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LA PUBBLICITÀ
Le spese per la pubblicità e più in generale per la promozione delle vendite in alcuni
settori superano quelle in Ricerca e Sviluppo. I beni di ricerca sono quei beni le cui
caratteristiche possono essere accertate dal consumatore prima dell’acquisto, mentre
per i beni di esperienza le caratteristiche possono essere accertate solo nell’atto di
consumo. Da tale distinzione se ne genera un’altra con riferimento alla pubblicità;
infatti mentre la pubblicità informativa descrive l’esistenza del prodotto, le sue
caratteristiche e le condizioni di vendita; la pubblicità persuasiva cerca di modificare
le preferenze dei consumatori. Entrambi i tipi di pubblicità sono importanti; se la
pubblicità fosse prevalentemente informativa, la maggior parte dei messaggi
pubblicitari dovrebbe riguardare beni di ricerca, mentre la realtà mostra che gli
investimenti in pubblicità sono maggiori nel settore dei beni di esperienza che in
quello dei beni di ricerca. Tali campagne pubblicitarie pur fornendo poche
informazioni dirette sul prodotto, non è detto che non siano informative in senso
indiretto. Se un’impresa vende, la sua qualità diventa nota per il futuro; se invece non
vende, i consumatori rimangono nell’incertezza sulla qualità del bene. Le spese in
pubblicità possono servire per segnalare la qualità del prodotto. Le imprese che
vendono prodotti di alta qualità hanno più da guadagnare dall’indurre i consumatori a
provare i loro prodotti, rispetto alle imprese che producono beni di bassa qualità; le
prime infatti, a dispetto delle seconde, venderanno in entrambi i periodi (per questo
sono disposte a sostenere tale spesa). Se non ci fosse la pubblicità potrebbe accadere
che le imprese che vendono beni di alta qualità non abbiano incentivo a produrre,
perché i loro prodotti sarebbero percepiti come identici a quelli di bassa qualità. Il
guadagno marginale è tanto più grande quanto più la curva di domanda è sensibile
alle spese pubblicitarie; le imprese quindi tenderanno a spendere di più in pubblicità
nei mercati in cui la curva di domanda è più sensibile alle spese pubblicitarie. Quanto
più grande è l’elasticità della domanda tanto più basso sarà il prezzo ottimale. Il
vantaggio marginale che si ottiene facendo pubblicità è tanto maggiore quanto più
grande è il margine di profitto unitario. Riassumendo il rapporto pubblicità–ricavi è
tanto maggiore quanto più grande è l’elasticità della domanda rispetto alla pubblicità
e quanto più piccola è l’elasticità della domanda rispetto al prezzo (oppure quanto più
grande è il margine di profitto unitario). L’elasticità della domanda rispetto a prezzo
aumenta al crescere del numero delle imprese, infatti al diminuire del prezzo praticato
21 da un’impresa, questa aumenterà la sua domanda totale e di conseguenza la sua quota
di mercato. Da tale punto di vista quindi l’intensità di pubblicità sarà tanto più alta
quanto più il mercato è frammentato. Un mercato più competitivo, implica un più
basso margine di profitto unitario, che a sua volta implica una intensità della
pubblicità anch’essa più bassa. Considerando una situazione nella quale la pubblicità
fa crescere nella stessa misura la domanda di ciascuna impresa sul mercato, in caso di
bene pubblico, l’elasticità della domanda di ciascuna impresa rispetto alla pubblicità
diminuisce al diminuire della concentrazione, infatti più il mercato è frammentato,
minore sarà il beneficio ottenuto da ciascuna delle imprese che contribuiscono a
pagare la spesa pubblicitaria. Nel caso opposto in cui la domanda totale è fissa ed
indipendente dalla pubblicità, l’unico effetto disponibile all’impresa che investe in
pubblicità è sottrarre domanda ai suoi rivali. Tale elasticità quindi è portata ad
aumentare quando diminuisce la concentrazione del mercato, partendo comunque da
livelli di concentrazione abbastanza elevati. Se il numero delle imprese aumenta e la
concentrazione diminuisce: il margine di profitto di ciascuna impresa diminuisce, le
quote di mercato delle stesse sono più basse (e quindi l’effetto della pubblicità, di cui
ciascuna impresa si può appropriare, è più piccolo), ogni impresa ha un forte
incentivo ad a sottrarre parte della domanda alle altre imprese attraverso la propria
pubblicità. Nonostante tali effetti siano a dir poco ambigui, vi è una certa regolarità in
base alla quale al diminuire della concentrazione, partendo da livelli comunque
elevati, l’intensità della pubblicità inizialmente aumenta, mentre partendo da livelli di
concentrazione bassi, l’intensità diminuisce. In caso di duopolio, la concorrenza di
prezzo spinge entrambe le imprese a fissare un prezzo più alto, anche se ciascuna
impresa ha un incentivo unilaterale a ridurre i prezzi, soprattutto nell’ipotesi di
prodotto omogeneo (purché il prezzo fissato sia sempre superiore al costo marginale).
Se la domanda totale è costante e il solo effetto della pubblicità è spostare quote di
mercato da un concorrente all’altro, l’impresa che fa più pubblicità ottiene una quota
di mercato superiore rispetto alla sua concorrente. La soluzione ottimale in caso di
duopolio sarebbe quella di non investire in pubblicità, tuttavia nella realtà ciò non
accade, e se un impresa investe in pubblicità, il suo concorrente investirà un
ammontare un po’ più grande; il risultato sarà che le imprese spingeranno gli
investimenti in pubblicità fino al punto in cui i profitti saranno pari a zero (proprio
come in Bertrand). Se l’elasticità incrociata di due prodotti è infinita, i consumatori
sono portati a trattare i prodotti come se fossero identici, data l’imperfetta conoscenza
dei consumatori, anche se in realtà non lo sono. Perciò se il prezzo di uno dei due
aumenta la sua domanda diminuirà e aumenterà quella dell’altro bene, ciò porta,
secondo il modello di Bertrand, ad un equilibrio in cui le imprese fissano un prezzo
pari la costo marginale. Se le imprese fanno pubblicità e quindi informano i
22 consumatori sulla loro collocazione, si ha un modello di Hotelling standard, secondo
cui le imprese fissano un prezzo superiore al costo marginale di un ammontare
proporzionale ai costi di trasporto sostenuti dai consumatori. La pubblicizzazione
delle collocazioni trasforma il gioco alla Bertrand in un gioco alla Hotelling. La
pubblicità che informa sulle caratteristiche dei prodotti aumenta la differenziazione
del prodotto e rende la concorrenza meno intensa. La pubblicità inoltre può
aumentare la differenziazione del prodotto spuria, informando i consumatori sulle
sue caratteristiche oggettive o semplicemente creando una percezione soggettiva di
differenziazione. La pubblicità quindi conduce ad un nuovo equilibrio con livelli di
produzione maggiori. Nel caso opposto in cui la pubblicità intensifica la concorrenza
di prezzo, in un duopolio con un bene omogeneo, a ciascuna impresa conviene fissare
un prezzo pari al prezzo massimo che i consumatori sono disposti a pagare per tale
bene, poiché un prezzo più alto ridurrebbe la domanda e uno più basso non
l’aumenterebbe, perché i consumatori possono recarsi presso un solo venditore e
vedendo che il prezzo da questo praticati è pari alla loro disponibilità massima, questi
non avrebbero alcun motivo di non comprare il bene da tale rivenditore (poiché non
sanno che prezzo pratica l’altro e non possono saperlo). In altre parole l’elasticità
della domanda (rispetto alla diminuzione del prezzo) è nulla. Se invece le imprese
pubblicizzano i loro prezzi allora si avrà una situazione simile alla Bertrand in cui in
equilibrio il prezzo è pari al costo marginale. Tali informazioni sul prezzo trasmesse
attraverso la pubblicità aumentano l’elasticità della domanda in misura tale che i
profitti passano da un livello di monopolio ad un livello pari a zero (si intensifica la
competizione di prezzo). Non è tanto la pubblicità ad influenzare la competizione di
prezzo, quanto quest’ultima determina un forte incentivo a fare pubblicità.
COSTI DI ENTRATA, STRUTTURA DEL MERCATO E BENESSERE
In base al modello di concorrenza perfetta qualunque numero di imprese e
distribuzione della grandezza della stesse è possibile, a condizione che ciascuna
impresa sia sufficientemente piccola da far si che l’ipotesi di comportamento
pricetaking sia appropriata. Un equilibrio con libertà di entrata è caratterizzato da un
insieme di imprese attive tale che: nessuna impresa attiva desidera uscire dal mercato,
nessuna impresa non operativa desidera entrare nel mercato. Il numero delle imprese
è funzione crescente della dimensione del mercato ed è funzione decrescente dei costi
fissi e variabili. La relazione intercorrente tra numero delle imprese e dimensione del
mercato è approssimativamente quadratica: per raddoppiare il numero delle imprese
la dimensione del mercato deve crescere di quattro volte e viceversa. Se il prezzo di
mercato fosse costante rispetto al numero delle imprese, allora la relazione tra
dimensione del mercato e numero di imprese sarebbe esattamente proporzionale:
23 raddoppiando la dimensione del mercato, avremmo che il numero delle imprese di
equilibrio raddoppierebbe. Tuttavia quando il numero delle imprese aumenta, il
mercato diventa più competitivo e quindi il margine di profitto unitario diminuisce;
conseguentemente diminuisce anche il profitto lordo per unità di prodotto, il che a
sua volta limita il numero delle imprese che possono operare nel mercato.
Riassumendo quando la competizione di prezzo diventa più intensa il numero di
imprese attive in equilibrio cresce meno che proporzionalmente al crescere della
dimensione del mercato. Uno dei fattori che determinano la struttura del mercato è la
struttura dei costi delle imprese. La scala minima efficiente corrisponde a quel valore
per cui il costo medio dell’impresa è vicino al suo livello minimo. La struttura del
mercato varia al variare della scala minima efficiente: se la scala minima efficiente
aumenta di un fattore pari a due, allora il numero delle imprese diminuisce di un
fattore pari a . In realt&ag