che la

esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione".

La disciplina costituzionale del diritto di voto è delineata nell'art. 48, che al 1° comma

prevede che: "sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la

maggiore età". Questa norma disciplina il c.d. elettorato attivo, indicando due requisiti

per il suo esercizio: 185

- la cittadinanza italiana;

- la maggiore età.

Il requisito della cittadinanza non costituisce invero una novità per l'esercizio di diritti

costituzionali, perchè nella Costituzione vi sono altre norme che condizionano l'esercizio

di diritti alla sussistenza di questo requisito (ad esempio l'art. 16, 17 e 18).

Il requisito della maggiore età incontra il solo limite di cui all'art. 58, che prevede per il

senato l'età più elevata di 25 anni.

Il 2° comma dell'art. 48 determina altri principi che caratterizzavano il diritto di voto:

- il voto è personale, ed è dunque esclusa ogni ipotesi di voto per procura;

- il voto è eguale, secondo il principio democratico ogni testa un voto. Sono quindi

esclusi tutti i possibili sistemi di voto plurimo che attribuiscono ad una persona più di

un voto;

- 2

il voto è libero e segreto, esso dunque non è coartabile e vi sono regole per fare sì

che la segretezza del voto venga garantita;

- il voto è un dovere civico, volendosi con questa previsione indicare genericamente

come la partecipazione alla vita politica debba essere un impegno del cittadino. Come

si è già detto il

Coartabile: costretto a fare qualcosa dovere tuttavia non costituisce un obbligo, ed infatti

il non voto non è in alcun modo sanzionato e l'astensione è considerata implicitamente

un diritto;

- il voto non può essere limitato, se non per incapacità civile, sentenza penale

irrevocabile, ed indegnità morale indicati dalla legge. Questi requisiti sono poi

specificati dalla legge.

5. I sindacati

La Costituzione, all'art. 39, sancisce il principio che "l'organizzazione sindacale è libera",

affermando così il principio del pluralismo sindacale, in antitesi al sindacato unico di

matrice corporativa fascista.

Anche i sindacati, così come i partiti politici, costituiscono formazioni sociali ai quali la

Costituzione attribuisce funzioni di mediazione di interessi, portandolo su di un piano di

maggiore generalità.

Il ruolo dei sindacati è andato al di là della previsione costituzionale. La norma

costituzionale, infatti, era principalmente finalizzata alla stipula dei c.d. contratti collettivi

di lavoro: a norma del 4° comma dell'art. 39, i sindacati avrebbero dovuto stipulare

contratti collettivi di lavoro vincolanti per tutti gli appartenenti alla categoria alla quale il

contratto si riferisce.

La ratio della norma, nel contesto sociale di allora, era chiara: limitare il potere del

datore di lavoro di utilizzare la propria posizione di forza per imporre trattamenti diversi a

186

seconda del bisogno, tutelando pertanto in maniera egualitaria i lavorati a seconda delle

categorie di appartenenza.

I contratti collettivi, dunque, avrebbero dovuto essere fonti del diritto, in quanto dotati di

contenuto generale ed astratto e di efficacia erga omnes.

Perché i contratti avessero questo effetto, tuttavia, occorreva il possesso, in capo ai

sindacati dei requisiti previsti dalla Costituzione, e cioè:

- un ordinamento interno a base democratica;

- la registrazione;

- la personalità giuridica.

Alla norma dell'art. 39 tuttavia non è stata data attuazione per varie ragioni: inizialmente

a causa della elevata sindacalizzazione in Italia e della esistenza di sigle sindacali anche

molto piccole che avrebbero perso il proprio potere interdittivo, poi perchè la norma

costituzionale è stata ritenuta troppo rigida per contenere dinamiche contrattuali

flessibili. Quindi i sindacati non sono registrati e non hanno pertanto la personalità

giuridica, con la conseguenza che i contratti collettivi dei medesimi stipulati non

vincolano la intera categoria dei lavoratori alla quale il contratto si riferisce, ma

solamente gli iscritti al sindacato. Questo implica che oggi i contratti collettivi non

possono essere qualificati come fonti del diritto.

6. I principi costituzionali sulla tutela del lavoro

Il diritto al lavoro è posto tra i principi fondamentali della Costituzione (art. 4). Tale

principio generale è poi declinato nelle norme costituzionali che vanno dall'art. 35 all'art.

40, le quali costituiscono le basi del modello di Stato sociale delineato dalla

Costituzione. Queste disposizioni si pongono l'obbiettivo di riequilibrare posizioni ritenute

svantaggiate: il lavoratore nei confronti del datore di lavoro, la lavoratrice donna nei

confronti del lavoratore uomo, il lavoratore minore nei confronti del lavoratore non

minore. Questo riequilibrio si cerca di perseguirlo sia attraverso disposizioni che sono

direttamente applicabili, sia attraverso principi che impegnano e vincolano il legislatore

ad adottare norme attuative.

L'art. 35, ad esempio, costituisce una norma di principio che pone in capo alla

Repubbl

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A.A. 2018-2019
233 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/08 Diritto costituzionale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher GiacomoRiassuntiUniversitari di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto costituzionale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Bertolissi Mario.