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STADIO DELLE OPERAZIONI CONCRETE
Dai 6/7 agli 11 anni. Il termine operazioni si riferisce a operazioni logiche o principi
utilizzati nella soluzione di problemi. Il bambino in questo stadio non solo utilizza i
simboli ma è in grado di manipolarli in modo logico. Un'importante conquista di
questo periodo è l'acquisizione del concetto di reversibilità, cioè che gli effetti di
un'operazione possono essere annullati da un'operazione inversa. Fra i 2 e i 5 anni il
bambino non classifica gli oggetti secondo una proprietà ma li distribuisce a seconda
della vicinanza spaziale. A 5-6 anni inizia a raggrupparli secondo una caratteristica.
Prima del salto operatorio il bambino non è in grado di distribuire in serie più di 2
oggetti, ma questa non è un'incapacità come sostiene Piaget, quanto piuttosto un
limite della memoria a breve termine. Intorno ai 6/7 anni il bambino acquisisce la
capacità di conservazione delle quantità numeriche, delle lunghezze e dei volumi
liquidi. Per conservazione si intende la capacità di comprendere che la quantità
rimane tale anche a fronte di variazioni di forma. Intorno ai 7/8 anni il bambino
sviluppa la capacità di conservare i materiali. Prendendo una palla di creta e
manipolandola per trasformarla in tante palline il bambino è conscio del fatto che
riunendo le palline la quantità sarà invariata. Questa capacità prende il nome di
reversibilità. Intorno ai 9/10 anni è raggiunto anche l'ultimo passo della
conservazione, la conservazione della superficie. Messo di fronte a dei quadrati di
cartoncino si rende conto che occupano la stessa superficie sia che siano messi tutti
vicini sia che siano sparsi.
STADIO DELLE OPERAZIONI CONCRETE
Il bambino che si trova nello stadio delle operazioni concrete ha delle difficoltà ad
applicare le sue competenze a situazioni astratte, cioè non presenti nella sua
esperienza. A partire dai 12 anni il bambino riesce a formulare pensieri astratti: si
tratta del cosiddetto pensiero 'ipotetico-deduttivo', grazie al quale il bambino può
riferirsi mentalmente ad oggetti non presenti nella sua esperienza, ma soltanto
ipotetici, e ricavare da essi tutte le possibili conseguenze logiche. Il soggetto è ora in
possesso degli stessi schemi di pensiero dell'adulto ed in particolare dello scienziato,
che per Piaget rappresenta il punto terminale dello sviluppo cognitivo umano.
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Dewey
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John Dewey è stato un filosofo e pedagogista statunitense. È stato anche scrittore e
professore universitario. Ha esercitato una profonda influenza sulla cultura, sul
costume politico e sui sistemi educativi del proprio paese. La formazione di Dewey è
stata fortemente influenzata dal pragmatismo americano e dall'evoluzionismo di
Darwin: il pragmatismo era una corrente filosofica tipicamente americana secondo la
quale la verità si identificava con le esperienze concrete e le operazioni a esse collegate,
per i filosofi di questa corrente il pensiero è un processo attivo che dipende da un
comportamento e da una credenza.
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Il concetto di esperienza
Il pensiero filosofico e pedagogico di Dewey si basa su una concezione dell'esperienza
come rapporto tra uomo ed ambiente, dove l'uomo non è uno spettatore passivo, ma
interagisce con ciò che lo circonda. Il pensiero dell'individuo nasce dall'esperienza,
quest'ultima intesa come esperienza sociale. L'educazione deve aprire la via a nuove
esperienze ed al potenziamento di tutte le opportunità per uno sviluppo ulteriore.
L'individuo è constante con il suo ambiente, reagisce ed agisce su di esso. L'esperienza
educativa deve quindi partire dalla quotidianità nella quale il soggetto vive.
Successivamente ciò che è stato sperimentato deve progressivamente assumere una
forma più piena ed organizzata. L'esperienza è realmente educativa nel momento in
cui produce l'espansione e l'arricchimento dell'individuo, conducendolo verso il
perfezionamento di sé e dell'ambiente. Un ambiente in cui vengono accettate le
pluralità di opinioni di diversi gruppi in contrasto tra loro, favorisce lo sviluppo
progressivo delle caratteristiche dell'individuo. Per Dewey le esperienze non vengono
imposte dall'insegnante, ma nascono dagli interessi naturali degli alunni ed il compito
dell'educatore è quello di assecondare tali interessi per sviluppare attraverso essi il
senso della socialità.
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La scuola
La scuola è un'istituzione sociale, che rappresenta la vita attuale. Riprende le attività
quotidiane per rendere partecipe il fanciullo delle abitudini della vita familiare ed
assicurargli un'adeguata integrazione sociale. L'industrializzazione ha allontanato il
giovane dalle esperienze di partecipazione al processo lavorativo, per cui la scuola ha il
compito di introdurre il lavoro come fattore formativo, al fine di assicurare un'attiva
vita in comune e un apprendimento pratico di cose reali. La scuola è definita come
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attiva (attivismo pedagogico) in quanto il bambino, che viene a contatto con una delle
difficoltà che il mondo gli pone, tenta di agire su di esso e cerca di reagire alle
conseguenze che derivano dalle sue azioni. Il bambino mette in atto le sue strategie,
elabora congetture per verificare o falsare le sue ipotesi. La scuola di Dewey è
chiamata anche progressiva in quanto l'attività che si svolge al suo interno, presuppone
uno sviluppo progressivo. La scuola deve rappresentare per il bambino un luogo di
vita: quella vita sociale che deve svilupparsi per gradi, partendo dall'esperienza
acquisita in famiglia e nell'ambiente sociale in cui egli vive.
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La suddivisione dell'età evolutiva
Anche Dewey, come la maggior parte dei pedagogisti moderni divide l'età evolutiva in
tre fasi:
Dai 4 agli 8 anni prevalgono nel bambino gli istinti e i bisogni in modo spontaneo che
si manifestano con il gioco e l'attività ludica.
Dai 9 ai 12 anni il bambino frequenta la scuola primaria che è basata sul lavoro per
permettere al soggetto di acquisire le abitudini culturali della società in cui vive.
Dai 12 ai 14 anni all'alunno viene data la possibilità di ampliare le sue conoscenze
astratte attraverso lo studio in biblioteca e laboratorio all'interno della scuola media.
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! Gianni Rodari
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Gianni Rodari è stato uno scrittore, pedagogista, giornalista e poeta italiano,
specializzato in testi per bambini e ragazzi e tradotto in moltissime lingue.
La Grammatica della fantasia è, come dice il sottotitolo, un'"introduzione all'arte
di inventare storie". È l'unico volume dello scrittore di Omegna che non è di narrativa
ma ha un contenuto teorico. Nasce ufficialmente a Reggio Emilia, dalla paziente
trascrizione a macchina da parte di una stagista di alcuni appunti rimasti a lungo
dimenticati. Gli appunti in questione, scritti intorno agli anni '40, facevano parte della
raccolta del Quaderno della fantasia. L'opera si sviluppa in 45 capitoli e si potrebbe
dire tranquillamente che la stragrande maggioranza dei temi e degli episodi della
poliedrica attività di scrittore e di studioso di Gianni Rodari sopra citati nella biografia
siano ripresi anche nel corso delle argomentazioni e degli esempi che le
accompagnano.
pensiero pedagogico
Il di Rodari affonda le radici nella sua intensa esperienza di
maestro e durante il periodo di insegnamento. Egli si oppose alla rigidità della scuola
tradizionale, al grigiore delle aule e cercò di percorrere strade nuove stimolando la
creatività dei bambini raccontando loro storie fantasiose che non poggiavano su basi
reali o di buon senso. Rodari usava la tecnica del “binomio fantastico” che consisteva
nell’associazione casuale di due termini e nella costruzione di una storia di raccordo
tra loro. Uno degli elementi che caratterizzò il pensiero di Rodari fu la giocosità
dell’insegnamento. A questo proposito Rodari scrisse un libro dedicato agli errori di
ortografia visti come potenzialità espressive e non come deprecabili peccati. Nella
prefazione de “Il libro degli errori” leggiamo : “Per molti anni mi sono occupato di
errori di ortografia: prima da scolaro, poi da maestro, poi da fabbricante di giocattoli,
se mi è permesso di chiamare con questo bel nome le mie precedenti raccolte di
filastrocche e di favolette. Talune di quelle filastrocche, per l’appunto dedicate agli
accenti sbagliati, ai “quori” malati, alle “zeta” abbandonate, sono state raccolte-troppo
onore ! – perfino nelle grammatiche. Questo vuol dire, dopotutto, che l’idea di giocare
con gli errori non era del tutto eretica. Vale la pena che un bambino impari piangendo
quello che può imparare ridendo. Se si mettessero insieme le lagrime versate nei
cinque continenti per colpa dell’ortografia, si otterrebbe una cascata da sfruttare per la
produzione dell’energia elettrica. Ma io trovo che sarebbe un’energia troppo costosa. “
L’errore, dato da carenze o distrazioni può originare nuovi e divertenti percorsi
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fantastici. Rodari assegna un ruolo privilegiato alla fantasia e creatività come
potenziale educativo ( concetti espressi nella “Grammatica della fantasia”). Spesso
Rodari leggeva i propri scritti ai ragazzi di una classe, attento a cogliere reazioni,
commenti, suggerimenti, risate e tenendo conto di eventuali critiche o modifiche
suggerite dai ragazzi stessi. Il bambino rodariano è degno di rispetto e deve poter
esprimere le proprie idee. La libertà di espressione deve poggiare sull’autonomia nel
costruire i valori basandosi anche sull’aspetto etico. Rodari rifiuta l’educazione
popolare delle piccole virtù sostenendo che i bambini devono essere stimolati con
situazioni reali e grandi virtù. La realtà per Gianni Rodari riveste una certa
importanza e viene analizzata, trasformata, guardata da diverse angolazioni. Il
bambino, posto di fronte alla realtà può sviluppare il senso critico. La scelta
pedagogica compiuta da Rodari fu in antitesi con il clima dell’epoca e considerata
come “pedagogia di rottura” volta a ribaltare i canoni esistenti della letteratura
melensa per l’infanzia. Non dimentichiamo che negli anni ’50 il Pioniere diretto da
Rodari veniva bruciato in piazza.
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