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Essa rappresenta contemporaneamente il destinatario delle azioni di comunicazione e il contesto in

cui i messaggi vengono formulati. Al suo interno coabitano molti sottoinsiemi diversi, su cui bisogna

agire in maniera mirata. L’opinione pubblica risulta infatti particolarmente influenzata da fattori

come:

• Sensibilità socio-ambientale e gestione etica: correttezza dei comportamenti;

• Valori di immagine: tradizione, prestigio, capacità di evocare esperienze positive;

• Capacità relazionale: apertura all’esterno del soggetto, propensione all’ascolto e abilità nel

creare occasioni di contatto.

Se in passato i mediatori culturali coinvolgevano un numero ristretto di persone, oggi le influenze si

esercitano sulle grandi masse. La classe dei mediatori accoglie due gruppi:

• Opinion makers (es.: filosofi), personaggi che forniscono un indirizzo di pensiero e

comportamento tendenzialmente stabile, che godono spesso di maggiore credibilità grazie alla

loro neutralità;

• Opinion leaders (es.: capi politichi, direttori di giornale, opinionisti e star dello spettacolo),

soggetti che rappresentano un punto di riferimento per la formazione delle opinioni, poiché

esprimono un’opinione condivisa ma la cui reputazione a rischio ne determina la fragilità;

• Ad essi si aggiungono gli opinion leader diffusi, creati dalle moderne tecnologie. Fiducia e

prossimità fra gli interlocutori sono infatti oggi le fondamentali leve che favoriscono il transito

dei messaggi poiché attraggono più facilmente l’attenzione dell’ascoltatore, che non attiva filtri

di diffidenza poiché ritiene la persona disinteressata ed autentica. I blog, ad esempio, sono

considerati più interessanti e utili di giornali e programmi televisivi, percepiti invece come

distanti e poco autorevoli. Non a caso, la copertina del Time dedicata alla “person of the year”

del 2006 conteneva uno specchio e la scritta “You”. La persona comune che prima non aveva

possibilità di esprimersi, è oggi dotata dei mezzi tecnici per farlo, dando vita a un “personal web

of trust”, un gruppo di soggetti che condividono interessi e esperienze, all’interno del quale si

realizza il “network of cross-influence”, la rete delle influenze incrociate.

Si parla sempre più frequentemente di third part endorsement, la tecnica di influenza relazionale

proposta da Bernays e rivolta a soggetti terzi dotati di fama, più che di esperto, di persona

competente e legittimata a giudicare. Oggi, tuttavia, a contare è l’indipendenza, la mancanza di

rapporti economici o di interesse tra chi consiglia e chi viene consigliato, che raggiunge il suo

massimo livello nel passaparola informale.

La gestione del third part endorsment online consiste nel monitorare il feed-back di prodotti e servizi

per migliorare i rapporti fra organizzazione e clienti/utenti.

Il Trust Barometer della multinazionale delle relazioni pubbliche Edelman mostra che in Italia la

fiducia cresce verso élite composte da cittadini tra 25 e 64 anni, alto reddito e grado di istruzione

universitario, consumatori di notizie coinvolti nella vita economica e politica. I motori di ricerca

raggiungono maggiore fiducia di tv e giornali, ma il passaparola tra amici e familiari resta la fonte

d’informazione più credibile.

Anche la Commissione Europea ha collocato l’Italia prima fra i grandi Paesi che esprimono fiducia nei

confronti del web.

Occorre redigere sempre un piano di comunicazione, che, secondo Vecchiato, presuppone che

l’azienda indichi gli obiettivi ed individui attori, strumenti e risorse. Il piano di comunicazione è infatti

il documento progettuale che illustra la comunicazione realizzata in un periodo, l’organizzazione

gerarchica e l’ottimizzazione dei fattori economici, tecnico-professionali, contenutistici e creativi da

utilizzare.

Tre sono le finalità generali valide per ogni piano di comunicazione:

1. Informare: intervenire sul livello di conoscenza, consapevolezza e comprensione;

2. Persuadere: agire su opinioni, convinzioni e tendenze;

3. Motivare: agire sui comportamenti.

Nel piano va quindi descritto con riferimento a precisi parametri quantitativi il risultato atteso dalla

comunicazione. In tal senso è utile applicare l’acronimo SMART agli obiettivi del piano di

comunicazione: specific (connessi alla situazione concreta), measurable (secondo parametri

condivisi), agreed (negoziati), reasonable e trackable (controllabili).

Sul piano di comunicazione influiscono un’enorme serie di variabili esterne che rendono necessario

un continuo aggiornamento. Anche influenti e stakeholder possono cambiare (si pensi all’influenza

delle dinamiche di globalizzazione).

La caratteristica basilare del piano di comunicazione è la circolarità: al termine di ogni ciclo occorre

ragionare subito sul successivo, analizzando i risultati raggiunti e sfruttandoli come base per le

nuove azioni. In caso contrario, l’effetto del lavoro svolto si esaurisce rapidamente.

Consonni sottolinea infatti come la pianificazione sia corretta solo se consente di registrare in ogni

momento le reazioni dei pubblici di riferimento.

Il decisore e responsabile delle strategie di comunicazione è l’imprenditore: il contributo specialistico

del comunicatore professionale riguarda solo la declinazione di tali obiettivi in termini di creatività,

strumenti, budget e pianificazione temporale.

Nella scelta (comprensione, individuazione e conoscenza) del pubblico finale da raggiungere, occorre

ricordare che esso non è costituito dalla generalità dei cittadini-consumatori, ma dal gruppo di

persone che condivide un problema o progetto. Tali gruppi si differenziano per il grado di conoscenza

rispetto alla relazione con chi comunica. Identificando con precisione gli intermediari che consentono

di raggiungerli con più efficacia, occorre inserirsi nella “mappa del potere”, l’elencazione di chi può

ostacolare o facilitare il conseguimento dell’obiettivo.

Occorre inoltre definire il ruolo professionale prevalente nel piano di comunicazione, dipendente dalla

funzione che emerge con maggior forza dall’impostazione del piano (es.: pubblicità).

Gli intermediari, in particolare i media, sono cambiati. In Italia, tuttavia, la tv è ancora il perno

centrale della comunicazione, oggetto di maggiori investimenti. Per quanto riguarda invece i

quotidiani, la conversione da cartaceo a digitale non si è ancora compiuta del tutto. Anche il

consumo di tv è tuttavia in calo, a causa della necessità di interattività e autonomia del fruitore, ma

anche del basso costo di accesso per i nuovi contenuti.

Un piano di comunicazione integrata combina un mix di strumenti di cui vanno definiti: dosaggio

reciproco (proporzioni d’impiego), effetti positivi o negativi del loro uso coordinato e necessità di

avvalersi di figure specializzate.

Il metodo APICE di Invernizzi prevede “Audit e monitoraggio per pianificare gli interventi di

comunicazione e sviluppo gestionale e organizzativo”. Il metodo dei dieci passi di Vecchiato viene

invece riassunto da Facchetti in 5 macrofasi:

1. Focalizzazione del piano: che si realizza in 5 step:

• Descrizione dei vincoli da superare,

• Valutazione e previsione degli effetti sui diversi attori, realizzando, per quanto possibile,

simulazioni,

• Descrizione degli obiettivi da raggiungere, ossia lo studio del brief che descrive obiettivi

finali e intermedi,

• Analisi del target primario e degli eventuali target secondari, di cui, secondo il modello di

Bernays, occorre verificare costantemente l’andamento per utilizzare gli esiti dell’ascolto per

migliorare la comunicazione e ottenere gli effetti desiderati,

• Descrizione dello scenario in cui le azioni si inseriscono, ascoltando i target e le aspettative

di stakeholder e influenti, attraverso l’audit. In tal modo è possibile verificare i margini di

convergenza tra aspettative e condizioni esterne, ma anche il grado di conoscenza

dell’organizzazione e dei suoi progetti;

2. Individuazione dei destinatari (stakeholder) e, solo successivamente, del messaggio.

Quest’ultimo risponde alla domanda relativa al concetto che, trasferito nella mente del pubblico,

facilita il raggiungimento degli obiettivi. Il messaggio è quindi uno strumento

• Credibile per l’interlocutore,

• Riferito a una sfera culturale condivisa: la familiarità va verificata attraverso pre-test e

ricerche ad hoc,

• Chiaro e comprensibile nei contenuti, tenendo presente che, come afferma il linguista De

Mauro, il vocabolario comune a tutti gli italiani comprende solo 7000 parole. È necessario

quindi impiegare frasi e periodi brevi, collocare i contenuti fondamentali nelle frase iniziale

ed analizzare la leggibilità dei testi secondo l’indice Gulpease, che considera lunghezza delle

parole e della frase rispetto al numero delle lettere. I risultati, compresi tra 0 e 100 (che

indica la leggibilità più alta), permettono di distinguere testi difficili da leggere per chi

possiede: licenza elementare (risultati inferiori a 80), media (60), scuola superiore (40). A

questa scala si affianca la valutazione del vocabolario comune, che valuta la notorietà dei

termini sulla base di comprensione e frequenza d’uso, distinguendo un vocabolario di alta

disponibilità (2300 termini noti ma poco usati), alto uso (2750 usati frequentemente) e

fondamentale (2000 termini che chi è uscito dall’infanzia conosce). I testi non devono quindi

avere troppi incisi, subordinate e parole, ma essere semplice e breve. Redigere i body copy,

infatti, è il compito di professionisti specializzati in pay off e slogan;

3. Progettazione dettagliata della strategia, in termini di organizzazione gerarchica (scelta delle

priorità in termini di obiettivi e strumenti) e ottimizzazione dei fattori, economizzando le risorse;

4. Attuazione, avvalendosi delle metodologie di project management per mettere a fuoco tempi e

budget, ma anche controllare in progress l’andamento della comunicazione tramite ricerche

presso i destinatari;

5. Ascolto finale e riavvio del ciclo, fase spesso trascurata per motivi di budget. Al contrario,

occorre riflettere sui problemi eliminati e sui nuovi emersi, attraverso metodologie di ascolto

come rilevazioni e ricerche di opinione e mercato.

Due sono le grandi categorie di ricerca:

1. Qualitative, che Assirm (associazione che rappresenta i maggiori istituti italiani di ricerche di

mercato, sondaggi di opinione e ricerca sociale) definisce come l’andare al di là dei fatti e delle

espressioni manifeste. Ispirandosi a scienze sociali, antropologia culturale, psicologia clinica,

semiotica ed estetica, esse consentono di capire l’origin

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
9 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/09 Sociologia dei processi economici e del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher GiovannaUrb di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Comunicazione d'impresa e relazioni pubbliche e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Guzzi Franco Carlo.