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Mediaset). Allora Mediaset ha cercato di fare lo stesso entrando tra le Pay tv con Premium. Prima Sky con
il satellitare e adesso Netflix e altre piattaforme online stanno rivoluzionando le modalità di fruizione della
programmazione tv, rendendo molto complessa la misurazione puntuale dei consumi. La tv generalista
viene vista dagli anziani, con una offerta tradizionale e richiama investitori orientati ai consumi delle
famiglie di reddito medio basso e con una età più avanzata. Si riducono investimenti in aree commerciali
rivolti alla fascia dei più giovani, che si spostano sui nuovi media digitali e social. I millennials sono
refrattari ai messaggi di marketing, fuggono dalla tv tradizionale e sbarcano su piattaforme senza
pubblicità. Più della metà degli italiani crede che una programmazione senza pubblicità sia importante e
che valga la pena pagare per averla. All’estero i giganti delle tlc controllano l’intero mercato delle Pay tv (In
Gran Bretagna è British Telecom avversa a Sky, in Spagna è Movistar avversa a Vodafone…). L’Italia è
l’unica eccezione, in cui il mercato Pay è ancora quasi interamente nelle mani di tv generaliste o satellitari.
Questo dipende dalla lentezza con la quale da noi si sviluppa la banda larga. In America At&t sta
acquistando Time Warner per controllare i contenuti tv più pregiati e con marchi leader dell’informazione e
dell’intrattenimento (Cnn, Hbo, Warner Bros…). In Gran Bretagna 21st Century Fox compra Sky. La
francese Vivendi cerca di mettere le mani su Mediaset dopo aver acquisito Telecom italia. Insomma chi
gestisce i network tv vuole trasformarsi in colosso internazionale multipiattaforma per prepararsi alla sfida
decisiva con un web sempre più potente e aggressivo. È prematuro quindi parlare di crisi o di fine della tv.
Netflix, che nasce dalle ceneri di un business sepolto dall’evoluzione tecnologica come il noleggio di dvd,
è passato con successo alla distribuzione di contenuti via streaming ed è oggi l’entità in grado di trasferire
valori e comportamenti tipici della programmazione tv a chi usa schermi di pc o tablet: è la contro-
rivoluzione della tv, secondo Wolff che è molto critico nei confronti di Internet e sottostima l’irreversibilità
dei fenomeni in atto.
2.4 - Social e over-the-top, i nuovi padroni della raccolta
•• Le stime sulla quota di investimenti raccolta dai grandi operatori della rete (soprattutto Google e
Facebook) nel 2016 si attestano su circa 1,6 mld di euro, e l’ammontare complessivo del mercato è di
quasi 8 mld. Se questi dati fossero veri, significherebbe che la raccolta sull’online è più piccola rispetto a
quella complessiva delle tv. Però sono in crescita, e infatti si stima che tra cinque anni i primi supereranno
i secondi. Negli Usa nel 2015 Facebook e Google hanno totalizzato il 75% dei nuovi ricavi. Nel 2017
Facebook e Google hanno superato la raccolta tv negli Usa. La spesa pubblicitaria globale sta andando su
dispositivi mobili che presto diventeranno i contenitori del 60% di tutto l’internet advertising. Nel 2018 gli
investimenti crescono di 83 mld di dollari, mentre quelli tv di 7 mld di dollari. La rete è diventata il più
grande media pubblicitario del mondo, superando anche la tv. Sul web ci sono sistemi di pianificazione
pubblicitaria chiamati programmatic buying, che comprano e vendono automaticamente gli spazi
pubblicitari online tramite piattaforme per ottimizzare costi e visibilità delle campagne. Tutto si basa su
meccanismi d’asta. Con il programmatic l’investitore cerca di raggiungere con sempre maggior precisione
i target di consumo desiderati. In Italia questa voce dell’internet advertising è cresciuta di moltissimo tra il
2012 e il 2015, passando da 5mln a 234mln. C’è però una discussione aperta sulla viewability, cioè
sull’effettivo contatto visivo ed emozionale dell’utente con l’annuncio (quanto a lungo dovrebbe durare la
vision per considerare vista la pubblicità?, quanto grande dovrebbe essere lo schermo, secondo la
complessità e la numerosità di elementi che contiene?). Di solito si considera un annuncio viewable se il
consumatore può vederne metà per almeno un secondo, o due se si tratta di un video. Ma comunque non
si può mettere in discussione l’efficacia dell’internet advertising. Meno scontato è invece l’impatto dell’Ad
blocking, minaccia concreta alla crescita degli investimenti sul web, scaricato centinaia di milioni di volte
dagli utenti. Gli editori avrebbero perso a causa dell’ad blocking ricavi per circa 22 mld di dollari. Bisogna
considerare per l’utente anche il costo invisibile della pubblicità online non solo in termini di tempo e di
attenzione, ma anche di banda larga usata dagli annunci. Se si bloccano i cookies, cioè le tracce delle
nostre ricerche, diventa molto difficile la profilazione degli utenti da parte di chi gestisce la rete, che non
può conoscere dati, gusti e attitudini, e quindi non può personalizzare gli annunci pubblicitari. Si cercano
nuove tipologie di annuncio, testando quelle che sembrano infastidire meno i navigatori. Si fa storytelling,
narrazione di valori, identità e proposte commerciali capace di legare i consumatori a brand e aziende. Gli
investimenti pubblicitari destinati ai soli social nel 2019 cresceranno del 72%, arrivano a circa 50mld di
dollari, il 20% di tutto l’internet advertising, pareggiando la spesa pubblicitaria per i quotidiani. Nel 2020 i
social supereranno i quotidiani, oltre che le radio. Social e over-the-top (Google) che dominano la scena
con il Search e non solo sono i protagonisti della crescita dell’advertising online. I nuovi introiti pubblicitari
sono portati anche dagli influenze, personaggi del mondo dello sport o dello spettacolo, che vantano
migliaia o milioni di follower. Questi vip sponsorizzano marchi. I social, che occupano un posto sempre più
importante nelle nostre vite e che assorbono sempre più tempo personale e professionale, incidono
fortemente su tutta l’economia della rete.
3 - La grande trasformazione
3.1 - Nuovi canali, nuovi mercati dell’informazione
•• Negli Usa più della metà delle persone dichiara di cercare news sui social, o di orientare le scelte
politiche sui social. Calano i quotidiani, con un modesto aumento degli abbonamenti digitali. Tiene la tv,
ma continua l’erosione del pubblico pagante che lascia i broadcaster tradizionali per le nuovi piattaforme
digitali e social. Su una popolazione mondiale di 7,3 mld di persone, 3,4 sono utenti internet, 2,3 dei quali
sono attivi sui social e di questi 2 mld lo sono attraverso dispositivi mobili. Internet è già adesso
l’infrastruttura di comunicazione leader. Sulla fedeltà dei contatti l’industria del giornalismo ha costruito la
sua identità e autorevolezza, e la pubblicità è stata il carburante decisivo di questo business, che è
diventato uno dei più profittevoli in assoluto del Novecento. Oggi questa industria è quasi del tutto
rimpiazzata dalle nuove piattaforme social. Facebook si considera una media company, ovvero un vero
editore che ha un ruolo decisivo nell’orientamento di milioni di persone. Brown è stata assunta da
Facebook per guidare la News Partnership. Infatti Facebook si propone di offrire al giornalismo
tradizionale strumenti collaborativi per sviluppare tecniche e metodi di lavoro dedicati ai professionisti
dell’informazione, formarli all’uso delle nuove tecnologie, insegnare agli utenti come trovare fonti
attendibili: è il Facebook Journalism Project. I social sono media a tutti gli effetti. Apple, Google e
Facebook sono diventate protagoniste dominanti in tutti i comparti media, soppiantando quelli
dell’industria tradizionale. Facebook è diventata una newsroom naturale, canale distributivo spontaneo di
una grandissima quantità di notizie raccolte dal mondo dei media tradizionali. Non c’è solo Facebook, ma
anche Google Amp, Apple News, Twitter Moments, tutte piattaforme distributive che con un click
permettono agli editori di raggiungere una platea di utenti prima inimmaginabili. Oggi la lettura e la
fruizione è multimediale, con foto, video, didascalie audio, mappe interattive; e non è più la lettura classica
del giornalismo tradizionale. La competenza che rende l’editoria tale è la capacità di raccogliere
informazioni e di scriverne. Senza questi contenuti, soprattutto quelli più complessi e analitici, nessuna
piattaforma digitale e social può aspirare a diventare una vera media company. Oggi la visibilità di una
notizia dipende dalla sua circolazione sui social. Oggi i social più che editori veri e propri sono soprattutto
piattaforme distributive (“l’ho letto su facebook” ha sostituito “l’ho visto in tv”, frase di chi non sa riferire
con precisione quale sia l’origine effettiva delle informazioni apprese). Dataminr è una azienda software
che ha una convenzione con Twitter che le permette di accedere a tutti i tweet pubblicati. Questi tweet
vengono aggregati istantaneamente per aree geografiche o per argomento, vengono tradotti in inglese in
tempo reale, vengono visualizzati sulle mappe e si ricavano tutte le informazioni di rilevanza e portata.
Dunque se c’è una esplosione all’inizio si twittano le esperienze, poi le foto, poi dei feriti e degli spari, poi
si forniscono dettagli sulla situazione. In pochi minuti il quadro è completo (luogo, ora, prime immagini,
commenti, conferme, testimonianze), e non c’è ancora un giornalista sul posto. Le prime Breaking news in
diretta sulle grandi reti tv non hanno né immagini né corrispondenti, ma solo i tweet che Dataminr fornisce
loro. La rete non riconosce introiti agli editori per i loro contenuti in libera circolazione sul web, ma i gestori
delle nuove piattaforme digital si fanno pagare bene dagli editori l’accesso alle notizie generate
gratuitamente dagli utenti sul web.
3.2 - Le news sui social: sfide, interrogativi, protagonisti
•• I nuovi mercati dell’informazione si stanno formando grazie alla capacità dei social di elaborare una
grandissima massa di dati, trasformandola in un prodotto finito, che supera per tempestività e
completezza l’equivalente fornito da agenzie di stampa come Bloomberg o Reuters. I media ormai vanno
al traino dei social. I social oggi fanno da incubatole prima e da amplificatore poi dei temi che dominano le
conversazioni tra milioni di individui. Brooke, docente di giornalismo, non ci sono grandi mezzi per i
controlli di qualità sull’informazione online e quelli reputazionali. Comunque anche il giornalismo classico
ha impiegato diver