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Non sempre i confini del documentario sono netti. Non bastasse un ricco genere definito
mockumentary (falso documentario), si danno innumerevoli casi di ambiguità ricercate per motivi
artistici.
Va poi ricordato che talvolta il documentario permette all’autore di osservare se stesso e tracciare
forme di autobiografia. Le filmeur (2005) di Alain Cavalier funziona come un diario filmato,
un’autorappresentazione radicale, un taccuino audiovisivo che raccoglie undici anni di riprese
video.
Home movies: corpi privati
Viene considerato cinema di famiglia, non del tutto sovrapposto con il cinema amatoriale, la
produzione audiovisiva realizzata a fini memoriali, privati, generazionali: il cinema di famiglia si
differenzia dalla produzione ufficiale proprio per la sua dimensione privata.
I film di famiglia, se studiati nel modo giusto, permettono a storici e ricercatori di accedere a un
patrimonio di valore inestimabile, dove la storia dell’istituzione famigliare,
dell’autorappresentazione privata, delle mode e degli stili di vita, dell’educazione e dell’economia,
trova testimonianze impareggiabili.
Il tabù del cinema: il corpo che muore
Considerata oscena da gran parte della teoria cinematografica, la morte sullo schermo è in verità
esperienza quasi quotidiana nel mondo dei media audiovisivi. Il momento della passaggio dalla
vita alla morte viene rivisto e analizzato dai media, e il corpo che non c’è più riprende vita per un
attimo solamente nella registrazione delle immagini, per poi tornare nuovamente al nulla.
Più che ai drammatici incidenti della “morte in diretta”, vorremmo far riferimento proprio alla
registrazione volontaria dell’omicidio. Il cosiddetto snuff movie si distingue per essere un prodotto
contenete uno o più sacrifici umani la cui esecuzione viene attuata al solo scopo di girare il film e
farne commercio presso destinatari privati.
4. Il corpo fantastico: tra avanguardia e fantascienza
Le avanguardie hanno rivoluzionato, oltre che le arti in generale, anche la rappresentazione del
corpo. Con loro, il corpo è diventato un corpo fantastico.
Inventario fantastico del corpo: avanguardie cinematografiche
Se il cinema astratto sembra fare volontariamente a meno del corpo umano, sognando un cinema
della macchina, un’altra parte fondamentale delle avanguardie ne ha fatto terreno di battaglia.
Negli anni Venti, la natura del cinema veniva affrontata attraverso due grandi prospettive estetiche:
la costruzione di un linguaggio codificato, a Hollywood e nel classicismo europeo, portava a
definire le convenzioni attraverso le quali narrare una storia rappresentata; simmetricamente, il
rifiuto di questa possibile istituzionalizzazione percorre tutte le avanguardie storiche, dal Futurismo
al Surrealismo.
Se il futurismo italiano sembra prefigurare un superamento dell’arte attraverso la meccanizzazione
del corpo, è in ambito dadaista che la nozione di corpo e movimento viene più direttamente
stravolta. Entr’acte (1924) è pensato come dialogo tra la sala dove si realizza un movimentato
balletto e lo schermo dove viene proiettata l’opera.
In ambito surrealista, oltre a Un chien andalou (1928), ricordiamo La coquille et le clergyman
(1928) di Germaine Dulac, dove tutte le convenzioni di ripresa del corpo umano vengono invertite
di segno, decomposte, riconfigurate, cercando un accesso all’inconscio e al sogno.
Il catalogo più ricco viene offerto da Ballet mécanique (1924), dove tutte le possibili analogie tra
corpo reale e corpo meccanico vengono esplorate.
Il corpo femminile è al centro di uno smontaggio violento e radicale, così come altrettanto
veemente è l’affermazione della sessualità. In Le sang d’un poete (1930) di Jean Cocteau,
troviamo tutta la carica eversiva del Surrealismo unita all’affermazione dell’erotismo.
Nell’Espressionismo il corpo è spesso dominato da forze più grandi della sua soggettività.
Spossessato dal suo raziocinio, il corpo espressionista è più legato alla paura e al senso di perdita
identitaria della nazione che non a un progetto di superamento dell’arte e di sabotaggio delle
consuetudini iconografiche dell’avanguardia francese.
Per le neo-avanguardie degli anni Sessanta-Settanta, il corpo artisticamente inteso è fonte di
liberazione del sé e in questo caso l’aspetto sovversivo è prevalente, la politicità dei soggetti
prioritaria.
Corpi artificiale e corpi alieni: nel regno della fantascienza
Secondo alcuni, il corpo artificiale nella sua accezione più moderna, compare in Eva Futura
(1886), dove troviamo persino Thomas Edison come ideatore di un automa. Visto che Edison
viene da altri considerato il vero inventore del cinematografo, tutto torna: non solo il cinema
presenta un repertorio straordinario di doppi meccanici dell’umano, ma esso stesso rappresenta in
fondo un duplicato tecnico del mondo naturale.
In più, il cinema riesce a sintetizzare visivamente ciò che scienza, divulgazione e discorsi culturali
mettono socialmente in circolazione.
Il cinema di genere anni Cinquanta ha proposto diversi tipi di automa.
Quando la scienza tecnologica degli anni Settanta ha cominciato a produrre macchine robotica
attive in medicina e nella domotica, la fantascienza americana ha subito proposto Il mondo dei
robot (1973).
Non tutti gli automi, tuttavia, sono uguali per l’immaginario corporeo. Un conto è l’iconografia
dell’”ammasso di ferraglia”, un altro la somiglianza e talvolta l’indistinguibilità dall’umano. Da
questo punto di vista, è ancora insuperato per popolarità Blade Runner (1982) di Ridley Scott.
Non manca la possibilità di incrociare corpo come copia umana e corpo come tecnologia
antropomorfa. La cultura cibernetica e la figura del cibori esprimono un intero sottogeneri del
cinema robotico. Il cibori metaforizza fobie leggermente diverse, in particolar modo l’invadenza e
l’intrusività della tecnologia medica nel nostro corpo. Il cinema di fantascienza so occupa di
enfatizzare l’incontro tra il corpo, che vorremmo rimesse sempre inviolato, e la macchina, capaci di
fondersi e dare vita a fantasie talvolta estreme (Tetsuo, 1999).
L’alieno, a sua volta, si divide in antropoide o di altra forma. In 2001- Odissea nello spazio, Kubrick
volle evitare ogni rappresentazione antropomorfa della macchina e dell’extraterrestre.
Nella fantascienza poplare, invece, la figura aliena obbedisce alla medesima dicotomia del robot:
leggermente diverso da noi o indistinguibile. In questa direzione, l’esempio più calzante è
L’invasione degli ultracorpi (1956), dove una razza extraterrestre prende via via il controllo
dell’umanità sostituendo i corpi delle persone con copie fisiche all’apparenza identiche ma prive di
personalità.
Senza ricorrere a robot o mostri alieni, il corpo stesso nella fantascienza rischia metamorfosi
incontrollabili (Attack of the 50 foot woman, 1958; Radiazioni BX: Distruzione uomo, 1957).
Quale che sia il filone della fantascienza, il corpo fantastico o immaginario costringe a processare il
presente, le nostre modalità di percezione dell’identità, le nostre etichette sociali e i nostri modelli
di pensiero. Ecco perché la fantascienza, insieme all’horror, pare terreno privilegiato per le analisi
culturali sulle zone oscure del significato e per gli scandagli profondi dell’immaginario mediale.
Figure dell’assenza: quando il corpo scompare
Nel catalogo dei corpi fantastici, dobbiamo citare anche i corpi invisibili.
le numerose versioni dell’Uomo invisibile lavorano sul confine tra linguaggio cinematografico, effetti
speciali e teoria del corpo.
La capacità evocativa del cinema è tale che l’assenza fisica può persino stimolare emozioni e
identificazioni più viscerali (Her, 2013).
Tra l’assenza del corpo e la sua presenza, nel cinema si dà anche la possibilità di stadi intermedi,
come nel caso della sovrimpressione. Un tema molto dibattuto nella teoria del cinema è quello
della soggettività, figura tecnico-stilistica attraverso la quale osserviamo gli avvenimenti con gli
occhi del protagonista (Una donna nel lago, 1947).
Tra avanguardia, fantascienza e trucchi ottici, il cinema si trasforma dunque in un atlante chimerico
del corpo, dove si ricorre a qualsiasi fantasia combinatoria e a innumerevoli strategie visive.
Parte seconda - Intorno al film
5. Il corpo degli attori: recitazione e divismo
Al centro dello schermo: l’attore in carne e ossa
Concentrandoci sulla funzione dell’attore nel cinema, ci interessa qui osservarne le ricadute sul
discorso del corpo.
Per quanto assorbito all’interno della narrazione, l’attore deve sempre fare i conti con la propria
fisicità. Potremmo dire che le componenti della recitazione vanno riassunte in: componenti vocali;
mimica e gestualità; rapporti tra corpo e spazio.
La componente vocale racconta come la storia della tecnica cinematografica interagisca da
sempre con l’attore. Basti pensare alle difficoltà incontrate dagli attori del muto nel passaggio al
cinema sonoro. O ancora, ricordiamo la tecnica del doppiaggio, prima della quale le pellicole
venivano grate in versioni multiple.
Mimica e gestualità rappresentano doti importanti per l’attore. Gli attori devono offrire ai loro
personaggi un bagaglio di segni e di comportamenti coerenti con la psicologia suggerita dalla
sceneggiatura.
Infine, nel rapporto con lo spazio scenico, il corpo dell’attore affronta un ulteriore banco di prova.
Quando si tratta di spazi codificati l’attore deve tenere conto della scrittura e della scenografia,
della battuta e del set, in una doppia partita che risulta fondamentale per la riuscita del ruolo.
Star: corpi beati
La sociologia dei media ha riflettuto da tempo sulla questione del divo. Nel corso del Novecento si
è passati attraverso diversi stati di divismo, dalla “starità” allo star-system ufficiale hollywoodiano,
dai divi nevrotici degli anni Cinquanta fino alla celebrity culture diffusa e crossmediale di oggi.
E’ sul corpo della donna che si ha la sensazione si giochi la battaglia critica più interessante. Tra i
generi che abbiamo citato solo di sfuggita in precedenza c’è il musical. Molte delle star (specie
femminili) dell’epoca d’oro sono passate attraverso il musical, poiché si tratta del genere che
meglio predispone il corpo dell’attrice a un’idealizzazione. Il musical, nel suo impasto di
performatività e sogno, esalta la duplice natura del cinema, quella di riproduzione di mondo e
quella di allusione onirica. I corpi delle star sono impregnate in questa duplicità: devono mostra