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EGEMONIA E SUBALTERNITÀ NELLA “CRITICAL MEDICAL ANTHROPOLOGY”

I concetti di egemonia e subalternità sono stati centrali in antropologia medica per gli approcci critici e nel concetto di “violenza strutturale”. Hughes, Lock, Farmer, Fassin hanno sottolineato come il potere plasmi le soggettività dei dominati e il loro corpo, divenendo costitutivo della stessa esperienza di sofferenza e malattia. Ciò ha permesso di studiare saperi “medici” tradizionali come strettamente legati alla condizione di subalternità. Il relativismo culturalista (ogni popolo ha le sue concezioni di corpo, salute, malattia, guarigione) lascia il passo a una teoria forte del dominio e dell’incorporazione. Ciò conduce alla disarticolazione della medicina popolare (invenzione più che scoperta). Non è una medicina altra, ma un calco in negativo della medicina egemonica.

Il superamento di una visione realista e culturalista

delle medicine primitive è un passo per un'antropologia riflessiva e critica, ma confusione sui concetti "potere" e "politica" e rapporto tra cultura e potere (Hughes, nella sindrome nervosa dei braccianti brasiliani rivendica la natura non solo socioculturale, ma anche politica del corpo. Il corpo o la mente sofferenti esprimerebbero, al di là della coscienza dei soggetti stessi, un'istanza sovversiva in forma metaforica del potere). Le correnti della Critical anthropology, nella lotta al culturalismo, vanno oltre dal tornare a un determinismo economico-politico pregramsciano, postulando un rapporto tra corpo e potere non mediato dalle categorie della cultura. 6) ESTETICHE SOCIALI E STRATEGIE DISTINTIVE. Il motivo per cui le Mnc sembrano sfuggire a un'analisi in termini di tensione tra egemonico e subalterno è il contesto sociale in cui si collocano: non dove si contrapponevano gruppi che avevano potere e gruppi che lo subivano, ma icontestidelle Mnc sono caratterizzati da frammentazione delle appartenenze di classe, condilatazione dei ceti medi e forte mobilità sociale, democratizzazione di alcuni ambitidella vita sociale, maggior impersonalità del potere, parziale disgiunzione tra capitaleeconomico e quello culturale. Quindi come identificare egemonia e subalternità?Siamo di fronte a una complessa stratificazione di segmenti relativamente mobili, per iquali i comportamenti di consumo rappresentano costruzione dell’identità sociale. C’èmaggiore labilità dei confini di classe e accessibilità di ogni ceto a molti prodotticulturali (i braccianti salentini di De Martino erano certi della loro appartenenza diclasse, invece i ceti medi della società di massa si preoccupano di dimostrarlaattraverso le loro scelte di consumo). Anche i comportamenti in campo sanitario sonomessi nelle strategie distintive (preferenze alimentari).Per Douglas la scelta tramedicina ufficiale e quella non convenzionale non è esclusiva.
  1. LA PRANOTERAPIA E L'AUTONOMIA DEL FOLKLORE.
A volte ci sono sincretismi tra Mnc e saperi-pratiche folkloriche tradizionali, come le riletture delle pratiche popolari di guarigione magico-religiosa in un nuovo linguaggio e in una nuova sensibilità, per renderle presentabili. Come la pranoterapia: terapeuti eredi di funzioni svolte un tempo da guaritori magico-religiosi che cercano legittimazione nell'adesione a un nuovo linguaggio e a nuove fonti di autorità: il malocchio è ribattezzato negatività, i poteri spirituali sono "scientificamente" documentati dalle foto Kirlian che rappresentano l'aura. Depurano il carattere arcaico e le presentano come moderne e alternative. Il rapporto tra i due livelli e tra esse e la medicina ufficiale, mostra che lo studio della medicina popolare e quella delle Mnc non sono separati e separabili. Elsa Guggino, studiosa della medicina popolare.

Il testo polemizza con la tesi della morte del folklore, con l'idea cioè che nelle condizioni della società contemporanea la cultura popolare tradizionale sia scomparsa, sostituita dalla cultura di massa; ma lei dice ci sono ancora istituti che vivono perché legati a determinate condizioni di vita. (Pranoterapia in Toscana) Tentativo di delineare alcuni contorni di una teoria in grado di tenere insieme i diversi ambiti delle "culture mediche" e comprenderli all'interno di un unico processo di trasformazione storica.

8. LA DENSIFICAZIONE DELLE COSE: MUSEI ETNOGRAFICI E CULTURE POPOLARI.

  1. MUSEI E DONO: DI NECESSITÀ VIRTÙ?

Nella recente letteratura sulla crisi economica si stanno diffondendo letture che fanno di necessità virtù, sostenendo che la scarsità di risorse e investimenti potrebbe innescare pratiche virtuose e forme di economia morale: consumo attento, forme di riciclo, pratiche di impegno volontaristico. La categoria

di "dono" viene evocata comenucleo unificante di tali forme etiche di consumo, scambio e fornitura di servizi. Le caratteristiche del dono sono: assenza di ricerca di profitto individuale; logica di scambio basata sul rilancio e non sul calcolo del valore e libertà di ricambiare, non obbligo; costruzione di legame tra i soggetti e tra persone e cose. La crisi economica indica il fallimento di un'economia che pretende di seguire leggi universali di sviluppo separatamente dalla sfera morale. Occorre reintrodurre tensione morale nell'economia, quella volta a obiettivi culturali, relazionali, di cura e assistenza. Riavvicinare queste sfere allo "spirito del dono" (Godbout). Ma 3 cautele: 1) il recente dibattito antropologico smantella la contrapposizione tra dono e merce; il dono non è un tipo di scambio e economia alternativo inconciliabile col mercato, piuttosto s'intreccia con l'economia del mercato e del welfare --> bisogna non

Considerare il dono come "utopia di riserva" in grado di salvare dai mali del capitalismo e di quelli dello stato assistenziale;

non è scontato classificare certe pratiche sociali in termini di dono, ad esempio volontariato e terzo settore non necessariamente lo sono,anzi funzionano perché s'intrecciano con le pratiche del mercato e dello stato (istituzioni che Godbout e Mauss considerano antidono);

il dono non è sempre buono e il mercato non è sempre cattivo, infatti alcune caratteristiche del dono si applicano a clientelismo, corruzione, favoritismi. Quindi si dovrebbe considerare stato, mercato e dono come dimensioni diversamente intrecciate in un'ampia varietà di pratiche di scambio e circolazione di beni e servizi.

Nei sistemi del mercato, il dono s'insinua nelle maglie larghe della rete mercantile-statale, rendendo possibili transazioni che non potrebbero realizzarsi in modo del tutto personalizzato o burocratizzato (infermiere-paziente).

Quando il dono emerge in primopiano (da pratica informale si fa istituzione) perde le sue caratteristiche (disinteresse e centralità dei rapporti e reciprocità). 2) IL MUSEO COME MACCHINA DI CONVERSIONE TRA IL SUBALTERNO E L'EGEMONICO. Idea dei museologi Mario Turci e Vincenzo Padiglione di una rete museale in cui l'investimento pubblico e l'autorità istituzionale si indeboliscono lasciando maggior spazio alle relazioni di dono. Turci: nozione di "museo partecipativo", con la rinuncia a porsi al centro della relazione e che permetta relazioni di scambio che non partano da un potere d'offerta, ma dal riconoscimento del proprio limite e provvisorietà. È il modo del museo di dichiarare il suo bisogno di collettività, la sua incompletezza, la sua esposizione a una solitudine. Anche Padiglione ha posto il potere d'offerta e i saperi dell'etnografo al di fuori del centro della relazione, ma nei suoi scritti.

c'è il costante confronto tra il museo come istituzione scientifica e pratiche paramuseali, cioè le forme di raccolta, memoria e estetizzazione della vita quotidiana. Entrambi sono i seguaci del terzo principio della museografia (Pietro Clemente).

Relazione tra museo e dono: il museo è un'istituzione, voluto e supportato da Enti pubblici, con precise strategie progettuali, gestito attraverso un management e staff professionale; implica bilanci finanziari, fa riferimento a saperi scientifici ed è legittimato dalle istituzioni culturali, dunque è presidio cruciale dei processi egemonici.

Ma i musei etnografici, della memoria, tradizione o cultura popolare, si alimentano di un patrimonio povero e di origine subalterna (oggetti contadini, suppellettili, tradizione orale e beni immateriali), cioè di cose che si sottraggono (come il dono) alle maglie larghe delle grandi istituzioni. C'è continuità tra il museo etnografico e una

Serie di pratiche informali: album di foto, rievocare i tempi di una volta o genealogie, conservare giocattoli. I musei prendono queste pratiche e le istituzionalizzano, dunque sono una macchina che converte il subalterno in egemonico, in Beni culturali formalizzati e riconosciuti istituzionalmente. Partecipano al riconoscimento del patrimonio intangibile, promossa dall'Unesco. Ciò spiega l'importanza delle schedature nelle politiche museali e patrimoniali; in Italia le schede Bdm e Bdi sono la mediazione necessaria perché un oggetto intangibile sia assunto all'interno di un museo o di un repertorio certificato. Sono ciò che trasformano le loro nude vita in entità in Beni.

3) AUTORIALITÀ DEL MUSEO.

I musei di nuova generazione, ispirati al 3° principio della museografia, realizzano questa funzione di conversione dal subalterno in egemonico, in modo diverso dai musei tradizionali. Quest'ultimi valorizzavano la cultura povera solo

incorporandola nei sistemi conoscitivi egemonici: gli impianti classificatori del positivismo (musei del 1° principio) e i metalinguaggi della teoria sociale (musei del 2° principio). P. Clemente ha elaborato il "terzo principio" riflettendo sulla stagione degli anni '70 che aveva visto prevalere il museo come metalinguaggio: mettevano da parte l'amore per le cose, le risonanze affettive e simboliche, guardavano con sbrigativa sufficienza l'ingenuità delle pratiche collezionistiche spontanee, subordinando alla scientificità le caratteristiche salienti dei linguaggi museali, cioè comunicazione, emozione, immaginazione (visitare un museo come sfogliare un libro). Il terzo principio si basa sul recupero di un rapporto più diretto con queste dimensioni: pensare l'allestimento in base al visitatore, ai suoi sentimenti e immaginazione; rapporto più stretto con le cose; grande risalto agli "oggetti d'affezione" (cose care).il tempo che scorre e con le esperienze vissute. Questi oggetti possono essere oggetti di famiglia, come vecchie fotografie, gioielli ereditati o mobili antichi. Possono anche essere oggetti personali, come vecchi diari, lettere o biglietti d'amore. Ogni oggetto ha una storia da raccontare e può evocare ricordi e emozioni profonde.
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A.A. 2019-2020
44 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher crazy-5 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia culturale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara o del prof Giancristofaro Lia.