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L’IMPOSIZIONE, quando era ormai chiaro il posto che avrebbero occupato nel foglio di stampa. SI può così
intuire che queste pagine siano state distribuite in una forma in piombo che era servita in precedenza per
altre tirature: erano state levate le vecchie pagine ma non le segnature e i numeri delle carte della
precedente imposizione.
Il nostro foglio non è mai entrato in nessun libro dato che è stampato su un solo lato. Più che uno scarto di
tipografia, scartato in seguito alla scoperta degli errori, sembra essere una BOZZA DI STAMPA. La prova che
non si tratta di un semplice scarto di tipografia ma di una bozza di stampa viene dal fatto che su di esso
furono stampati con il solo colore ROSSO tutti i testi, anche quelli che nel libro definitivo avrebbero dovuto
essere in nero. Quando fu tirato in rosso si sapeva già che doveva servire solo alla correzione. Il fatto, poi,
che sul testo vi siano stampate soltanto le linee del rigo musicale mentre sono assenti le note che esse
dovevano ospitare, si spiega con il fatto che le note musicali venivano composte ed inserite nella forma in
piombo, e quindi stampate, in un secondo momento. Infatti nella stampa musicale le note in nero
dovevano essere stampate sui righi in rosso e per questo dovevano essere composte, inchiostrate e
stampate in due tempi diversi. Per quanto riguarda le origini del foglio, il suo ritrovamento in un registro
prodotto in una bottega libraria di Ferrara che aveva intensi rapporti commerciali con Venezia e la filigrana
fanno pensare che la bozza provenisse da un officina tipografica veneziana. In particolare si può osservare
come nelle REGULAE MONASTICAE del 1500 stampate da uno dei tipografi più attivi a Venezia tra 400 e
500, GIOVANNI EMERICO DA SPIRA, siano presenti gli stessi caratteri della nostra bozza. Le analisi
permettono di sostenere che i due alfabeti provengono dalla stessa serie di punzoni. A togliere ogni dubbio
sull’uso nell’officina di GIOVANNI DA SPIRA di caratteri identici in tutto a quelli della bozza non sono tanto
le REGULAE, quanto piuttosto il MISSALE MESSANESE pubblicato in folio nel 1499. La corrispondenza con
l’alfabeto della bozza è perfetta. I CARATTERI GOTICI della bozza sono presenti in entrambe queste opere.
Inoltre un rigo musicale identico a quello della bozza è presente nel MISSALE ROMANUM stampato in
quarto da GIOVANNI EMERICO DA SPIRA nel 1497. Le linee del rigo musicale della bozza non fanno altro
che confermare il quadro che emerge dall’analisi delle iniziali (le iniziali lombarde, alte 10 mm) e dei
caratteri. Tra il 1497 e il 1500 GIOVANNI DA SPIRA stampa le linee musicali non con un'unica riga di metallo,
ma ricorrendo alla giustapposizione di piccoli segmenti: sette di questi segmenti compongono sia i righi
musicali della nostra bozza, sia quelli del MISSALE ROMANUM. La nostra bozza si presenta quindi
imparentata con l’officina di GIOVANNI, dalla quale uscì per raggiungere Ferrara, entrare nella bottega di
DOMENICO SILVIERI, per essere poi incollata come puro sostegno cartaceo alla copertina di un registro
della Camera Ducale.
GLI ATLANTI DEI CARATTERI TIPOGRAFICI: SIGISMONDO FANTI scrive e pubblica un atlante delle scritture
manuali nel momento in cui la tipografia, nel 1514, ha ormai fatto trionfare un nuovo modo di scrivere libri,
non più a mano ma a stampa. Egli, ingegnere, architetto e matematico si mostra interessato sia ai rapporti
proporzionali tra gli elementi della lettera sia alla nascita della lettera grazie all’assemblaggio di pochi e ben
definiti moduli geometrici. È interessato non solo alla scrittura ma soprattutto alla fabbricazione di ogni
tipo di lettera. Ha quindi un atteggiamento scientifico, non da scriba, ma da uomo di tipografia. Quindi, pur
proponendosi di diffondere nell’età della stampa la teoria e la pratica della scrittura a mano, appare,
nell’impostazione dei problemi e nel modo di concepire la scrittura, un UOMO TIPOGRAFICO. Egli si
propone di disegnare un atlante generale di tutte le scritture latine del suo tempo, si tratta quindi di una
presentazione degli alfabeti in uso tra 400 e 500. Il trattato si compone di quattro libri: nel primo fornisce
suggerimenti per la scrittura di ogni sorta di lettere alfabetiche designate a partire da una classificazione
costruita in base all’uso, alla funzione, all’area geografica; nel secondo e nel terzo si occupa delle scritture
moderne in uso in Italia e in Francia; nel quarto incontriamo la trattazione sulle lettere capitali e sul modo
di disegnarle. Il trattato si intitola TEHORICA ET PRATICA DE MODO SCRIBENDI FABRICANDQUE OMNES
LITTERARUM SPECIES. In questo trattato egli pubblica solo tre alfabeti e tra essi non compare la SCRITTURA
ROMANA MINUSCOLA, la quale aveva già conquistato gran parte dell’universo tipografico italiano ed
europeo. Una tale assenza può essere ricondotta al fatto che il FANTI, attento principalmente alle scritture
a mano, considerasse la fortuna della scrittura minuscola romana più l’esito del trionfo della tipografia che
un naturale sviluppo della tradizione precedente, incentrata sulla LETTERA FERMATA MODERNA (il gotico),
soprattutto negli ambienti tecnici e scientifici di cui egli faceva parte. Inoltre tra gli usi della scrittura egli
considera fondamentali non quelli che riguardano il mondo rinato degli antichi, ma le cose contemporanee
di tutti i giorni. Tale scrittura costituisce il minimo comune denominatore di tutte le forme dello scrivere e
da essa traggono origine tutte le altre. A lui è inoltre attribuito un manoscritto della biblioteca ariostea di
Ferrara che riporta in calce la data del 1515 e intitolato il TRATTATO DELLO SCRIVERE. Esso sembra
costituire la continuazione del trattato precedente con la presentazione, il disegno e le proporzioni di
nuove serie alfabetiche, a completare il suo atlante delle scritture manuali. Il codice è formato da cinque
fascicoli e nel primo sono contenute alcune serie alfabetiche a cominciare proprio dall’ANTIQUO FERMATO,
che non era presente nel volume a stampa. Un altro manoscritto dell’antico fondo del monastero
benedettino di San Benedetto Polirone intitolato ARS FORMANDI LITTERAS INITIALES MAIUSCOLAS può
essere attribuito al nostro autore. Infatti le NORME GEOMETRICHE per il disegno delle lettere proposte da
questo codice sono le stesse che abbiamo incontrato nel manoscritto ferrarese attribuito a Sigismondo
Fanti. Questi due manoscritti rispecchiano in pieno il suo modo di operare e la sua mentalità: nella ricerca
ossessiva della perfezione delle lettere ricondotte sotto il dominio geometrico della ragione e sottratte al
caso e all’estro creativo. La scrittura è sottoposta al dominio delle leggi della matematica e della geometria.
Essa deve la sua nascita non tanto al precario e occasionale movimento della mano, ma alla perfetta
osservanza delle immutabili e universali leggi della matematica e della geometria, il frutto cioè di un calcolo
proporzionale.
Con la diffusione della scrittura tipografica e il suo prevalere su quella manuale, nel primo 500, gli ALFABETI
LIBRARI della tradizione latina (GOTICO, ROMANO, CORSIVO) si abituano a convivere pacificamente e a
rispondere a differenti esigenze di lettura, a seconda del tipo di testo e a seconda dell’area linguistica e
dell’ambiente culturale in cui sono stampati. Il gotico perde sempre più terreno di fronte all’avanzare del
romano, davanti al quale anche il corsivo si riduce spesso a svolgere funzioni complementari. Questi
alfabeti una volta entrati in tipografia, pur evolvendosi secondo linee parallele, conoscono prestiti e
influenze reciproche. I libri di ALDO MANUZIO manifestano la perfezione raggiunta dai suoi caratteri
tipografici, dalle lettere capitali, dai romani, dai corsivi e dai greci. GHERSOM SONCINO contamina stili e
generi, impiegando il carattere romano al posto del corsivo in un volumetto dal formato in ottavo del DE
VITA CATONIS di CORNELIO NEPOTE. Ricorrendo all’uso del romano nell’edizione in ottavo di un autore
classico latino, egli favorisce il processo di allargamento dell’area di utilizzazione del carattere romano
che, in tipografia, avrebbe primeggiato sia nei confronti del gotico, i cui spazi si erano ormai molto
ridotti, sia sul corsivo, che si sarebbe ridotto a svolgere funzioni complementari, a significare una
particolare connotazione individuale e personale della scrittura, di vicinanza al lettore, come avviene nelle
dediche,nelle prefazioni o in particolari sezioni del testo. Il gotico, la LETTERA FERMATA MODERNA del
Fanti, perse sempre più terreno negli scritti in lingua latina fino a ritagliarsi una nicchia in alcuni paesi di
lingua tedesca e negli usi liturgici. Il CARATTERE ROMANO invece occupò progressivamente spazi che a
partire dai testi degli umanisti, si estesero ad altri ambiti culturali e nuovi generi letterari. Il culto degli
antichi aveva fatto passare in secondo piano le scritture moderne consegnando alle tipografie, per una loro
ampia diffusione presso le giovani generazioni, i testi degli autori classici e le lettere antiche in cui essi
erano scritti: LA CAPITALE, LA MINUSCOLA ANTICA, IL CORSIVO.
La centralità di Venezia nell’atlante dei caratteri tipografici di quegli anni va scritta soprattutto al ruolo che
la città ha svolto nei rapporti commerciali e nelle relazioni culturali tra l’Italia e l’Europa, e tra quest’ultima
e il vicino oriente. Accanto al percorso più alto della tipografia europea che ha inizio con Manuzio, si diffuse
per tutto il periodo che va dalla fine del 500 al 700, una miriade di piccole fonderie che creavano caratteri
di livello basso per un uso quotidiano e di bottega. A riportare in Italia l’amore e il gusto per la bella pagina
fu GIAMBATTISTA BODONI.
Il LIBER CHRONICARUM di HARTMANN SCHEDEL è una lunghissima e complessa narrazione che fu
dall’autore compilata riassumendo e condensando notizie e informazioni attinte da altri autori. L’enorme
quantità di personaggi e di vicende era giustificata dal fatto che si trattava della STORIA DEL MONDO e delle
sue sette età più l’ultima, quella del giudizio finale. Si ha l’impressione che l’autore nello scrivere si sia
comportato più da lettore che da scrittore. Nel medioevo e nell’umanesimo, quando i libri erano scritti a
mano e nei primi decenni dell’invenzione della stampa, la lettura di un libro avveniva in modi molto diversi
da oggi. Non potendo contare sulla disponibilità di grandi quantità di libri e per far tesoro di quanto
andavano apprendendo, i lettori dovevano sia INDICIZZARE MENTALMENTE i testi, sia TRASCRIVERE
immediatamente i brani e le sintesi mescolate a riflessioni personali. Nasceva così un nuovo testo che
poteva presentarsi come una raccolta antologica dei precedenti o come un loro commentario. SCHEDEL
nella compilazione di quest’opera manifesta il suo atteggiamento pienamente umanistico di lettore. La sua
narrazione non è la semplice tra