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CAP IV LA COSTITUZIONE ECONOMICA

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La Costituzione economica tra diritto ed economia

La interpretazione della Costituzione economica deve essere effettuata alla luce delle norme di diritto

europeo, e partendo dalla considerazione che le norme che prevedono interventi dello Stato di tipo

programmatorio e che sembrano negare il modello dell'economia di mercato non sono mai state

utilizzate. Al contrario nel tempo state valorizzate non quelle norme costituzionali di natura

maggiormente libellista. La letteratura economica postula la possibilità dell'intervento dello Stato nelle

attività economiche provate nel caso dei c.d. fallimenti del marcato. Questi casi si verificano

allorquando il mercato non è in grado di produrre spontaneamente certi beni o quando, senza

intervento pubblico, produrrebbe una non corretta collocazione delle risorse. Nei casi di fallimento del

mercato lo Stato deve intervenire per produrre quel bene che altrimenti non verrebbe prodotto o per

ristabilire correttamente, attraverso norme giuridiche, gli equilibri tra le parti.

Il c.d. modello di economia mista delineato nella Costituzione

Nonostante queste premesse la Costituzione economica italiana non compie una scelta di fondo sulle

ipotesi nelle quali lo Stato può intervenire direttamente nei fatti economici. Non a caso essa è

normalmente qualificata come "mista", volendosi dire con questa espressione che le attività

economiche possono essere svolte sia da soggetti privati che da enti pubblici. In realtà, leggendo la

Costituzione economica (quegli articoli che vanno da n. 41, libertà di iniziativa economica al n. 47, la

tutela del risparmio), la prima impressione è che questo carattere "misto" sia però caratterizzato da

una particolare attenzione ai poteri di intervento dello Stato. Ad esempio nell'art. 41 la "legge

determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa

essere indirizzata e coordinata ai fini sociali"; nell'art. 42 la proprietà privata è riconosciuta e garantita

dalle legge e può essere espropriata nei casi previsti dalla legge. Nell'art. 43 la legge può riservare o

trasferire allo Stato determinate categorie di imprese. Questa esemplificazione mette in luce come la

Costituzione economica sia fortemente ispira all'idea che lo Stato, o in generale le istituzioni pubbliche,

dovessero avere un ruolo attivo nell'ambito delle questioni economiche, non solo correggendo, ma

anche indirizzando, e in certi casi finanche gestendo le dinamiche economiche. La Costituzione non

doveva essere basata né su di un modello di mercato "puro" né su un modello pianificatorio di tipo

socialista. Fatta questa scelta, il secondo grande punto di contatto sul quale tutte le parti alla fine

convenivano, era quello di consentire allo Stato di intervenire per correggere ed indirizzare le attività

economiche. Un punto di contatto fu allora trovato nell'obbiettivo, condiviso, di limitare il monopolio

privato, considerato tuttavia un pericolo principalmente per l'esercizio delle libertà politiche più che per

il buon funzionamento del sistema economico. Il modello generale della Costituzione economica del

1948 non è dunque né marcatamente statalista né certamente liberista. Si può dire che si tratta di una

Costituzione mista, sia perché le attività economiche possono essere svolte da soggetti privati e da

soggetti pubblici, sia perché, pur affermando in maniera molto forte la libertà di impresa e di iniziativa

economica, si prevede altresì la possibilità che la legge possa intervenire allorquando l'esercizio

dell’attività economica vada ad impattare con atri valori egualmente meritevoli di tutela. La

Costituzione non ha la pretesa di disciplinare un preciso modello economico di sviluppo. Ne esclude

certamente uno - il modello socialista dell'economia pianificata - ma nell'ambito dell'altro - il modello

capitalista - si limita a fissare dei grandi principi esterni di natura principalmente culturale e politica.

La influenza del diritto europeo sulla Costituzione economica

La lettura della Costituzione economica non può in effetti prescindere da una riflessione sull'andamento

della storia economica e sulla interpretazione di alcune "clausole generali" che vi sono contenute. Negli

anni sono state progressivamente svuotate di contenuti quelle norme che consentivano teoricamente

evoluzioni in senso fortemente statalista, mentre sono stati valorizzati quei principi di natura

maggiormente liberista. Ciò è potuto avvenire sia per ragioni di tipo economico, sia a causa - o per

merito - del diritto comunitario. Il diritto comunitario si ispira a principi opposti rispetto all'interventismo

statale: si fonda sulla logica del mercato e della concorrenza e come abbiamo visto le norme

comunitarie hanno forza superiore alla legge. La Costituzione economica è pertanto integrata da quella

che potremmo definire come "la Costituzione economica europea", e può essere letta e compresa

correttamente solo facendo riferimento anche ai principi di diritto europeo. In particolare l'adesione

italiana al trattato CEE e alle sue successive modificazioni ha introdotto anche nell'ordinamento italiano

la tutela del mercato e delle sue regole. La esistenza di un mercato unico costituisce infatti il

presupposto per l'esistenza della stessa Unione Europea, ed è assicurato attraverso la garanzia della

libertà di circolazione delle merci, dei lavoratori, dei servizi e dei capitali (le c.d. quattro libertà). Queste

libertà non possono essere garantire se non impedendo agli Stati, da un lato di imporre barriere

all'ingresso che limitino la circolazione delle merci e dei capitali, dall'altro lato impedendo posizioni di

privilegio per imprese o categorie di imprese di alcuni Stati rispetto ad altri. Il Trattato codifica quindi

varie regole, che in primo luogo impediscono agli Stati di condizionare il mercato avvantaggiando

alcune imprese rispetto ad altre, e che in secondo luogo impediscono alle imprese di assicurarsi

posizione illecite di vantaggio nel mercato (regole antitrust). Seppure i principi e le regole sugli aiuti di

Stato siano assai diversi dalle regolo e dai principi antitrust, entrambe sono funzionali a creare

situazioni di parità tra imprese nel mercato europeo, e dunque ad assicurare la realizzazione di un

mercato unico. Questi principi sono stati introdotti nell'ordinamento italiano prima attraverso la

giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte costituzionale, che hanno progressivamente sancito

del primato del diritto comunitario sul diritto interno attraverso la interpretazione dell'art. 11 della

Costituzione. Poi, con la modifica costituzionale dell'art. 117 in base al quale lo Stato italiano si

conforma alle norme del diritto comunitario. L'ingresso del diritto europeo a livello sovra legislativo,

impone quindi una "lettura" della Costituzione economica adeguata ai principi europei.

L'iniziativa economica privata

Queste premesse sono utili per interpretare correttamente l'art. 41 della Costituzione, che tratta del

principio della libera iniziativa economica e costituisce pertanto una di quelle norme fondamentali per

individuare il modelle delle relazioni tra autonomia privata e potere pubblico delineato nella

Costituzione del 1948. Il 1° comma dell'art. 41, infatti, afferma che l'iniziativa privata è libera. Nel 2°

comma questa affermazione è però già relativizzata con la previsione di un vincolo. Essa non può

volgersi "in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recar danno alla libertà alla sicurezza e alla

dignità umana". Tal vincolo è qualificabile come negativo. Si voleva dire che l'attività economica non

può prevaricare la persona, e nel conflitto tra la prima e la seconda deve prevalere la seconda. Mentre il

2° comma appare coerente con quanto affermato nel 1°, il 3° comma dell'art. 41 pone una norma

controversa e di difficile interpretazione: "la legge determina i programmi e i controlli opportuni perchè

l'attività economica, pubblica e privata, possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali". Questa

previsione sembra infatti voler porre un vincolo positivo, funzionalizzando l'attività economica a fini

sociali. Si voleva cioè riconoscere allo Stato la possibilità di intervenire in economia in maniera

coordinata e per legge, ma non introdurre un modello alternativo all'economia di mercato. Alla fine il 3°

comma dell'art.41 non potendo negare l'affermazione forte effettuata nel primo (l'iniziativa economica

è libera), né e per conseguenza volendo affermare che è lo Stato a pianificare l'attività economica,

voleva ribadire quel carattere di socialità che informa l'intero modello costituzionale e di riflesso anche

la Costituzione economica. L'impresa è libera, ma lo Stato si riserva il diritto di intervenire, con la legge

e con atti di carattere generale di controllo, quando gli interessi particolari dell'impresa entrino in

collisione con interessi generali. A ben vedere questa cornice si adatta senza difficoltà ad un modello di

economia di mercato. I controlli che la legge pone per fini generali alla impresa privata sono moltissimi,

e sono finalizzati nella gran parte dei casi a tutelare il mercato.

Brevi cenni alla Autorità garante della Concorrenza e del Mercato

A testimonianza del cambiamento interpretativo della Costituzione economica effettuato nel corso degli

anni Novanta, la legge n. 282 del 1990 introdusse in Italia la autorità Garante della Concorrenza e del

Mercato (Antitrust), ed anche la normativa sulla tutela della concorrenza. Allo scopo di sancire come la

concorrenza sia un valore costituzionale la legge collega la disciplina antitrust con la libera iniziativa

economica, emanando tale normativa "in applicazione dell'art. 41 della Costituzione". L'Antitrust è una

autorità definibile come indipendente perché non dipende dal Governo né da altre istituzioni. Il suo

compito consiste nell'applicare in maniera imparziale le regole del mercato.

La proprietà privata

L'altra norma chiave in materia economica riguarda al disciplina della proprietà privata. In primo luogo,

a differenza dello Statuto albertino e delle Costituzioni ottocentesche, il diritto di proprietà non è

considerato un diritto fondamentale, e in questa impostazione si rispecchia il nuovo modello di

Costituzione sociale che si fonda sul lavoro e sulla perequazione e non invece sulla proprietà di beni. In

secondo luogo la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla C

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A.A. 2023-2024
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SSD Scienze giuridiche IUS/08 Diritto costituzionale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alice9blu di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto costituzionale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Perugia o del prof Cassetti Luisa.