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Italiana per lo Sport degli Handicappati (FISHa), presieduta da
Roberto Marson, allo scopo di realizzare un processo unitario delle
organizzazioni sportive degli handicappati. 1981, Federazione
Italiana Ciechi Sportivi (FICS) e la Federazione Sport Silenziosi
d’Italia (FSSI). Nel 1990 ennesimo processo di aggregazione di
FISHa, FICS e FSSI, che diedero vita alla FISD (Federazione italiana
sport disabili) con pieno riconoscimento da parte del CONI in merito
a svolgimento e coordinamento di attività sportive per disabili. Altro
passo in avanti fu il riconoscimento alla FISD con la legge 189/2003,
quale Comitato Italiano Paralimpico (CIP).
A Tokyo 1964, i Giochi si tennero nello stesso luogo delle Olimpiadi.
Il governo giapponese diede una grossa mano nel finanziare
l’evento, che però vide diminuire il numero di partecipanti, ma non
quella degli spettatori e degli sport. Fu un’edizione storica anche
per i risvolti politici per la partecipazione del Sudafrica, escluso
dalle Olimpiadi per apartheid. Nonostante il successo, l’edizione del
1968 registrò la scollatura tra Olimpiadi e Paralimpiadi.
Raddoppiarono i partecipanti, ma diminuirono le medaglie a causa
di un primo accorpamento tra le categorie. I Giochi successivi di
Heidelberg si svolsero prima delle Olimpiadi e videro l’esordio di
numerose nazioni del blocco sovietico e delle piastre tattili
elettroniche nel nuoto. Nel ’76 numerose nazioni africane
disertarono per solidarietà con il Sudafrica, in pieno apartheid. Il
1980 toccava all’URSS, ma il difficile rapporto con la disabilità e la
mancanza di interesse verso la propaganda degli sport paralimpici
determinarono la sostituzione con i Paesi Bassi. Nel 1984 si svolsero
in due continenti: a Stoke Mandeville (atleti con lesioni spinali) e a
New York (tutti gli altri). Da questa edizione il CIO approvò
ufficialmente a denominazione di Giochi Paralimpici. Nel 1988
Paralimpiadi e Olimpiadi si sarebbero svolte sempre nello stesso
luogo e da questa edizione mutarono i criteri di selezione degli
atleti e le categorie di disabilità con l’accorpamento di numerose
gare. I risultati si videro a Barcellona 1992 e furono tangibili: livello
più alto e 7mln di spettatori tv. L’edizione di Atlanta 1996 fu tra le
più fastose: i Giochi vennero sovvenzionati totalmente dagli
sponsor. Sydney 2000 fu macchiata dallo scandalo della squadra di
basket spagnola, in realtà non composta da atleti disabili (la Spagna
fu esclusa da tale categoria fino a Londra 2012). Atene 2004 portò
alla luce la stella di Pistorius, primo atleta a vincere una medaglia in
competizioni per normodotati. Pechino 2008 e Londra 2012 hanno
sancito il definitivo successo delle Paralimpiadi con oltre 3 mld di
spettatori. Dal 1976 anche quelle invernali. L’Italia, in cui si è
disputata l’edizione del 2006, ha visto aumentare il numero dei suoi
partecipanti negli anni immediatamente precedenti la disputa
dell’edizione piemontese: nel 2005 nacque il primo campionato
italiano di ice sledge hockey. A mancare sono state le strutture: gli
impianti della Paralimpiade 2006 vennero in gran parte
abbandonati.
C. Magazzù – Il disabile nel Magistero della Chiesa
contemporanea: tra teologia, catechesi e liturgia: From the
very beginning è un documento strutturato in 3 parti: ruolo
vocazionale e missionario della Chiesa; principi cui Chiesa e
operatori devono ispirarsi; percorsi che possono mettere in pratica
le ipotetiche determinazioni teoriche. Il disabile è una persona con
dignità e diritti. Deve avere di se stesso un’idea realistica e positiva,
facendosi riconoscere come persona in grado di avere
responsabilità, capace di volere e collaborare. Il Magistero ha
maturato nuova consapevolezza nell’elaborazione di un cammino di
integrazione, interdisciplinare tra teologia, scienze pedagogiche,
catechesi e pastorale liturgica. È necessario che all’interno della
parrocchia gli educatori si assumano la responsabilità di operare
una scelta nell’essenzialità dei contenuti da trasmettere per il
messaggio cristiano alle persone disabili. Il salto di qualità da
compiere è passare da accoglienza a solidarietà. Integrazione,
normalizzazione e personalizzazione sono le tre fasi tramite cui
agire per ottenere un reale coinvolgimento dei disabili al momento
liturgico della vita cristiana.
L. M. Daher – Donne, disabilità, lavoro di cura: stereotipi
culturali e ideologie di genere: recentissimi dati mostrano come
in Italia le donne siano più impegnate nel lavoro di cure rispetto agli
uomini (8,4 mln contro 6,8). Le rappresentazioni sociali, attribuendo
ruoli e attività specifiche a un sesso piuttosto che a un altro,
conducono le donne ad accettare passivamente una propria
stereotipizzazione e a rivendicare il loro esclusivo diritto di svolgere
tali compiti. Le donne continuano ad essere poste come principali
responsabili dell’organizzazione familiare. Nel lavoro di cura e
allevamento dei figli, la partecipazione dei padri è ridotta. Il
sostegno pubblico è limitato, dunque ci si affida alle relazioni
familiari per avere un supporto socio-istituzionale, e questo pone le
donne al centro delle dinamiche organizzative. Lo sviluppo
dell’identità di genere avviene durante la crescita, in continua
interazione con contesti di socializzazione caratterizzati dalla
presenza di generazioni diverse. È nella famiglia che si colloca il
processo di ridefinizione di ciò che è maschile e femminile.
L’evento-disabilità conduce a ulteriori complicazioni
nell’organizzazione familiare, solitamente a sfavore del tempo delle
donne. Il ruolo organizzativo della donna riduce ai minimi termini il
suo tempo personale o lo annulla. La nascita di un figlio disabile
comporta ripercussioni non previste: provoca sovraccarico di lavoro
(burnout), peso eccessivo delle responsabilità, limitazioni nelle
relazioni sociali, problemi di salute, abbandono del lavoro retribuito,
ecc. Tra gli aspetti gratificanti l’opportunità di instaurare legami forti
e l’apprezzamento per il lavoro svolto. La disabilità spesso investe
le famiglie tramite l’invecchiamento degli anziani e in modo meno
naturale quando si affrontano problematiche relative ai figli disabili.
Per molto tempo si è attribuita alle donne un’innata propensione
alla cura mettendo in connessione questa attività con lo
svolgimento del ruolo materno. La consistente presenza delle donne
nel lavoro di cura dovrebbe tener conto del valore personale di chi
si fa carico di tali compiti e pertanto della sua rilevanza sociale.
M. Centorrino – Media e disabilità: la political correctness e
la routine produttiva: I mass media giocano un ruolo chiave nella
determinazione del modo in cui la società considera la disabilità.
Hanno assunto un ruolo istituzionale. Il discorso mediale
rappresenta un meccanismo di formazione di potere (simbolico)
tramite la diffusione di significati condivisi, la definizione di ciò che
è valore. I media ci forniscono le modalità con le quali noi
immaginiamo determinate situazioni, identità, gruppi. Col Web si
innesca una dinamica più complessa, in cui viene sviluppata da
parte degli utenti una forma di contropotere. Internet costituisce un
fondamentale spazio espressivo, soprattutto per le categorie
svantaggiate dai media tradizionali (immigrati, disabili). Inoltre, i
media rappresentano ripetutamente determinati eventi e
protagonisti, mentre ne emarginano o escludono altri, facendoli
sembrare minacciosi. Negli anni è aumentato il numero di articoli
contenenti termini come portatore di handicap o disabile. Sembra
essersi ampliata anche una forma di politically correctness
linguistica (disabile sostituisce handicappato) e il fenomeno ha
avuto maggiore visibilità. Radtke individua la svolta nel post
Seconda Guerra mondiale e parla di approccio dicotomico:
Mendicante, nel senso di persona che non può fare nulla senza
l’aiuto altrui, o Batman, nel senso di eroe disabile che riesce a fare
prestazioni che neanche persone non disabili riescono a realizzare
(scalatori ciechi sull’Everest). Negli ultimi anni la persona disabile è
diventata uno dei soggetti ideali per innescare processi di
spettacolarizzazione, tipica dei contenuti mediali. In ogni caso sono
stati compiuti passi in avanti: in questo senso va letto il maggiore
spazio dedicato alla disabilità e al disabile. La produzione
giornalistica è connotata da una serie di meccanismi su cui si basa
l’intera organizzazione. Tali meccanismi danno vita a distorsioni
involontarie, non legate a un’opera di manipolazione connessa a
pressioni o a deformazioni deliberate dalle notizie. Scrivere disabile
piuttosto che handicappato è un progresso, perché lo stesso
linguaggio potrà essere influenzato da tali mutamenti, ma non si
può parlare di una vera e propria presa di coscienza.
M. Parito – Gli altri (?) cittadini: disabilità e comunicazione
pubblica: centralità del cittadino significa prestare attenzione alle
esigenze e alle aspettative dei differenti segmenti di popolazione,
attualizzare i diritti di cittadinanza partendo dalle reali condizioni
sociali, culturali e anche fisiche e psichiche delle persone.
Nell’ambito di una nuova narrativa dei diritti, la Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea costruisce un discorso in cui la
persona e la sua dignità hanno ruolo centrale. Per la prima volta
vengono indicate dignità, uguaglianza, solidarietà come valori
fondativi, che si aggiungono a libertà, cittadinanza e giustizia. Tra le
attività promosse dalle istituzioni comunitarie, l’Anno europeo
rappresenta uno strumento di comunicazione pubblica significativo.
Nel 2003 Anno europeo delle persone con disabilità. Il Consiglio è
intervenuto con 3 distinte risoluzioni, invitando Commissione e Stati
membri a prendere iniziative concrete per garantire l’accesso alle
infrastrutture e alle attività culturali, l’eguaglianza nelle opportunità
all’istruzione e alla formazione continua, l’effettiva partecipazione
alla società della conoscenza, aperta con la diffusione dei media
digitali. Si aggiunge il Piano d’azione per le Pari opportunità per le
persone con disabilità che stabilisce il programma delle iniziative
per il periodo 2004-2010, seguito dalla Strategia europea sulla
disabilità (diritti fondamentali sanciti dalla Carta) che definisce gli
interventi per i successivi 10 anni. L’Anno europeo costituisce la
fase che mira al