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Bandinelli abbandonò l'insegnamento nel 1964 ma lasciò molti allievi che ebbero una grande
importanza sulla futura archeologia italiana (Coarelli, Torelli, Carandini). Il suo successore fu
Achille Adriani.
7.3 La società degli archeologi italiani: Dagli anni '60 l'archeologia acquista spazi culturali e
disciplinari più ampi. Pallottino, fondatore dell'etruscologia italiana, lamentava, su Archeologia
Classica, la mancanza di un organo ufficiale → propose che un istituto dovesse nascere
autonomamente da una spontanea volontà associativa degli stessi studiosi, suggerendo una libera
associazione degli archeologi sul modello delle societies americane con il fine dell'incontro.
All'iniziativa aderirono anche molti giovani archeologi che presentarono dei cahier di lamentele
con i provvedimenti più urgenti. Bandinelli fu favorevole all'iniziativa, secondo lui già intavolare
una discussione poteva essere un passo verso il progresso.
Nel 1964 fu istituita la SAI (=Società degli archeologi italiani) che ebbe però vita breve.
I più giovani volevano che la società indirizzasse questo nuovo organo incaricandolo in particolare
di occuparsi dei gruppi di studiosi organizzati in equipe. I più vecchi si opposero: vedevano minati
gli schemi prefissati in cui erano soliti indirizzare le loro ricerche e la loro libertà di ricerca privata.
Quando fu il momento di elaborare uno statuto per l'organo i giovani fecero la loro proposta che fu
approvata dall'assemblea ma dichiarata non valida dal consiglio direttivo → il consiglio diede le
dimissioni e su 124 partecipanti 102 abbandonarono la SAI.
7.4 I dialoghi di archeologia: tra i giovani che avevano battagliato nella SAI vi erano alcuni
allievi di Bandinelli che gli proposero di dar vita a una pubblicazione periodica nella quale
difendere le loro posizioni. → nel 1967 nasce la rivista Dialoghi di Archeologia il cui principio
basilare era l'interdisciplinarità con studiosi di filologia, storia etc. (N.B. l'apertura ad altre
discipline non significava apertura verso altre metodologie, ma era comunque un inizio). Durante
gli otto anni di direzione di Bianchi Bandinelli il proposito fu mantenuto poi, lasciata in eredità ad
alcuni suoi allievi (Carandini, Torelli, Ida Baldassarre) decadde a causa delle divergenze
metodologiche.
7.5 Il dibattito sul metodo dello scavo: Dall'inizio del '900 in Europa circolavano opere sul
metodo dello scavo. Già nel 1938 un archeologo finlandese Tallgren affermava che l'archeologia
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doveva cessare di basarsi sullo studio di oggetti e di forme per diventare scienza economica, sociale
e storica. In Italia non era immaginabile. L'unico esempio veniva dagli scavi di Boni che però non
erano mai stato esplicitati con un opera scritta e si continuava a scavare con un metodo empirico.
Lo scavo era ancora visto come uno strumento per liberare il monumento e recuperare gli oggetti,
anche più umili, ma senza approfondire il rapporto tra l'oggetto e la terra che lo ricopre.
Tra il 1910 e il 1923 Spinazzola aveva condotto scavi in Via dell'Abbondanza a Pompei. Nel
capitolo iniziale sulla pubblicazione degli scavi, Metodi e metodo dello scavo, mostrava già una
sensibilità per la stratificazione dell'età moderna anche se sembra che non ritenga il metodo
stratigrafico adatto per il mondo classico. Lo stesso Maiuri, che si era precedentemente occupato di
Pompei, era intervenuto nel dibattito sul metodo di scavo → secondo lui il metodo stratigrafico va
distinto a seconda che si scavino edifici o si intervenga nel sottosuolo → è convinto che non sia
necessario scavare stratigraficamente il monumento. Tuttavia questo dibattito non fu recepito su
larga scala.
Qual era allora la coscienza di uno scavo archeologico? Era allora possibile trovare in Italia
un metodo di scavo più moderno? Un esempio, anche se isolato, fu quello di Nino Lamboglia.
Nel 1950 pubblicò Gli scavi di Albintimiluim con riferimento ai lavori condotti tra il '38 e il '40.
Lo scavo di Ventimiglia era stato presentato come il primo tentativo di studiare per fasi una città
romana e nel suo autore c'era la consapevolezza che l'estensione dello scavo stratigrafico, fino ad
allora utilizzato per la preistoria in contesti extraurbani, a contesti urbani di epoca romana avrebbe
prodotto grandi progressi.
Aspetti importanti secondo Lamboglia: rapporto tra strati e strutture e tra strati e materiali;
presenza dell'archeologo sullo scavo; documentazione grafica accurata ed immediata;
classificazione analitica del materiale ceramico → richiedeva una specializzazione ulteriore già a
livello accademico per i giovani archeologi sebbene lo stesso ambiente accademico guardasse con
ritrosia a Lamboglia. Poté tuttavia condurre uno scavo didattico alla Curia dove riscavò le fosse
create nel 1937 quando fu recuperato l'antico edificio con la distruzione della chiesa sovrastante.
Un secolo dopo Fiorelli e la sua battaglia per la Scuola di Pompei l'archeologia italiana era ancora
ferma al pregiudizio che fosse impossibile spiegare il metodo di scavo secondo norme precise.
Questa teoria fu ampiamente confutata alla fine degli anni '70 da Edward Harris con i suoi
Princples of archaeological stratigraphy (1979).
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VIII. Archeologia del mondo classico come sistema aperto
8.1 Le diverse facce del poliedro: Bianchi Bandinelli cominciò, alla sua epoca, a sentire
minacciata al storia dell'arte, che egli considerava l'espressione più alta della cultura umanistica.
Una delle cause principali, secondo Bandinelli, era la scissione tra archeologia a storia dell'arte che,
soprattutto nell'Unione Sovietica, aveva generato l'applicazione della teoria marxista. Secondo lui i
principi del marxismo non possono essere applicati passivamente ma devono essere sviluppati in
maniera creativa (ndr. l'interpretazione storicista della teoria di Marx la storia è considerata da un
punto di vista immanente come autoliberazione dell'uomo attraverso la razionalizzazione
progressiva del proprio rapporto con la natura. La logica con cui questa verità si rivela nella storia è
per lo più vista come compresenza e funzionalità reciproca di progresso e rovina […] ).
Questa riflessione lo portò comunque a nuove considerazioni come attribuire una nuova importanza
al committente dell'opera d'arte oltre che al produttore.
Il saggio Il cratere di Derveni (1975) può essere considerato il testamento scientifico di
Bandinelli, qui si trova la definizione di opera d'arte come poliedro: “Ogni faccia del poliedro
rispecchia un particolare elemento (sociale, economico, politico) che è componente del tutto.
Ciascuna faccia è subordinata all'insieme ma allo stesso tempo determinante per il tutto”.
Il passo successivo sarebbe stato considerare la stessa arte come una faccia del poliedro che era la
società. → il manufatto artistico è un mezzo per la comprensione di una società ma non può essere
considerato il suo unico prodotto.
8.2 Le archeologie del futuro: Queste idee che Bandinelli lasciò incompiute furono riprese e
migliorate da alcuni suoi allievi negli anni '70.
Il più importante è Andrea Carandini che da alcuni anni lavorava agli scavi di Ostia e affermò di
essersi reso conto, durante gli scavi, che i manufatti più umili davano informazioni sulla storia
economica e sociale di Roma alla pari delle opere d'arte. Questi lavori convinsero lo stesso
Bandinelli che l'archeologia non poteva più essere concepita principalmente come storia dell'arte,
ma come disciplina storica, che poteva aiutare a risolvere in maniera decisiva problemi della storia
economica e sociale romana. Tentò addirittura di creare una cattedra di Industria artistica Greca e
Romana all'università di Roma. Nel 1973 Bandinelli tenne una conferenza all'Accademia dei
Lincei, L'archeologia come scienza storica, in cui mostrò la consapevolezza dell'importanza dello
scavo archeologico come strumento per la conoscenza del mondo antico sul modello degli scavi
preistorici e della necessità di ricostruire e interpretare anche il minimo oggetto ritrovato. Si trattava
del riconoscimento del lavoro nato empiricamente nello scavo delle Terme del Nuotatore di Ostia
Per apprendere le tecniche basilari di scavo era necessario recarsi a Bordighera presso l'Istituto di
Studi Liguri fondato da Lamboglia.
Dopo l'esperienza di Ostia, Carandini e un gruppo di giovani studiosi si recarono a Cartagine per
condurre scavi in comunione con numerose équipes internazionali → fu l'occasione per misurare il
livello della ricerca italiana. Importantissimo fu l'incontro con Hurst della scuola inglese.
Carandini si discostò dagli altri allievi di Bandinelli e dall'insegnamento del maestro affermando
che non si poteva studiare la produzione artistica di una popolazione pretendendo che
coincidesse con la storia totale ma che andasse considerata in un contesto più ampio. →
andava considerata la cultura materiale per la quale erano necessari mezzi d'indagine differenti da
quelli propri della storia dell'arte → Abbandono dello studio delle ricerche storico- artistiche a
favore degli oggetti della cultura materiale.
In Archeologia e Cultura Materiale Carandini partì dalle ultime posizioni di Bianchi Bandinelli e le
sviluppò in senso radicale → nella pubblicazione dello scavo di Settefinestre mise sullo stesso
livello i reperti relativi agli studi sui rifiuti degli schiavi e quelli relativi agli affreschi → l'ordinario
e l'”importante” vennero messi sullo stesso piano facendo del primo l mezzo per conoscere il
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contesto di produzione del secondo.
Altri allievi di Bandinelli furono:
Coarelli: ripartendo dalle riflessioni di Bandinelli sul rapporto tra arte e società approfondì il
rapporto tra committente e destinatario, scrisse anche saggi basilari sulla topografia antica di Roma
Torelli:si dedicò allo studio della mentalità della classe aristocratica etrusca attraverso un serrato
confronto tra dati antiquari, archeologici ed epigrafici.
8.3 Forme visive e loro interpretazione in archeologia (iconografia): Gli studi più antichi
sull'iconografia della statue tentavano di identificarvi questo o quel personaggio storico MA i
ritratti non vengono esaminati come strumento di conoscenza della società antica.
Primi studi in questo senso possono essere rintracciati negli ultimi anni dell'800 con Kekulè, Riegl e
Carl Robert.
In Italia per lo più la questione dell'immagine verteva su qualità, stile e struttura e il problema
iconografico esisteva solo da un punto di vista evolutivo dal