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DALLA FINE DELL’OTTOCENTO ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE
In Francia, l’interesse intellettuale per la vita dei popoli extra europei, si era rivelato prima che in qualunque altro paese. La sociologia è una
disciplina derivata dalla filosofia positiva di Comte. Egli aveva riflettuto sul tema della normativa sociale ovvero l’equilibrio e dell’ordine sociali
come frutto della applicazione di un sapere positivo: la sociologia. Il pensiero di Comte attraversa la legge dei tre stadi: teologico, metafisico e
positivo. Per lui il pensiero era prerazionale (qualcosa che, dopo un processo di sequenze porta a conseguenze impreviste).
Emile Durkheim fu la guida della cosiddetta scuola di sociologia (pensiero comparativo). Per Durkheim tutte le società avevano una coscienza
collettiva ed erano, quindi, comparabili. La sociologia era un sapere comparativo che doveva prendere in considerazione il numero più alto possibile
di società per giungere alla conoscenza delle leggi e della vita sociale. Durkheim si apre alla etnologia ed estenderà i propri interessi per le società
primitive fino a impostare alcuni dei suoi lavori principali su di esse.
Nelle società in cui la vita sociale occupa ogni spazio della vita del singolo, determinando le scelte e i sentimenti, la coscienza collettiva rifletteva
l’esistenza di una solidarietà di tipo meccanico e quindi la coscienza collettiva era l’insieme delle coscienza singole. In questo modo l’individuo
risultava meccanicamente guidato dalle norme sociali.
Nei tipi di società in cui, invece, prevale la tendenza del singolo individuo si vedrà dominare la solidarietà di tipo organico dove gli individui si
riconoscono nelle comunità tramite atti intenzionali, la coscienza collettiva occupa spazi più ristretti.
Il lavoro che più di ogni altro risentì delle suggestioni etnologiche è Le forme elementari della vita religiosa pubblicato nel 1912 in cui esso elabora
una teoria generale della religione e della società attraverso l’individuazione degli elementi che entrano a a far parte di tutti i sistemi religiosi e
sociali. Per lui, infatti, la religione costituiva un fatto sociologicamente universale. La religione era presente anche nelle società più semplici, ad
esempio, sotto forma di totemismo: era una forma di religione in cui un gruppo si identificava con un animale, una pianta o un fenomeno naturale.
Durkheim considerava il totemismo come il sistema religioso più semplice: l’unità di un gruppo spinge a idealizzare la propria unione la quale si
trova rappresentata in un simbolo come il totem e per questo, a loro insaputa, rispettano ed adorano il proprio clan (quindi la società stessa).
Durkheim considerava i fatti sociali, cioè l’oggetto specifico della sociologia, come insiemi di azioni e di rappresentazioni identificabili sulla base
del potere che essi avevano di esercitare una costrizione sugli individui. Per Durkheim la sociologia era un sapere comparativo.
Lucien Lèvy-Bruhl era un filosofo famoso per aver gettato le basi dell’etnologia francese. Per lui esisteva una natura umana sempre e ovunque
identica a se stessa. Il suo oggetto di studio era il pensiero primitivo. In Psiche e società primitive Levy-Bruhl criticò la tradizione
dell’evoluzionismo inglese. Le rappresentazioni collettive erano comuni a un dato gruppo sociale e trasmissibili di generazione in generazione e si
imponevano attraverso la pratica sociale e per questo costituivano dei fatti sociali. L’universo simbolico del primitivo era omogeneo all’universo
sociale in cui il primitivo stesso viveva ed in questo contesto il primitivo non poteva sviluppare un proprio giudizio indipendente da quello che gli
veniva imposto dalla società.
Ne La mentalità primitiva precisò che essa si preoccupava delle cause di ciò che accade. Il concetto pre-logico indica una differenza di tipo
qualitativo e non quantitativo tra l’attività mentale del primitivo e quella del civilizzato. La teoria della mentalità primitiva era il prodotto di
un’operazione mirante a conferire al primitivo un suo spazio reale di esistenza e di riconoscimento e per lui tutte le società primitive sono da
considerare equivalenti.
In Italia gli sviluppi etno-antropologici emersero in relazione agli studi folklorici. Nei primi anni del Novecento la cultura antropologica italiana
mostra un ritardo a quello degli altri paesi, ritardo dovuto alla tarda unità politica del nostro paese. Una prima fase degli studi era caratterizzata da
uno studio di tipo geografico statistico. Alberto La Marmora raccolse informazioni sulla vita delle popolazioni locali.
Mantegazza, di origine lombarda, era un convinto sostenitore dell’evoluzionismo in campo biologico. Fu fondatore del famoso Museo di
Antropologia e di Etnografia di Firenze.
La figura più rilevante dell’etnografia italiana di fine Ottocento era Lamberto Loria che viaggiò in Lapponia e nelle isole Trobriand raccogliendo
importanti collezioni etnografiche. Fondò il Museo di Etnografia italiana con sede a Roma e si fece promotore del Primo congresso nazionale.
Nel 1911 si tenne il convegno della Società Etnografica organizzata da Loria ed esso fu animato da una forte apertura alle correnti internazionali che
stavano assumendo consistenza in Francia e Gran Bretagna. Lo slancio di questo convegno svanì con la comparsa di Loria e prevalsero gli studi
demagogici (studio delle tradizioni popolari, del folclore) su quelli etnologici. I motivi che hanno portato la tradizione della demologia a
sopravanzare quella etnologica sono vari e complessi:
breve durata della dominazione coloniale italiana
mancato radicamento nel nostro paese del naturalismo positivista che era presente in Gran Bretagna
mancato stato nazionale e leggi valide a livello dell’intero paese.
In Francia sociologia ed etnologia rimasero a lungo legate tra loro. Per Durkheim la sociologia era un sapere comparativo.
L’etno-sociologia francese cerca di cogliere le ragioni per la quale accadono determinati fenomeni. Robert Hertz fu uno degli iniziatori
dell’antropologia alpina. Fece uno studio sul Santuario di San Besso a Cogne ed essa fu la sua unica ricerca sul campo. Hertz si preoccupò di mettere
in rilievo la morte vista, presso i suoi popoli, con emozioni e rappresentazioni differenziate sia per l’aspetto culturale sia per il loro significato
sociologico. La morte recide il rapporto dell’individuo con il gruppo di cui fa parte e dal quale trae la sua identità sociale. Studiò soprattutto i rituali
messi in pratica dalle popolazioni del Borneo: consisteva in due riti distinti intervallati dal periodo di lutto
1. alle prime esequie celebrate tempestivamente dopo la morte seguiva
2. un rito durante il quale veniva data una sistemazione definitiva ai resti dandogli una seconda sepoltura
Per Hertz questo era il carattere fondamentale della morte che è pensata come una transazione da una condizione all’altra. Lui collegava i riti funebri
a quelli della nascita e del matrimonio. La vita ultraterrena è caratteristica di tutte le società e di tutte le religioni.
Hertz avanzò l’ipotesi secondo cui la preminenza (superiorità) della mano destra era un’istituzione sociale, esprime i concetti di forza fisica e
destrezza; la mano sinistra, invece, riflette sentimenti di inquietudine. Esse rappresentano il sacro e il profano. Il profano prevale sul sacro
Arnold Van Gennep si mosse ai confini tra l’etnologia e il folklore di cui in Francia è uno dei padri fondatori. Egli aveva intuito che la via degli
individui era scandita da una serie di riti che celebravano il passaggio da una condizione sociale ad un’altra: li definì riti di passaggio. Un rito di
passaggio può essere, ad esempio, passare dal fidanzamento al matrimonio. Questi riti dovevano essere accompagnati da riti atti a scandire la
transizione da uno stato all’altro degli individui coinvolti.
I riti erano suddivisi in tre fasi:
1. separazione/ riti preliminari
2. margine/ riti liminari (più importante perché rappresenta il punto di sospensione e lo stadio transitorio di chi si sottoponeva al rito)
3. aggregazione/ riti post-liminari
I riti di passaggio scandiscono la transizione da uno status sociale ad un altro, ma sono anche l’artificio sociale attraverso il quale gli esseri umani
rendono comprensibile a se stessi la transitabilità da una all’altra delle diverse condizioni in cui è ripartito l’universo sociale.
Marcel Mauss fu l’ultimo grande allievo di Durkheim e promotore della ricerca etnografica. Mauss studiò la magia e la religione, fece inoltre delle
ricerche sulle tecniche del corpo e sul sacrificio e sul dono.
La società degli aborigeni australiani erano il punto di partenza delle sue analisi. Erano divise in classi matrimoniali ovvero gruppi erogamici
(caratteristica delle popolazioni australiane). Ogni classe veniva associata ad una serie di fenomeni naturali di animali e di oggetti. Il mondo era
quindi classificato in categorie direttamente legate alle suddivisioni della loro società e quindi le idee sono organizzate su un modello fornito dalle
società. Per Durkheim e Mauss una variazione nella società corrispondeva a una variazione nell’ordine del sistema di classificazione. Le
modificazioni del sociale spingevano l’uomo a modificare l’ordine concettuale delle cose. L’elemento rilevante di questo lavoro sui sistemi di
classificazione è rappresentato dall’idea di una omologia strutturale tra la dimensione sociale e quella simbolica. Questo portò Mauss allo studio e
alla ricerca di quegli elementi del sociale che lui chiama fatti sociali. Un esempio viene portato nel saggio sulle variazioni stagionali delle società
eschimesi. Gli eschimesi avevano la tendenza a separarsi durante l’estate e a riunirsi durante l’inverno poiché in estate i gruppi erano alla ricerca di
animali. La loro vita era di natura bipolare e ciclica.
Mauss viene ricordato per il suo saggio sul dono che era costituito da lavori etnografici di Boas e di Malinowski sullo scambio cerimoniale kula
caratteristico di alcune isole della Melanesia. Mauss interpretò questi fenomeni come tipici esempi di fatto sociale totale. Un esempio caratteristico è
il dono: c’erano tre regole da rispettare e che stavano alla base del dono:
1. dare
2. ricevere
3. ricambiare
Queste erano le regole che davano vita al principio della reciprocità; la mancata restituzione degli oggetti donati avrebbe prodotto l’interruzione dello
scambio e che si sarebbe tradotta in un danno per il trasgressore della regola.
Secondo i Maori lo hau sarebbe lo spirito della cosa donata e che ti pone in una posizione di debito nei confronti del donatore e ti obbliga a
ricambiare per riequilibrare le forze.
Una netta separazione che era presente tra etnografi ed antropologi nell’Ottocento era tra coloro che riflettevano sulle so