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EDUCATION E DOMINIO NELL’INDIA COLONIALE

Durante la lunga dominazione britannica si trasformano per sempre le istituzioni, l’economia e le strutture

sociali del subcontinente indiano e inevitabilmente vengono importati in India l’approccio inglese al pensiero

scientifico, l’atteggiamento positivo nei confronti della tecnologia, una modalità dialettica di gestione dei

processi cognitivi e l’impostazione dell’intero sistema educativo anglosassone. L’introduzione della scienza

europea moderna non è ovviamente un interesse primario dell’amministrazione coloniale; eppure dopo il

Mutiny del 1857-1858 l’esigenza di alfabetizzazione e istruzione comincia ad affiorare come una componente

necessaria a garantire la dominazione. Sono cioè ragioni di efficienza e di ottimizzazione delle prassi

amministrative. L’introduzione della conoscenza europea avviene nei campi più disparati. Come affermano

gli studiosi del Subaltern Studies Collective, tra cui David Arnold, è proprio con l’introduzione dei criteri di

classificazione e delle strutture teoriche della conoscenza europea che si avvia per la prima volta il processo

dell’identificazione dei nativi indiani con le categorie della subalternità.

In questa rappresentazione, i nativi sono coloro che non conoscono, che sono privi di strutture di

comprensione organizzate, di tassonomie e di categorie di classificazione, ai quali è necessario insegnare a

pensare. Il ruolo del nativo emerge dunque come una conseguenza, come un effetto collaterale,

dell’interazione asimmetrica tra due soggetti con diversa capacità di conoscere. Per promuovere la politica

educativa nell’impero coloniale fu fondata nel 1876 a Calcutta la Association for the Cultivation of Science,

con lo scopo di sviluppare e promuovere la cultura scientifica e soprattutto l’organizzazione di eventi pubblici

con lo scopo di diffondere la scienza fra la popolazione.

Gli storici della scienza postcoloniale Deepak Kumar e Gyan Prakash, rispettivamente docenti di Storia della

Scienza. A partire da due posizionamenti accademici ben diversi, i due autori mettono in risalto un fattore

storico qualitativo importante, e che li accomuna: da una parte la falsa invarianza storica della scienza e della

tecnologia analizzate nel corso della storia umana, e dall’altra la visione molto più situata per cui la

propagazione di scienze e tecnologie moderne va valutata come effetto collaterale e assolutamente non

separabile dell’avventura coloniale. La ricostruzione degli storici della scienza postcoloniale afferma

esplicitamente la presenza di una dimensione epistemologica debitamente costruita con lo scopo tacito, ma

anche esplicito, di giustificare e sostenere il ruolo egemonico assunto dall’Occidente ni secoli dell’espansione

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coloniale. La ricostruzione epistemologica degli intellettuali europei depositari delle conquiste del progresso

asserisce che la scienza del vecchio mondo semplicemente “funziona meglio”, in quanto ha prodotto una

comprensione e un controllo efficace della natura, ha garantito la crescita economica trainando lo sviluppo

industriale, e ha assicurato lo sviluppo delle tecnologie, che ora permettono all’Europa di svolgere il suo ruolo

dominante nella gestione del quadro politico mondiale. Il successo dell’impresa coloniale è l’affermarsi di

una riconoscibile autorità culturale britannica. L’impero attua delle politiche culturali in cui si auto

rappresenta come portatore di progresso, di civilizzazione e di modernità.

I binomi europeo-non europeo, coloniale-nativo, moderno-antico, vengono quasi naturalizzati, elevati a

livello di categorie assolute e indispensabili per la comprensione del contesto esotico che ospita l’impresa

coloniale. La scienza è uno degu strumenti attraverso cui si sanciscono più fortemente la distanza e la

contrapposizione tra coloniale e nativo: il binomio scientifico-non scientifico risulta essere il più

de/qualificante, e quello che maggiormente non solo spiega, ma legittima una asimmetria nella gestione delle

relazioni di potere. il soggetto colonizzato non solo non è esperto ma non può neanche imparare.

Nasce un’importante letteratura di viaggio e di avventura in lingua inglese, sullo stendo delle suggestioni che

arrivano dalle lontane Indie. tuttavia, un sottile gioco retorico trasforma le qualità decantate da un lato,

in tratti culturali penalizzanti e arretrati dall’altro.

L’esercizio dell’autorità coloniale inglese ed il graduale infiltrarsi all’interno del panorama sociale e culturale

indiano coloniale avviene in diverse fasi, e attraverso molteplici e simultanee strategie. Il primo impatto è

materiale e concreto ad es. vengono costruiti centinaia di km di ferrovie fungono anche come divisorio tra

la zona inglese bonificata e urbanizzata e dall’altra quella indiana in cui non vi è modernità. Un’ importante

iniziativa politica è la decisione di coinvolgere le élite indiane nei diversi livelli dell’amministrazione del potere

locale. La gestione indiretta del governo, la ben nota forma di Indirect Rule, è tesa a mantenere attivo e a

ottimizzare il tessuto di relazioni sociali locali preesistenti alla presenza coloniale, principalmente delle

relazioni di natura economica che l’impero ha massimo interesse a girare a proprio vantaggio. Secondo Dhruv

Kama, I’ istruzione europea impartita in epoca coloniale alle élite indiane è in realtà una sorta di arma a

doppio ragno consegnata nelle mani dell’intellighenzia (Ambito o gruppo di intellettuali ideologicamente

impegnati, che costituiscono la mente direttiva e organizzativa di un partito, di un ambiente, di un

movimento, i rappresentanti della cultura ufficiale di un paese, di una regione, di una città) indiana, che si

ritorcerà contro gli stessi inglesi durante Ie fasi preparatorie e poi nella gestione del processo

dell’indipendenza. l concetti di libero arbitrio, di autodeterminazione, di nazione, di identità nazionale

vengono appropriati nel corso dei decenni del Raj, e cavalcati con intelligenza tattica nella trattativa condotta

prima da Gandhi, poi da Nehru, che porterà la corona inglese a firmare un trattato consensuale di

indipendenza con l’India il 15 agosto 1947.

Con il termine di Impero anglo-indiano oppure Impero indiano (in

inglese: British Raj) si indica l'insieme di domini diretti e protettorati

che il Regno Unito e i suoi predecessori accumularono e organizzarono

nel subcontinente indiano, dal XVII al XX secolo.

Un’ulteriore importante strategia di infiltrazione culturale dell’amministrazione coloniale in India consiste

nella creazione di istituzioni dedicate alla divulgazione dei saperi tecnici e scientifici.

Come abbiamo rilevato, nelle parole di Gyan Prakash, il soggetto subalterno viene considerato in prima

definizione unteachable, cioè non in grado di imparare, non recuperabile sul piano educativo. Non si tratta

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quindi di trasmettere agli indiani delle conoscenze, ma piuttosto di insegnare loro ex novo ad apprendere

mirare a far riorganizzare al soggetto il suo complessivo modo di conoscere.

Vengono così create dalla corona inglese delle istituzioni con fine pedagogico esplicito, dove forse anche il

soggetto in-appropriato può riuscire ad apprendere, cioè ri-organizzare il suo modo di conoscere.

Il successo delle fiere agricole induce gli amministratori a proseguire nella direzione intrapresa. I luoghi

espositivi sono allestiti per mettere n mostra anche argomenti scientifici evoluti, che spaziano dalle moderne

scoperte della fisica, come i fenomeni elettrostatici, fino alle invenzioni della tecnica, come il dagherrotipo

(primo modello di macchina fotografica) e il telegrafo. Ampio spazio è sempre dedicato alla catalogazione

delle specie botaniche ed ammali, alle tassonomie ed alle descrizioni antropometriche delle “razze umane”,

incluse quelle indiane, che la moderna antropologia coloniale sta contribuendo a sviluppare.

I musei riscuotono un enorme successo popolare, vengono visitati da persone di ogni genere e casta,

diventano un luogo di incontro e confronto culturale. Sir Edward Thumston è il responsabile del programma

educativo per conto della corona britannica in India per oltre vent’anni a cavallo della tine dell’Ottocento. I

report sulla sua attività compilati per il governo inglese sono colmi di toni entusiastici. Quella che viene

divulgata attraverso le collezioni dei musei e delle esibizioni è una visione del mondo, è l’esemplificazione

concreta di una modalità efficace di conoscere. Attraverso l’esperienza con i contenuti dei musei e delle

mostre, il visitatore indiano apprende spesso per la prima volta nozioni su di sé, sulla nozione di razza, sul

suo territorio. E questo fondamentale passaggio identitario e di conoscenza della propria specificità culturale

avviene attraverso uno sguardo estraneo, quello epistemologico, naturalista, positivo e deterministico,

sviluppato in Europa nei decenni precedenti all’impresa coloniale.

Nelle mostre dal contenuto scientifico l’intento educativo non è quello di mostrare ai nativi un modo per

descrivere il loro mondo, né di insegnare loro come catalogarlo. Viene enfatizzata quanto più possibile la

distanza della modernità europea dall’arretrato universo indiano, e sottolineata l’estraneità dei ritrovati

tecnico-scientifici da questo mondo non evoluto. L’osservatore nativo percepisce un senso di inadeguatezza

e di subalternità. La capacità di manipolazione della natura e la produzione della tecnica, insieme con la forte

polarizzazione del binomio scientifico-non scientifico introdotto da Homi Bhabha, diventano i veri argomenti

sulla cui base cui si consolida l’asimmetria dei rapporti di potere che contraddistingue il contesto coloniale.

Gli indiani di casta elevata, esponendosi maggiormente ai contenuti educativi proposti delle esibizioni e dei

musei, diventano mediatori e traduttori a beneficio del resto del corpo sociale indiano con il quale vengono

in molteplici modi in contatto.

Nelle parole di Gyan Prakash si delinea quello che viene definito “il terzo spazio della conoscenza”, quello

creato dalla traduzione e dall’interpretazione data dai nativi ai luoghi e ai contenuti educativi predisposti

dalle politiche coloniali. CAPITOLO 3

IL CAMPO NELLA CORPORATION

Lo studio etnografico di una multinazionale si presenta come un compito vasto e differenziato, che investe

tematiche legate alla produzione, all’ economia, al capitale umano, alla tecnologia. Un campo di ricerca

enorme, multitematico e multiproblematico, in cui si evidenzia il rapporto cruciale tra scienza ed egemonia,

tra controllo delle risorse scientifiche e gestione diretta del potere. Nader afferma che la caratteristica

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
26 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher vane88b di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia culturale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bergamo o del prof Bougleux Elena.