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IL MIRACOLO DEL SANGUE: SAN GENNARO DI NAPOLI
«Tutti e due insieme: San Gennaro!
Troisi: No, te lo ripeto, vedi che l’hai capito, hai visto che sono arrivato prima io, non è così? Si
sono il primo…
Arena: Ma vedi se mi fa parlare.
Troisi: Io lo faccio parlare, questo non mi riguarda san Gennaro…
Si, solo, io non vorrei che per il fatto che perdi tutto questo sangue, tutti gli anni, per fare il
miracolo, tu abbia… un po’ di anemia, qualcosa… cominci a scambiare un viso per un altro…
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quindi, guarda bene, san Gennaro… lui ha la barba, è piccolo…» .
«È sangue e non è acqua, è sangue e non è acqua
Faccia gialla Squaglialo, fallo fallo questo miracolo 43
Faccia gialla Squaglialo, fallo fallo per questo popolo.»
La sostanza del miracolo
Abbiamo studiato fin qui le espressioni rilevanti della manipolazione del latte, del sangue e dello
sperma nell’orizzonte cristiano. Nel capitolo che segue, studieremo qualche rituale a cui queste
rappresentazioni danno luogo, da un lato misurando le loro differenze in rapporto ai contesti
culturali nei quali esse appaiono, dall’altro cercando di cogliere le invarianti che mobilitano il loro
40 Questo sembra valere più per le ossa che per il pelo o i capelli. Per la Grecia e la Roma antica, in cui in effetto il
capello è concepito come una materia concreta della psukhe, a cui si deve il resoconto più completo del valore
simbolico dei fluidi e dei peli nel mondo antico. Sulla continuità tra il respiro, l’anima e lo sperma nel pensiero cristiano
e nell’opere di qualche autore della Grecia antica, ed in particolare ne La natura delle ossa di Ippocrate.
41 In psicoterapia, la scarica emozionale attraverso la quale un soggetto si libera di un trauma antico i cui termini
essenziali sono rimasti inconsci.
42 Massimo Troisi e Lello Arena, Il miracolo di San Gennaro, rappresentazione comica.
43 Enzo Avitabile, Faccia gialla Squaglialo, canzone, in John Turturro, Passione.
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ancoraggio nei corpi. E questo, non solo nel corpo degli uomini, ma anche in quello di figure divine
(rilevante quindi il mio) che mettono simbolicamente in scena.
In certe regioni dell’area romana, di un santo che non vuole fare i miracoli, si dice, in maniera
proverbiale, ch’egli non suda (un è ssantu chi ssura, si dice per esempio in Sicilia). Il santo in
questione qui, san Gennaro di Napoli, non è un santo che suda, ma che accorda tuttavia il segno
della sua benevolenza per mezzo di un altro liquido corporeo, il sangue, e notoriamente quando
questo, conservato allo stato solido nella più grande di due ampolle (a sezione ellittica), si liquefa.
Addentriamoci nella descrizione del miracolo datone da Alexandre Dumas padre (1984) che vi ha
assistito nel 1835. Nessuno meglio di lui si è reso conto dell’atmosfera dell’evento:
«Poco più di un’ora trascorse nell’attesa, senza che il miracolo si sia compiuto. In quest’ora, la folla
era molto tranquilla; ma c’era la calma che precede la tempesta. Presto, i rumori ricominciarono, le
urla si fecero sentire di nuovo, alcuni clamori selvaggi e isolati scoppiarono. Infine, crisi
tumultuose, vocii, urla, rumori, si fusero in un ruggito universale di cui nulla può dare l’idea […]
A quel punto le parenti di san Gennaro si mescolarono alla parte: c’era qualcosa di rivoltante che
queste venti o trenta megere strappando i loro cappelli per la rabbia, minacciando san Gennaro con
il pugno, inveendo contro i loro parenti con tutta la forza nei loro polmoni, urlando le più grosse
ingiurie, vociando le più terribili minacce, insultando il santo sul suo altare come una plebaglia
ebbra avrebbe fatto con un parricida sul patibolo. In mezzo a questo sabba infernale, tutt’insieme il
prete eleva in aria l’ampolla, urlando: – Gloria a san Gennaro, il miracolo è compiuto! Assistiamo
tutti al cambiamento. Alcuni si gettano a faccia per terra.
Alle ingiurie, ai vocii, alle crisi, ai clamori, ai ruggiti, succedono gemiti, reclami, pianti, singhiozzi.
Tutta questa plebaglia, impazzisce di gioia, si rotolava, si rialzava, si abbracciava, piangendo:
miracolo! miracolo! E chiedeva perdono a san Gennaro, agitando i propri fazzoletti zuppi di
lacrime, per gli eccessi a cui si erano lasciati andare al suo cospetto.
Allo stesso istante, i musicisti cominciarono a suonare e cantare il Te Deum, mentre un colpo di
cannone sparato al forte sant’Elmo, e il cui rumore veniva udito fino alla chiesa, annunciava alla
città ed al mondo, urbi et orbi, che il miracolo era avvenuto.
La folla si precipita verso l’altare, noi come gli altri. Così che la prima volta, si dia un bacio
all’ampolla; ma, da perfettamente coagulato che esso era all’inizio, il sangue ora era perfettamente
liquido. È in questa liquefazione, come abbiamo detto, che consiste il miracolo.»
Si tratta quindi del miracolo di san Gennaro, un «fatto mirabolante» secondo la Chiesa, che si tenta
di provocare almeno tre volte all’anno, a Napoli, e di cui solo alcune caratteristiche erano state
colte, fino ad epoca recente, come segno di eventuale prosperità. Per esempio, non bastava che il
sangue si liquefacesse, bisognava anche che il processo fosse rapido. Così, dopo tre ore o più, il
miracolo era considerato non favorevole, e si pensava ch’era meglio che il sangue rimanesse allo
stato solido.
La meccanica dei fluidi integra quindi la dimensione temporale, e questo è di differenti tipi, come si
vedrà.
Altri segni della prodigiosa liquefazione, riguardanti lo stato ed il colore del sangue, danno luogo ad
un vasto ventaglio di pronostici, nelle tre occasioni canoniche nel corso delle quali il miracolo
avviene: innanzitutto, il sabato che precede la prima domenica di maggio e durante gli otto giorni
seguenti, in memoria della prima traslazione del corpo (o delle reliquie) di san Gennaro, nella
sepoltura nel territorio dell’attuale paese di Fuorigrotta nella catacomba napoletana. Poi il 19
settembre, anniversario del martirio e dies natalis del santo. Infine il 16 dicembre, durante la festa
creata in ricordo del terremoto e dell’eruzione del Vesuvio del 1631. Lo storico Giulio C. Capaccio
aggiunge nel XVII secolo una quarta data.
Dal punto di vista scientifico, la questione riguardante il problema della ri-coagulazione del sangue,
è risolta, infatti raramente viene considerata nelle polemiche attorno al miracolo – questo obbligo
collettivo è altrove significativo anche per una certa dimensione psicologica del fenomeno, come se
fosse evidente che questo umore divino ritorni alla sua condizione fisica iniziale: allo stato solido.
Riprodotto in laboratorio da Garlaschelli, Ramaccini e Della Sala, che hanno pubblicato i risultati
nel 1991 nella rivista Nature, il fenomeno della tissotropia spiega il miracolo di san Gennaro a
partire da una proprietà chimica di alcuni elementi, tra i quali il cloruro di ferro sotto forma di
molisite facilmente reperibile sulle pendenze del Vesuvio. L’unione di questi elementi produce un
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fluido se sottoposto ad un’azione meccanica, come dei leggeri scuotimenti o delle vibrazioni, se
questo non è nuovamente turbato (come succede nei periodi di chiusura del Duomo) ritorna allo
stato solido. L’esperimento dei tre scienziati modifica la posta in gioco del dibattito. La possibile
riproduzione del miracolo – dall’epoca della sua apparizione, fortemente marcata dall’alchimia e
dalla presenza di molti miracoli dello stesso genere – priva di tutti i sensi la condizione di
«inspiegabilità scientifica» per la quale la Chiesa legittima il fatto mirabolante riconducendolo al
mistero. Ora, la Chiesa, prudentemente, non ha mai accordato a questi avvenimenti lo statuto del
miracolo, tuttavia per soddisfare la «devozione popolare» ed il potere che ne derivano, si è posta al
cuore delle cerimonie che periodicamente lo rinnovano e alle quali gli uomini delle istituzioni,
quale che sia il colore politico, non mancano di assicurare la loro presenza.
Il sangue messo in scena
La realtà del miracolo trascende il piano religioso o scientifico, poiché la «densità specifica
dell’avvenimento», per riprendere le parole di Marino Niola, «è di ordine simbolico». In effetti è
questo il discorso rituale e l’apparato mitologico che bisogna prendere in considerazione, se si vuole
comprendere la logica che regola questa messa in scena.
La tradizione vuole che il sangue sia stato prelevato dal corpo del santo dalla sua nutrice Eusebia al
momento della decapitazione all’inizio del IV secolo d.C., all’epoca della persecuzione di
Diocleziano. Questo sangue può passare dalla forma solida alla forma liquida soltanto alla vista
delle reliquie della testa di san Gennaro conservate nel suo busto-reliquario, questo è ciò che sembra
essere successo la prima volta ad Eusebia e che non è sfuggito ad Alexandre Dumas. Per i
napoletani, la testa del santo è indissociabile dal suo sangue: segno tangibile di una relazione
dialogica, è che essa è sempre presente al momento della liquefazione, evocando così l’universo del
miracolo sottolineato dal martirio. Questo busto reliquario, a cui tutto il mondo si rivolge, è al cuore
dei differenti codici: verbale, cromatico e degli umori che il rito mettere ammirabilmente in scena.
In seguito ai lavori di Jean-Claude Schimitt e di quelli di Georges Didi-Huberman, Pierre-Olivier
Dittmar (sembra) ha concentrato l’attenzione sull’importanza dei reliquari in merito al «desiderio di
visione» delle reliquie che gli si riferiscono. Questo aspetto non è al centro della nostra riflessione,
ma permette di sottolineare la complessità del dispositivo legando, attraverso un sottile gioco di
svelamento e occultamento, il sangue contenuto nelle ampolle e le reliquie della testa conservata nel
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busto-reliquario – ciò che fa pensare ai rituali di «cruentazione » del Medioevo.
Insieme, la testa ed il sangue raddoppiano il valore metonimico che gli si accorda separatamente: la
prima, in rapporto al corpo, il secondo come sostanza ad alto valore simbolico che vale per tutti i
fluidi. Il sangue, in particolare, non solo alimenta le metafore della discendenza agnatica («sono il
sangue del mio sangue», si dice quasi ovunque in Europa dei propri figli), ma indica anche la
sostanza che «regola» la fecondità femminile (lu sangu) e la cui «scomparsa», da un lato indica una
possibile gravidanza, dall’altra, coincide per un certo periodo con la presenza del latte. Il valore
simbolico della testa sulle spalle è ben conosciuta.
La procedura rituale è perfettamente coincidente al mito.