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IL DISCORSO PUBBLICO IN ITALIA
Il Congresso di Vienna riporta l’ordine in un’Europa stravolta dal dinamismo rivoluzionario e militare
della Francia con il ripristino della censura dei contenuti destinati alla pubblicazione. Viene
reintrodotto l’obbligo di autorizzazione alla stampa e i giornali indipendenti vengono alcuni sottoposti
alla sorveglianza delle autorità e altri soppressi. I fogli di regime invece godranno di sovvenzioni e
privilegi e i loro giornalisti diventeranno reporter al soldi dei governi.
La situazione cambia con la spinta rivoluzionaria e l’urto degli eserciti napoleonici. L’impulso, anche
economico, dell’editoria moderna è più forte delle autorità politiche e religiose. Vengono fondati nuovi
giornali che alimentano speranze di rinnovamento e rivolta in molte parti d’Europa.
A Marsiglia Mazzini fonda “La giovane Italia” (1832), giornale politico destinato a influenzare la
cultura patriottica del paese. Con la rivoluzione industriale nascono nelle tipografie le stampanti a
vapore che incrementano la produzione. Nel 1814 Friedrich Koenig a Londra introduce il cilindro in
lungo della lastra, innovazione che velocizzerà ulteriormente il processo di stampa. Nel regno unito
troverà crescente spazio la stampa parlamentare che affiancherà la triade rappresentata dai poteri
della corona, del parlamento e del governo.
Le rivoluzioni del settecento segnano la nascita della propaganda come modalità concreta di
diffusione di proposte politiche e, soprattutto, la creazione dell'opinione pubblica moderna.
A Parigi la prima agenzia di stampa nasce nel 1835 (Havas), mentre in Italia bisogna aspettare il 1853
(Agenzia Stefani Telegrafia Privata a Torino). Da quel momento l'informazione accelera
progressivamente fino a diventare, con le moderne telecomunicazioni, letteralmente istantanea.
Il discorso pubblico è invece ancora pervaso di retorica.
Il Secolo dei moti rivoluzionari è caratterizzato da battaglie di emancipazione e di libertà, in Italia la
frammentazione politica alimenta narrazioni cariche di sentimenti di rivolta e nazionalistici.
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Durante il romanticismo i nostri migliori scrittori producono testi politici, come Ugo Foscolo con “Le
ultime lettere di Jacopo Ortis” che condizionerà a lungo la letteratura nazionale.
L'Italia esce dal periodo napoleonico ancora più divisa e umiliata: mezza Italia ribolle mentre l'altra
mezza appoggia, senza riserve, i nuovi disegni della Santa Alleanza. Nel secolo di pace e progresso
economico che va dal Congresso di Vienna alla prima guerra mondiale, un folto gruppo di intellettuali,
artisti, musicisti si incaricano di costruire il profilo identitario di una nuova nazione.
Tra il 1815 e il 1847 verrà prodotta in Italia una serie di opere che rielaboreranno il mito della nazione
italiana, della sua storia passata e delle sue recenti vicende. Giovanni Berchet, Giacomo Leopardi,
Alessandro Manzoni e Giuseppe Verdi nelle loro opere valorizzano la nazione italiana e spiegano
perché battersi per essa. Si diffonde così la comunicazione patriottica, grazie anche a Mazzini che, con
la sua Giovane Italia, viene considerato un terrorista e trattato come tale.
Nonostante le difficoltà politiche e le resistenze sociali, negli anni 40 e 50 si raggiunge una forte
crescita delle pubblicazioni. Nello Stato italiano più liberale, il Regno di Piemonte e Sardegna, dopo la
concessione dello Statuto Albertino, viene approvato un apposito editto sulla stampa che fa crescere la
voglia di informazione libera e indipendente. Alla vigilia dell'Unità Nazionale si contano 117 periodici,
di cui 53 a Torino, il più importante centro editoriale e tipografico della penisola.
L’Unità d’Italia porta con sé una ventata di libertà in un paese dove meno di un quarto degli adulti sa
leggere e scrivere. Ma non basteranno i diritti civili a rendere davvero libera la stampa postunitaria.
Governi, presidenti del Consiglio e singoli ministri utilizzeranno fondi pubblici per sostenere giornali
fiancheggiatori, anche perché la stampa è ormai diventata il luogo di eccellenza del discorso pubblico.
Milano diviene presto il centro economico più attivo dell’Italia unita e anche il luogo in cui convergono
numerosi intellettuali del paese. Tra i quotidiani che nascono vanno citati “Il Sole”, nato del 1865 (che
si unirà, cent’anni dopo, al “24 Ore”) e il “Corriere della Sera”, fondato nel 1876 da Eugenio Torelli-
Viollier che lo dirigerà per vent’anni, ispirandosi alla neutralità politica tipica del giornalismo
anglosassone.
CAPITOLO VII - CONFLITTI GLOBALI, TOTALITARISMI, INNOVAZIONI. LA
COMUNICAZIONE NEL SECOLO DEGLI ECCESSI
Nel periodo che va dall’esplosione della prima guerra mondiale al crollo dell’Unione Sovietica, si sono
succedute una serie di catastrofi belliche, causa di devastanti crisi economiche. In questo periodo la
comunicazione ha svolto un ruolo chiave portando le vicende della storia nella nostra esperienza
quotidiana. Basti pensare all’entrata in guerra dell’Italia nel 1915, sostenuta da una poderosa
campagna giornalistica che vede tra i suoi protagonisti proprio il “Corriere della Sera”.
La stampa viene nuovamente piegata agli scopi della politica e della condotta militare. Censura
preventiva, soprattutto per i giornali d’opposizione (tra questi, il socialista “Avanti!”). I governi
possono contare su uffici stampa in grado di indirizzare il racconto della guerra, minimizzando o
mascherando le notizie. Ma nonostante le cronache pilotate, tutti i giornali più importanti
raddoppiano/triplicano la loro diffusione. La comunicazione inoltre si avvale di manifesti, locandine e
affissioni ovunque.
Dopo la fine del primo conflitto mondiale, la comunicazione condizionerà un’opinione pubblica delusa
dagli esiti della guerra. Il fascismo non solo eliminerà la libertà di stampa, ma anzi la userà per
minimizzare gli eccessi delle squadre fasciste e per giustificare l’uso della forza da parte di Mussolini.
Anche il “Corriere della Sera” accoglie favorevolmente la marcia su Roma e ritiene che si debba offrire
al futuro Duce “la più leale e cordiale collaborazione perché riesca pienamente nell’impresa della
restaurazione nazionale”. In seguito, pentitosi del sostegno dato, inizierà a criticare il nuovo regime.
Mussolini a quel punto, a dimostrazione dello strapotere del fascismo, sostituì la direzione della testata
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con direttori apertamente filofascisti. In poco tempo la stampa viene trasformata in una costola del
regime, specializzata nel condizionamento costante della pubblica opinione. Nel 1933 l’ufficio stampa
del governo viene trasformato in Sottosegretariato per la stampa e la propaganda e poi addirittura
elevato, nel ’35, al rango di Ministero della cultura popolare.
Intanto, nel 1924 hanno inizio le trasmissioni radiofoniche, considerate una forma di comunicazione
universale in grado di raggiungere gran parte della popolazione, compresi gli analfabeti.
Dal 1938 la Bbc con “Radio Londra” e le sue trasmissioni in italiano, diventerà uno dei canali
radiofonici più ascoltati in Italia in quanto capace di informare coloro che vivono nell’oscurità della
dittatura.
La radio entra anche a far parte di progetti ambiziosi e innovativi come lo sviluppo e il
perfezionamento di modelli linguistici tesi a diffondere l’uso dell’italiano e a contrastare quello del
dialetto, come farà l’Eiar (l’ente radiofonico di Stato), sul finire degli anni ’30, con il suo corso “Lingua
d’Italia”. Anche Mussolini la considera un valido mezzo di propaganda e i numerosi discorsi radiofonici
alla nazione ne sono la prova. Dall’altra parte dell’Atlantico il presidente Franklin D. Roosevelt cerca di
alleviare con le sue parole alla radio gli effetti della crisi del 1929.
Radio e cinema (che dal 1927 diventa sonoro) si uniscono in una combinazione di narrazione eroica
dei fascismi e divinizzazione dei loro capi, in assenza totale di critica da parte di un’opinione pubblica.
A est, intanto, il sistema politico nato dal collasso dell’impero russo fa della comunicazione e
dell’informazione le leve di un consenso ideologico integrale. Nel novembre 1917 Lenin firma un
decreto che istituisce il monopolio statale su qualsiasi forma di propaganda, ponendo così la fine della
libera informazione.
Nell’agosto del 1919 Lenin promuove il cinema con investimenti significativi in quanto lo riconosce
come “il mezzo più adatto da utilizzare nel processo di acculturazione, che avrebbe investito larghissime
sacche di analfabetismo, ignoranza, arretratezza”. È in quel periodo che nascono opere memorabili
come “La corazzata Potemkin” di Sergej Ejzenstejn. Con Stalin però il cinema torna ad essere uno
strumento al servizio esclusivo della propaganda di regine e del culto della sua persona.
La guerra mette nuovamente in azione la comunicazione ad ogni livello. Ogni nazione si sforza di
raccontare alla propria opinione pubblica le vicende militari in modo da apparire capace di incalzare e
battere il nemico. Quindi non c’è più una guerra, ma tanti contrastanti resoconti bellici sui giornali, alla
radio, nei cinema.
Un’esperienza inedita sarà l’uso della cinematografia. Nascono in questi anni opere di regime come
“L’uomo della croce” (1943) di Roberto Rossellini il quale, finita la guerra, firmerà invece capolavori
antifascisti come “Roma città aperta”. L’industria del cinema postbellico potrà utilizzare i talenti
creativi, tecnici e professionisti che si sono cimentati nelle storie di guerra e nei film di propaganda.
Competenze e risorse utili all'entrata in scena del nuovo innovativo medium del XX secolo: la
televisione. Una tecnologia rivoluzionaria, già pronta di fatto alla fine degli anni ‘30 ma bloccata
dall'esplosione del conflitto mondiale, che decolla negli Stati Uniti tra il 1948 e il 1952, privata e libera.
Un'industria tanto forte da produrre una spinta straordinaria all'economia statunitense di quegli anni,
il cui obiettivo è quello di realizzare il massimo d'ascolto costante e fedele, condizione necessaria per
vendere spazi pregiati agli investitori pubblicitari.
In Europa invece le emittenti televisive appartengono allo stato e saranno controllate dalla politica. La
pubblicità, che darà vita in Italia a “Carosello”, sarà una gentile concessione agli investitori che
dovranno fare la fila per avere accesso alla visibilità televisiva; ci vorrà la graduale e contrastata
apertura