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La negazione delle teorie bipolari non si fonda dunque sono sulla preferenza per una visione
pluralistica dell'arte romana, ma anzi, soprattutto, sull'opzione per un approccio funzionale e
tematico, focalizzato sul ventaglio dei contenuti e sulla loro sfera d'uso. Infatti nel primo caso
l'oggetto d’arte è classificato solo in base alla classe sociale del committente, nel secondo anche in
base ai suoi destinatari, e dunque alle corrispettive norme di genere.
La peculiarità dell'arte romana troverà una sua definizione nella sua formazione, sviluppo e destino
storico: possiamo pensare che proprio la forte unità statale e la centralizzazione del potere,
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sovrapponendosi a un processo storico già per suo conto avviato, ne abbia fortemente alterato,
accelerandoli e incanalandoli dentro specifiche funzioni, e dunque caratterizzandoli come
assolutamente propri, meccanismi, norme e ritmi.
I romani non sono proseguono quel movimento di circolazione e di omologazione delle culture
artistiche del bacino del Mediterraneo in cui già si è affermato il carattere egemonico dell'arte greca,
ma ne prendono la guida e lo piegano a proprio instrumentum regni: è in questo senso che l'arte
romana, per essere intesa nella sua unità e nella sua articolazione, va caratterizzata con un'arte al
plurale.
In essa, proprio grazie a quel processo di assimilazione e selezione vietate garantito dal giudizio
d'arte, la componente ellenica del linguaggio figurativo potere al tempo stesso esprimere
l'educazione storica e lo stile di vita dell’elitè, ma anche servire come sistema di comunicazione
visuale universalmente comprensibile. Attraverso una formidabile assimilazione, distillazione e
riformulazione di tutte le culture artistiche mediterranee, prima di tutto di quella greca, i romani
intesero esprimere e canalizzare quello stesso impulso alla codificazione e all'organizzazione che
informava il corpo delle leggi e la rete delle strade, la struttura dell'esercito e del sacrificio, gli
acquedotti a forma urbana, il tempio e il dipinto.
Bisogna quindi puntare l'attenzione sul mescolarsi delle culture, sulle zone di sovrapposizione, sulle
stelle di interazione, scegliendo di volta in volta non sono il punto di vista centralizzante di Roma
capitale e unico centro propulsore, ma quello o anche quello delle varie periferie.
Brendel to a book on a roman art”
Il saggio di si intitola “Prolegomena in Memoirs of the
American Academy of Romae (1953) e si tratta di una critica radicale alle idee di Bianchi
Bandinelli che aveva già espresso negli anni 30. Oto Brendel scrive:
“Le teorie dualistiche esaminate (…) riconoscono nell’arte romana un atteggiamento stilistico
dualistico, invece di un’uniformità completa, ma suppongono altresì che un artista segue una, ed
una soltanto, delle due correnti che costituiscono la bipolarità dell’arte romana. Non si prende in
considerazione la possibilità che lo stesso artista possa aver prodotto opere di stile “popolare” e di
stile “maggiore”.”
Il fatto di aver legato così strettamente un linguaggio figurativo alle classi sociali crea un grosso
problema quando uno incontra linguaggi figurativi diversi nello stesso monumento e di fatto
Bianchi Bandinelli nega la possibilità che un artigiano possa utilizzare contemporaneamente
linguaggi figurativi diversi in funzione di ciò che vuole comunicare di volta in volta.
del contemporaneo”,
Brendel quindi introduce il concetto di “ineguaglianze cioè il fatto che
un'opera d'arte della stessa epoca e prodotta dalle stesse botteghe e con gli stessi committenti possa
parlare tranquillamente linguaggi differenti, per cui sullo stesso monumento si possono trovare
linguaggi diversi e non per eclettismo, ma in funzione del contenuto e del messaggio che si vuole
trasmettere.
Sulla colonna antonina, nel rilievo raffigurante l'apoteosi di Antonino pio e di Faustina Maggiore
vediamo un linguaggio allegorico e un modello classicistico (anche se il linguaggio è meno
allegorico di quanto si creda poiché un’aquila doveva essere vista in cielo durante il rogo funebre
dell'imperatore per potere decidere la sua apoteosi).
Questo linguaggio figurativo di tradizione colta convive tranquillamente con la decursio, dove
compare la prospettiva a volo d'uccello e Bianchi Bandinelli da la sua soluzione per questo
problema:
Accade nella base di questo monumento, quello che tante volte vediamo nella pittura rinascimentale
sulle predelle delle pale d’altare: che nelle parti secondarie, appunto le predelle, l’artista esprime più
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liberamente le novità di una problematica artistica che si sta trasformando e che potrebbe urtare
contro il conformismo del committente ufficiale
Quindi secondo Bianchi Bandinelli l'artigiano ha potuto utilizzare la prospettiva a volo d'uccello su
questo lato essendo meno importante di quello con l'apoteosi di Antonino pio e Faustina; in realtà
questo contraddice l'assunto iniziale di Bianchi Bandinelli sulla stretta relazione tra il linguaggio
figurativo e le classi sociali, però egli finge di non accorgersi di questa aporia nel suo pensiero.
In realtà dovremmo chiederci perché è stata usata la prospettiva a volo d'uccello per rappresentare
una decursio, e allora dovremmo chiederci come è possibile rappresentare una decursio, ovvero una
giostra equestre che fa un percorso circolare, cioè come avrebbe potuto un'artista comunicare agli
spettatori che il percorso della giostra è circolare? Non avrebbe alternative che la prospettiva a volo
d'uccello, mettendo i cavalli lungo tutto il percorso per far capire che si trattava di un percorso
circolare.
Quindi secondo Bianchi Bandinelli la scena dell’apoteosi utilizza il linguaggio figurativo più
elevato, essendo molto più importante, invece un linguaggio figurativo più diretto e immediato
viene riservato ai rilievi con decursio che sono meno importanti (ci sono due decursio, uno per
Antonino Pio, l’altro per Faustina maggiore).
Un altro monumento celeberrimo è l'arco di Tito dove vediamo il piccolo fregio che rappresenta una
pompa trionfalis, mentre all'interno del fornice vi sono il rilievo dell'apoteosi e i due rilievi con
momenti del trionfo, dove vediamo un linguaggio colto, di derivazione ellenistica (si tratta di un
apparato decorativo abbastanza ridotto).
Sul piccolo fregio tutte le figure sono rigorosamente paratattiche e tutte sono rappresentate
frontalmente, eppure si tratta di un corteo trionfale, quindi dovrebbero essere tutti di profilo; eppure
sono rappresentati paratatticamente, separati l'uno dall'altro e frontalmente: si tratta degli strumenti
attribuiti al linguaggio figurativo dell'arte plebea e che convivono con i pannelli e rappresentano
anche lo stesso soggetto; i linguaggi figurativi usati per i due non possono essere i più diversi.
Vi è anche l’apoteosi di Tito, che è seduto sull'aquila all'amazzone, ma vediamo la testa dall’alto,
poiché l’artista doveva fare vedere che si trattava di Tito; tutto ciò cosa ci fa tutto insieme nell'arco
di Tito? Spiegare questo è ciò che non spiega Bianchi Bandinelli perché lui distingue i linguaggi
figurativi in base alla classe sociale, invece possiamo trovare diversi linguaggi figurativi nello
stesso monumento, ma perché stanno insieme nello stesso monumento?
Una spiegazione ci può essere: se pensiamo alla pompa trionfalis, di essa ne abbiamo due
rappresentazioni nell'arco, i due rilievi del fornice e il piccolo fregio sulla sommità dell'architrave. I
momenti più importanti di un trionfo sono il passaggio dalla porta trionfalis e il momento che
precede il sacrificio al tempio di Giove: è come se i due momenti più importanti fossero stati
staccati dalla scena complessiva e isolati; di conseguenza la narrazione del momento eclatante del
trionfo riceve un trattamento più elevato, un linguaggio figurativo più colto.
Viceversa, del piccolo fregio si vuole dare una sorta di resoconto completo del trionfo, quasi un
catalogo delle categorie dei partecipanti al trionfo (figure staccate dal fondo neutro e ordinate
paratatticamente); ecco allora che si usa tranquillamente il linguaggio figurativo dell'arte plebea che
è riservato a un catalogo, con tutta la rappresentazione dei partecipanti visti frontalmente.
Nell’apoteosi di Tito la posizione è fortemente condizionata dalla collocazione del rilievo che si
trova sulla sommità del fornice del passaggio e deve porre lo spettatore nella condizione di assistere
a questa apoteosi: questo determina la posizione dell'aquila e, siccome dobbiamo poter riconoscere
Tito, questo determina una serie di accorgimenti nel rilievo.
Di fatto non possiamo pensare a maestranze diverse, infatti l'arco di Tito è opera di una stessa
maestranza che ha usato linguaggi figurativi diversi a seconda del messaggio che voleva
comunicare e ha usato la tradizione colta dell'arte ellenistica per i due momenti clou del trionfo ed è
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ricorsa al linguaggio figurativo plebeo per il catalogo, il resoconto del trionfo e l'apoteosi di Tito e
questi strumenti diversi convivono tranquillamente nello stesso monumento.
Quindi il problema che Bianchi Bandinelli non spiega può essere spiegato se consideriamo i
linguaggi figurativi delle opzioni che possono essere utilizzate in funzione di ciò che qualcuno
vuole comunicare, in funzione del messaggio e della destinazione dell'opera; gli artisti sanno quindi
adeguare il linguaggio figurativo al messaggio che vogliono trasmettere.
Quindi la spiegazione della convivenza di linguaggi figurativi diversi sta nella diversa importanza
dei rilievi e dei soggetti: se io rappresento tutto il trionfo in una sorta di catalogo, con tutti quanti i
personaggi che partecipano alla cerimonia, utilizzo un linguaggio figurativo didascalico, in cui le
figure sono separate l'una dall'altra; invece per rappresentare uno dei momenti culmine della
cerimonia, cioè il passaggio sotto la porta trionfalis degli oggetti più importanti del bottino della
guerra giudaica, allora utilizzo un registro diverso, più elevato, cioè ricorro al naturalismo dell'arte
greca ellenistica.
Questo fa capire che se ci sono delle maestranze in grado di giocare con i linguaggi figurativi e di
adeguarli al messaggio e alla funzione che ha il rilievo, allora la definizione di Bianchi Bandinelli
non conta più e diversi linguaggi figurativi possono tranquillamente convivere nello stesso
monumento non in funzione classe sociale che li esprime, ma del messaggio, del contenuto che il
monumento deve comunicare.
I rilievi di palazzo