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A B’ A
. Ma di fatto si agisce alla luce dei condizionali in cui si crede.
attraversato il Rubicone non avrebbe conquistato Roma’]
D’altro lato, ci sono molte cose che non possiamo vedere, e uno dei vantaggi di esaminare il modo in cui nel passato
si prevedeva il futuro è misurare quanto di fatto esso sia stato diverso dalle previsioni. Lo storico Reinhart Koselleck
fu autore di nel quale sostiene che i futuri alla luce dei quali le persone nel passato condussero la
Futuro passato,
propria vita rappresentavano una parte importante del passato (es le paure del Mille).
Possiamo allora osservare come Greenberg interpretasse il suo presente nei primi anni ’60, data la cornice narrativa
da lui elaborata che diede forma al futuro. Quello che accadde nella storia oggettiva fu che le arti visive si
trasformarono al punto che una pratica critica guidata dall’estetica kantiana smise di essere applicabile, una svolta
che la narrazione greenberghiana non poté prevedere.
Greenberg aveva stabilito che l’oggetto della pittura fosse la pittura stessa, cioè la creazione di oggetti concreti fatti
di pigmenti. Ma a un certo punto parve che gli espressionisti astratti, accettando l’imperativo materialista del
modernismo in modo troppo entusiastico, violassero l’imperativo modernista di grado superiore secondo cui l’arte
doveva restare nei limiti del proprio medium: agli occhi di Greenb. si stava sconfinando nel dominio della scultura;
quando la pittura divenne tridimensionale assunse l'identità della scultura (un caso sono le di de Kooning).
Women
Secondo Greenberg l’unico modo di far progredire l’arte nella sua missione storica, avendo fallito l’espressionismo
astratto, era l’“astrazione pittorica” o “color field painting” [movimento pittorico caratterizzato dall'uso di grandi tele coperte
interamente da estensioni invariate di colore, che escludono qualsiasi interesse per il valore del segno, della forma o della materia; es. il
; lo definì un declino verso il “manierismo”, i cuoi paladini erano Helen Frankenthaler, Morris
Rothko di Rockefeller]
Louis e Kenneth Noland. La scultura aveva un ruolo ancillare: erano David Smith e Anthony Caro a portare avanti
la narrazione dell’estetica materialista.
Greenberg non si è mai domandato perché l’espressionismo astratto, «dopo aver prodotto arte di cruciale importanza, sia
Credo che una possibile risposta vada cercata nel fatto che, a differenza
diventato una scuola (moda), poi una maniera».
della pittura tradizionale, l’espressionismo astratto non poteva essere altro che arte; era tagliato fuori dalla vita. La
successiva generazione di artisti (pop art) ha cercato di riportare l’arte a contatto con la realtà e con la vita, ma
Greenberg non fu in grado di spiegarlo attraverso i suoi concetti e categorie (non fu l’unico).
Non va certo a discredito di Greenberg il non avere ravvisato nella pop art il sintomo di un cambiamento storico: lo
bollò come «un nuovo episodio della storia del gusto, ma non un episodio autenticamente nuovo nell'evoluzione
dell'arte contemporanea»; un nuovo episodio forse perché tematizzava quella piattezza cui teneva tanto. Furono in
molti a credere che nell’opera di Schnabel e David Salle dei primi anni ’80 si stesse verificando una rinascita della
pittura, finalmente tornata sui suoi binari.
Dopo la stagione della color field painting, l’attività di critico di Greenberg subì una battuta di arresto pressoché
definitiva. Continuò a sostenere che la nuova arte fosse «roba facile, ben nota e rassicurante sotto una messa in
scena ostentatamente provocatoria» e, in una lezione del 1992, affermò che mai nella storia «l’arte si fosse mossa
Ma proprio come un certo punto la spiegazione secondo
altrettanto lentamente; negli ultimi 30 anni non è accaduto niente».
cui i modernisti non sapevano disegnare erano una setta di mistificatori smise di essere accettabile e si rese
necessaria una nuova narrazione, così la teoria secondo cui l'arte degli ultimi 30 anni non era che l'incessante sforzo
di soddisfare un appetito di novità doveva essere abbandonata; occorreva guardare all’arte dalla
contemporanea
prospettiva di una grande narrazione.
Di qui la mia tesi sulla fine dell’arte.
Nell’era vasariana l’Arte (con la A maiuscola, come se in una data epoca una e una sola necessaria forma
esistesse
d’arte) si è identificata col rappresentazionalismo; nel modernismo si è identificata col suo veicolo materiale. In
queste epoche venne prodotta anche arte che non rientra a pieno titolo in questo schema, ma che ricade al di fuori
Secondo Longhi, Carlo Crivelli fu incapace di incorporare nella sua opera la «profonda innovazione
della storia.
pittorica e prospettica». Berenson scrisse che «rimase fuori dal movimento della Rinascenza. Non esiste una formula la quale
d’altro lato invece
non deformi la nostra idea complessiva della pittura italiana nel XV sec allo stesso tempo renda giustizia Crivelli»;
è solo nel contesto di una specifica narrazione di sviluppo che la vera originalità di Crivelli può emergere.
Un’analoga critica è mossa da Rosalind Krauss: Greenberg non seppe capire il surrealismo perché considerava
questi artisti troppo impegnati nel coltivare il virtuosismo nella rappresentazione naturalistica.
“Quello che vuole l’arte” oggi è la comprensione filosofica di cosa sia l’arte. Ciò è stato ottenuto nello steso modo in
cui una persona arriva a un maggior grado di consapevolezza nella propria vita: attraverso errori. Il primo falso
cammino per l’arte fu di identificarsi con la rappresentazione; il secondo fu l’estetica materialistica di Greenberg
(concentrarsi sulle proprietà materiali che differiscono da medium a medium). La critica è passata dalla descrizione
del contenuto [ ] dell’opera d’arte (uh com’è fatta bene la Gioconda), alla descrizione delle opre stesse.
io direi soggetto
Ci si può rendere conto delle implicazioni di questa transizione pensando alla differenza nei modi in cui erano
trattate le opere che ricadevano della storia. Nel modernismo l’arte africana si guadagnò una certa stima;
al di fuori
fu guardata sulla base dell’“antropologia vittoriana”, cioè come se quelle culture primitive fossero fossili viventi di
una specie di cui noi siamo esemplari più sviluppati.
È affascinante studiare le modalità con le quali periodi precedenti - privi della cornice dell’antropologia vittoriana -
guardarono all’arte esotica. Dürer sull’oreficeria messicana: «ho visto le cose portate al re dal nuovo paese dell’oro: in vita mia
non ho visto nulla che abbia tanto allietato il mio cuore. Mi sono stupito per gli acuti ingenia della gente di paesi così lontani».
L’umanista Pietro Martire d’Anghiera di fronte alle stesse gemme non ebbe problemi a descriverle sotto il profilo
estetico: «non mi meraviglio dell’oro e delle gemme, ma provo stupore per l’operosità». È il 1520, non sono ancora
state pubblicate le di Vasari: Dürer e Pietro non dovevano porsi il problema di inserire queste opere nella
Vite
cornice di una narrazione, come accadde a Berenson che non riuscì a inquadrare Crivelli. Nemmeno Greenberg
dovette risolvere questo problema, poiché il modernismo accordò cittadinanza all’“arte esotica”: i principi
trascendentali del gusto permettevano di trattarla in modo astorico.
Il era un concetto centrale nell’estetica del ‘700 e il principale problema era riconciliare quelle che
gusto
apparivano due verità innegabili: a) l’idea che e b) che esista qualcosa che si può definire
de gustibus non est disputandum
buon gusto. Tutte le opere d’arte sono come una cosa sola, da questo punto di vista: per questo il modernismo ha
accettato la scultura negra; e per questo tutti i musei sono musei di arte moderna, nella misura in cui il giudizio su
cosa sia arte è basato su un’estetica formalista. L’esteta è ovunque a suo agio.
Ma fu per la bellezza formale che Picasso fu attratto dagli oggetti d’arte visti al Trocadero nel 1907? «Era disgustoso il
Trocadero, puzzava. Volevo andarmene. Non me ne andavo. Le maschere non erano sculture come le altre. Erano oggetti magici, feticci,
L’arte
armi per aiutare la gente a non essere più soggetta agli spiriti. Les demoiselles d’Avignon mi devono essere nate quel giorno».
africana nasceva per esercitare potere sulle forze oscure. Scriveva Virginia Woolf: «sono andata a vedere gli intagli e li ho
quegli stessi intagli sono
trovati cupi e impressionanti, se ne avessi avuto uno sul caminetto sarei un’altra persona - meno amabile»;
stati ambasciatori di buon gusto su non pochi caminetti. Nel modernismo si è capito quegli oggetti solo dal punto di
vista estetico, non si è capito il sentimento che li ispirava.
La fine del modernismo mise fine alla tirannia del gusto e fece spazio a quello che Greenberg trovava inaccettabile
nel surrealismo: il lato antiformale, antiestetico. L’estetica, il gusto, non permette di capire Duchamp [cfr: dicevano
che il cesso era scintillante]; bisogna accettare che non tutta l’arte viene esperita tramite il gusto. Ma il successo
dell’arte di Duchamp, che non necessita delle regole del gusto, non è una proprietà costitutiva dell’arte
ontologico
[non tutta l’arte viene esperita così, ontologicamente; arte di altri tempi è stata esperita esteticamente].
Duchamp dimostrò come distinguere l’arte dalla realtà [ è stato lui il primo, poi Warhol è stato quello che ha colpito
]; un problema che interessò anche Platone, che però vi
Danto, e dagli anni ’60 il tema del confine arte-realtà fu centrale
vide una risposta fuorviante.
Il confine tra arte e realtà è stato il tema centrale dell’arte americana dagli anni ’60; naturalmente ci furono
tantissimi artisti che non si cimentarono in tale ricerca, e se si volesse applicare lo stesso spirito discriminatorio delle
filosofie della storia dell’arte, si direbbe che ricadono della storia. Ma questa non è più una chiave di lettura
al di fuori
valida per la postmodernità: una volta che l’arte ebbe sollevato la domanda filosofica nella sua natura, la storia
giunse al termine; era arrivato il momento della filosofia. Significa che non si potrà più dire che un’opera d’arte
ricade della storia. Tutto è possibile e tutto può essere arte. Greenberg ha ragione: non è successo nient