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3.1) I CONTESTI EDUCATIVI MULTICULTURALI TRA DIMENSIONE OGGETTIVA E SIGNIFICATI SOGGETTIVI:
Per una buona relazione educativa è necessaria un’interazione tra i componenti della struttura educativa.
La relazione educativa è necessaria per avviare un PROCESSO DI TRASMISSIONE CULTURALE avente lo scopo di costruire
l’identità e la conoscenza dell’allievo.
EDUCATORE è caratterizzato da un insieme di saperi, metodi e obiettivi che gli derivano da:
- sua professionalità
- suo vissuto (credenze, valori, ecc… che costituiscono elementi di PEDAGOGIA NASCOSTA)
Il vissuto dell’educatore può rappresentare un RISCHIO nel caso di contesti multiculturali. Infatti questa dimensione oggettiva
viene interpretata dall’educatore (dimensione soggettiva attribuzione di specifici significati a quella particolare situazione, da
cui parte per realizzare l’evento educativo).
L’educatore non deve eliminare le sue credenze ma conoscere al meglio le proprie strategie per migliorarle facendo fronte ad
ogni situazione.
3.2) LO STRANIERO COME COSTRUZIONE CULTURALE:
Criteri per definire uno straniero:
- giuridico (possesso della cittadinanza)
- indizi esteriori (linguaggio, modo di vestire, colore della pelle, comportamento)
3.3) LA CATEGORIZZAZIONE SOCIALE: UN PROCESSO DI INTERPRETAZIONE DELLA REALTÀ:
Secondo la PSICOLOGIA SOCIALE è utile categorizzare per semplificare la gestione cognitiva e sociale del mondo.
È opportuno un elenco delle caratteristiche principali di ogni categoria, per permettere nella stessa l’inserimento di un dato
elemento. Si formano così categorie comprendenti individui con il maggior numero di caratteristiche comuni.
Per un risparmio di risorse è bene trovare strategie e strumenti opportuni, utilizzabili da tutti i membri del gruppo.
La nostra esperienza percettiva è “culturalmente informata”, nel senso che il processo di socializzazione addestra i membri di
una cultura a “vedere” il mondo suddiviso in determinate categorie.
3.4) LO STEREOTIPO COME PROCESSO COGNITIVO:
stereotipizzazione = generalizzazione dei tratti costitutivi della categoria a tutti o alla maggior parte dei membri che le
appartengono.
stereotipo = forma di economizzazione del pensiero (l’appartenenza a una data categoria genera inferenze su ciò che lui è e ciò
che ci si può aspettare da lui).
RISCHIO: può indurre a inferenze scorrette.
Psicologia sociale distingue:
- stereotipi: forme di generalizzazione in sé neutre componente cognitiva neutrale
- pregiudizi: danno giudizi di valore (positivi, negativi o neutri) sugli stereotipi
3.5) IL PREGIUDIZIO COME ATTEGGIAMENTO:
Definizione classica di pregiudizio = giudizio dato sulla realtà prima di conoscerla.
In seguito: atteggiamento (positivo o negativo) nei confronti delle persone ancor prima di avere esperienza diretta con loro.
ALLPORT si è occupato soprattutto del pregiudizio etnico, ossia del dispositivo per cui reagiamo negativamente o attribuiamo
caratteristiche negative a una persona in quanto appartenente a un gruppo sulle cui caratteristiche è stato prodotto un giudizio
negativo.
stereotipi e categorie sociali non si formano a caso, poiché sono intrisi di valore fin dalla loro costruzione.
3.6) LA TEORIA DEI PROTOTIPI E I PROCESSI DI PARTICOLARIZZAZIONE: LA NON NEUTRALITÀ DEL PROCESSO DI
STEREOTIPIZZAZIONE SOCIALE:
TEORIA DEI PROTOTIPI = Quando utilizziamo una categoria, rappresentiamo nella nostra mente un prototipo con caratteristiche
rappresentative di quella categoria. In questo modo la differenza tra categoria e stereotipo (che è l’aggettivazione di tale
categoria) si indebolisce.
Nella TEORIA CLASSICA vige il processo di generalizzazione, cioè le categorie sono rigide (appiattimento del gruppo, non si
considerano le differenze all’interno).
Una TEORIA più RECENTE (Tajfel) introduce anche la particolarizzazione (l’uomo ha la capacità di considerare ogni elemento
come “caso specifico”). Le differenze tra membro e membro di una categoria vengono “viste”, ma pensate come “eccezioni alla
regola” o “neutralizzate”.
La particolarizzazione permette in ogni caso di percepire le persone in modo sfumato e variabile e permette di usare criteri
come il prototipo proposizionale.
Per mezzo di quest’ultimo posso creare sottogruppi all’interno di una categoria (ad esempio differenziazione all’interno della
categoria “stranieri”: quelli che parlano italiano vs quelli che non lo parlano).
L’influenza dello sfondo sociale e culturale determina il modo in cui categorizziamo e persino i processi cognitivi che
utilizziamo. 6
3.7) STEREOTIPI E PREGIUDIZI COME PRODUZIONI DISCORSIVE. UN NUOVO APPROCCIO ALLO STUDIO DEL MONDO SOCIALE:
Il processo di categorizzazione e dello stereotipo non è neutrale, ma avviene attraverso la produzione di un DISCORSO inserito in
un preciso contesto.
il fenomeno della categorizzazione sociale viene analizzato attraverso il discorso, cioè l’analisi di quello che le persone dicono
di altre persone e soprattutto di come lo dicono.
Ogni individuo interpreta il mondo sociale secondo variazioni all’interno di un proprio repertorio interpretativo, e quindi la
categorizzazione sociale e il fenomeno del pregiudizio sono qualcosa di modificato e modificabile in funzione di scopi e
circostanze.
Bisogna distinguere tra:
- razzialità = riconoscimento delle differenze somatiche (processo di categorizzazione neutrale)
- razzismo = atteggiamento sfavorevole nei confronti di individui di altra razza (processo di categorizzazione non neutrale)
3.8) I NOMI E LE COSE: LA COSTRUZIONE SOCIALE DELLA REALTÀ:
Secondo la TEORIA CLASSICA DELLA CATEGORIZZAZIONE, il mondo si suddivide in:
- fatti osservabili (es. categorie razziali) parole per descriverle
- valori (es. significato delle categorie razziali) giudizi per valutarle
MA: nessuna categoria è NEUTRALE: descrivendo i fatti uso parole, che esprimono implicitamente un giudizio.
Sarà allora di fronte alla descrizione di quei fatti che agiremo o reagiremo.
3.9) EDUCAZIONE E STRATEGIE DI NOMINAZIONE: VERSO LA COSTRUZIONE DELL’ETNICITÀ:
Le categorizzazioni possono essere:
- Categorizzazione su base razziale: classificare le persone in base alle differenze somatiche è un fatto culturale mira a
distinguere alcune persone da altre
- Categorizzazione su base etnica o nazionale: classificare le persone sulla base della provenienza culturale o geografica degli
individui
Non ci si muove in nessun caso in un universo neutrale, poiché ogni designazione e ogni categorizzazione sociale dipende dal
punto di vista che stiamo assumendo sulla situazione.
3.10) DALLA CLASSIFICAZIONE DELLA REALTÀ ALLA PRASSI EDUCATIVA:
La COSTRUZIONE SOCIALE DELL’ETNICITÀ ha come primo livello il linguaggio per la definizione e la nominazione delle persone.
Un secondo livello è quello della prassi: rappresenta l’interazione con quella persona, attraverso discorsi, azioni, gesti…
La prassi non è semplice da definire in quanto spesso ognuno si autointerpreta (quindi spiega le ragioni di una sua azione,
facendo riferimento alla sua interpretazione della situazione).
3.11) L’AZIONE EDUCATIVA COME COSTRUZIONE DI REALTÀ:
Nella descrizione di una categoria, esprimo un punto di vista, che è orientato culturalmente e soggettivamente.
EDUCATORE: deve assumere questo punto di vista per acquisire consapevolezza di essere implicato nella delicata relazione
educativa (diversi punti di vista possono portare a conclusioni diverse).
Canevaro parla di:
- culture endemiche: sono quelle legate alla cultura di un popolo (storia, tradizioni, ecc…).
- culture epidermiche: sono i diversi modi di percepirsi e mostrarsi agli altri nelle diverse situazioni.
3.12) L’EDUCATORE COME ATTIVO INTERPRETE DELLA SITUAZIONE:
CONTRIBUTO SOGGETTIVO DELL’EDUCATORE:
- può limitarsi all’applicazione della teoria classica delle categorie. In questo modo attiva meccanicamente i suoi stereotipi e
pregiudizi. Se riuscisse a liberarsene giungerebbe ad una rappresentazione oggettiva dell’altro (in ogni caso non sarà mai del
tutto oggettiva, perché c’è sempre la sua interpretazione).
- può scegliere una strategia attiva di interpretazione (non calata dall’esterno).
Questo porta come conseguenza:
a) consapevolezza di non essere oggettivo ma di costruire soggettivamente le sue immagini, che quindi sono provvisorie
b) consapevolezza di costruire immagini dell’altro differenti in base alle differenti situazioni e di poter conoscere quali possono
essere le ricadute educative di queste possibili immagini dell’altro.
L’obiettivo all’interno di una relazione interculturale non è quindi quello di giungere ad una rappresentazione oggettiva
dell’altro, bensì quello di costruire rappresentazioni intersoggettive, cioè rappresentazioni variabili in relazione ai contesti.
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CAPITOLO 4: INSEGNARE E APPRENDERE FRA LE CULTURE. UN APPROCCIO TRANSCULTURALE E INCLUSIVO DELLA DIDATTICA:
4.1) LE BASI ANTROPOLOGICHE DEGLI STUDI SULLO SVILUPPO E SULL’APPRENDIMENTO:
Sin dall’affermarsi della teoria evoluzionista di Darwin, si fa strada l’idea dell’unità psichica del genere umano ma al tempo
stesso si sostiene che lo sviluppo della civiltà abbia seguito e segue processi e ritmi diversi nelle diverse società e che, per alcune
di queste, esso si è addirittura fermato.
Anche le prime teorie relative allo sviluppo psicologico riflettono questa impostazione evoluzionistica: processo graduale e
lineare, uguale per tutti gli individui dallo stato “selvaggio” a quello “civilizzato”.
Lo studioso francese LEVY – BRUHL descriveva i processi mentali dei popoli “non europei” come “pre – logici” basandosi tra
l’altro su indagini non direttamente condotte da lui in campo, ma su diari reportages di missionari e viaggiatori dell’epoca.
Secondo Levy – Bruhl, non solo il modo di pensare dei primitivi sarebbe diverso dal nostro perché l’ambiente fisico e sociale in
cui vivono è molto diverso, ma anche perché in essi non si differenziano completamente le attività puramente mentali da quelle
emotive e psicomotorie.
Solo in tarda età questo autore ammetterà l’esistenza anche di variabili situazionali che inducono differenze nei modi di pensare
dei singoli individui e ciò gli farà rifiutare la concezione evoluzionistica.
Secondo gli autori contemporanei, che sostengono l’imprescindibilità del lavoro diretto sul campo, va rifiutata l’idea dello
sviluppo evoluzionistico unilateral