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CAP. 5: CINEMA OFF. MARGINI, PERIFERIE, ARCIPELAGHI
Non è stato usato il termine cinema indipendente perché ci sarebbero troppe ambiguità: molti film
potrebbero esserlo, altri no. Tutti fanno parte del mondo off, il gruppo degli esclusi, una minoranza
poco rappresentata. Non è sempre da difendere, per alcuni diventa un alibi, ma si sa che in Italia
esiste un sistema che usa tattiche di annientamento delle pellicole non istituzionali. Quelli del
cinema off non sono per forza giovani, opere prime o underground. Sono anche autori affermati. Ci
si imbatte in risultati importanti e misconosciuti ma anche in disastri mascherati da cultura alta. Il
riconoscimento avviene molto spesso grazie ai festival del cinema stranieri: in questi contesti può
nascere il riconoscimento di pellicole altrimenti destinate all'oblio. È il caso di Il vento fa il suo giro
di Diritti, che può essere visto come vittoria o sconfitta. Sconfitta perché in due anni di premi vinti e
passaparola non si è riusciti in una distribuzione più capillare. Eppure il film possiede un potenziale
commerciale se è durato così tanto in sala. La realizzazione è interessante: girato in tecnologia
digitale, senza finanziamenti statali, troupe e attori in coproduzione. Il cinema off può essere una
alternativa al cinema ufficiale? La società italiana è più toccata da cinema off che non da
mainstream. Il criterio geografico è stato il più adottato per dimostrare quel che si muove nella
periferia del sistema ed è ancora valido. Da un punto di vista tematico il cinema italiano off sceglie
argomenti omologhi alla propria scomoda esistenza. Alcuni autori vicini al cinema amatoriale,
lavorano con la provocazione. Ad ogni modo passa troppo tempo tra l'ideazione di un film e la
distribuzione. L'estate di mio fratello di Reggiani viene scritto nel 1998, bloccato, partecipa a
festival ma in Italia nessuno si accorge di lui. Verrà distribuito solo nel 2007 grazie al progetto
Myself che già aveva aiutato Tu devi essere il lupo di Moroni: si tratta di raggiungere il pubblico
attraverso la prevendita di biglietti sul web o presso locali che hanno aderito all'impresa, così si
raggiunge il minimo garantito per contattare le sale cinematografiche. Molti pensano al marketing
non convenzionale come Sangue di Libero De Rienzo, che non ha usato le nuove tecnologie, hanno
puntato sull'originalità del prodotto: al film giovanile e bizzarro si è affiancata una strategia di
guerilla marketing: busta con oggetti del film in giro per le città, attori che bussano porta a porta
invitando a vedere il film. L'ingegno ha favorito la visibilità, che ha portato in superficie il cinema
sommerso. Tutti i registi sono d'accordo che non si può ripetere l'esperienza fatta, non può diventare
una norma, quindi tutti i problemi del cinema off rimangono. Il basso budget non è sinonimo di
debolezza. Tutto intorno ai film c'è una serie di prototipi produttivi e distributivi: cooperative,
associazioni culturali, società a responsabilità limitata,fondi europei, regionali. Oggi più di ieri è
difficile produrre film. Anche se si riuscisse a farlo, la strettoia distributiva strangolerebbe la
produzione. Se da una parte le tecnologie rendono più semplice realizzare un film, il resto non lo fa.
CAP. 6: AUTORI IN ITALIA 1: MAESTRI
Nel corso degli anni si sono succedute diverse generazioni di autori che si distinguono in maestri
del passato e autori più recenti (che hanno contribuito alla rinascita del cinema italiano). Non
verranno presi in considerazioni i registi del cinema medio autoriale. Gli autori tradizionali sono
quelli che si sono rivelati negli anni 60-70. i cinque nomi da analizzare sono: Olmi, Bellocchio,
Bertolucci, Avati, Amelio, ognuno con caratteristiche proprie e non confondibili. Hanno affrontato
gli anni duemila e si sono trovati a negoziare la propria autorialità, che non viene mai messa in
discussione in questo decennio, anzi diventa più importante rispetto agli anni 90. Tickets di Olmi è il
suo penultimo lungometraggio, visto che poi è tornato ai documentari. L'ultima sarà I centochiodi,
film che ha fatto discutere perché un professore inchioda dei tomi sacri e va in esilio volontario;
così come l'addio di Olmi al lungometraggio. I centochiodi riproponi temi cari al regista, lavoro,
umiltà, vita contadina. Il suo protagonista accoglie la povertà, anche se l'inchiodamento dei libri è
un delitto, ma Olmi lo chiarisce con una sequenza chiave. Olmi abbandona quindi i film di finzione
ma poi nel riprendere i documentari riesce a far saltare i margini dell'attribuzione autoriale.
Parliamo di Terra madre, girato in collaborazione con uno slow food: obiettivo difendere e
sottolineare il lavoro dei contadini, in contrasto con la marea liberista che sta togliendo spazio ad
uno dei mestieri più vecchi del mondo, l'agricoltura. Nella prima parte riprende e documenta gli
incontri del Forum Terra Madre tenutosi a Torino, nella seconda cerca di esprimere in termini
filmici il suo discorso, liberando la forza cinematografica sua e del suo gruppo (esempio di
creazione collettiva di una Scuola cinematografica). Inaugurando un “cinema a chilometro zero”
Olmi moltiplica il senso del fare cinema d'autore negli anni duemila. E così si scopre che Olmi
porta a compimento una ricollocazione delle forme cinematografiche. Bellocchio recupera la
lezione del cinema politico per trasformarla in saggistica onirica dal sapore anti-realista. Ne Il
regista di matrimoni rispolvera abitudini avanguardiste di messa in scena per raccontare lo
smarrimento dell'autore di fronte al nuovo scenario audiovisivo di oggi. Sia in Olmi che in
Bellocchio in gioco ci sono le immagini, quello che rappresentano e ciò che le attende. E quindi
sono gli autori che più di tutti hanno cercato di girare film possibili per un'epoca difficile come il
primo decennio del duemila. Diversa la riflessione di Bertolucci, che ad alcuni potrebbe sembrare
forzata la sua presenza in un decennio segnato dall'affaticamento e dal fatto che in quegli anni abbia
girato un solo film, The dreamers (2003). eppure questo film incarna una filosofia delle immagini.
Bertolucci apre una confessione sulle contraddizioni dell'iconofilia. La cinefilia, movimento
liberatorio e rivoluzionario ma anche circolo tribale di feroci esclusioni. Fin dal titolo il regista
spiega la necessità di ritornare alle immagini e poi di liberarsene in forma di espulsione. È un'opera
sulla cinefilia del 68, una passione che mette sullo stesso piano oggetti amorosi e oggetti politici. In
questo film con più interpretazioni, le citazioni prendono forma letterale, ovvero non sono allusioni
ma veri estratti da altri testi. Questi costituiscono il pensiero del protagonista: è una cosa del tutto
inedita nel cinema italiano. Bertolucci voleva metterci davanti allo specchio di ciò che non
sappiamo più guardare. La pratica della citazione ha intenti sempre diversi, i registi di solito non
sanno quanta distanza mettere tra sé e i film citati. Bertolucci riesce ad offrirsi allo sguardo di chi
non sa vedere, Bellocchio usa la citazione per ricordare il potere delle immagini cinematografiche.
Per Bellocchio, Bertolucci ed Olmi, il cinema come era non esiste più, ma può ripresentarsi tramite
una evocazione. Invece Avati e Amelio si allontanano dai primi tre. Avati nel duemila gira film ad
un ritmo forsennato: comportandosi da artigiano e ribadendo una autorialità, la sua macchina da
presa diventa malinconica e piena di durezza. Avati anche in tempi di crisi conserva un pubblico
affezionato; è proprio l'equilibrio tra l'avatismo e una vena creativa sempre in funzione a garantirgli
l'interesse degli spettatori. Peccato che per lui ci sia poca critica. Amelio invece con la memoria del
cinema ha un rapporto conflittuale. Come intellettuale pubblica libri sul cinema ma come regista
rifugge cinefilia e stratificazioni formali. Si trattiene dall'essere melodrammatico e fra i cinque è il
più inconsapevole che non si può fare finta di nulla davanti alla morte delle immagini degli anni
duemila. Questi cinque cineasti sono riusciti a dire qualcosa di nuovo sul cinema, sul mondo che
viviamo e sull'autorialità stessa.
CAP. 7: AUTORI IN ITALIA 2: NOVI E NOVISSIMI
Dall'epoca oscura degli anni 70-80 emergono cineasti importanti come Moretti, il regista che più a
portato ad esondazione la figura dell'autore. Luoghi d'azione sono autarchia, egocentrismo,
militanza politica, spesso indicati come parole chiave per comprendere arte e personaggio. Difficile
distinguere opera cinematografica ed intervento pubblico. Ad inizio decennio gira il suo film più
usuale e premiato, La stanza del figlio, opera realizzata in opposizione agli anni 90, anche se non
mancano temi come la paternità. Il cinema di Moretti è sempre stato lontano dalle mode e tendenze,
ma la sua maturità svela un regista molto più vicino al cinema italiano ufficiale di quello che si
pensasse. L'intensità con cui mette in scena il dolore di una famiglia spezzata e il rifiuto di
accogliere una morale, fanno sì che il film non sia un fallimento. L'ultimo Moretti però rischia di
perdere l'irriverenza, l'alterità e la estraneità al mondo mostrata nelle fasi precedenti. Esistevano un
Moretti misantropo e infelice e un Moretti pieno di impegno civile, comunitario e intellettuale.
Anche la figura pubblica di Moretti sembra incerta a fragile come il suo cinema e come l'Italia,
della quale Moretti finisce per raccontare vizi e virtù. Moretti resta un autore unico per come
continua a declinare la sua personalità artistica. I suoi eredi sono pochi, come Luchetti (autorialità
media), Mazzacurati (la minorità è un tutt'uno con la dignità di composizione), Rubini
(autobiografismo malinconico). Altri cineasti anni 80 come Ferrario prendono una strada che
coniuga ricerca e trasparenza, nuove tecnologie e rispetto del pubblico (Dopo mezzanotte, Tutta
colpa di Giuda). Sono film sospesi tra autorialità e contro bilanciamento drammatico. Riscuote
grande successo negli anni 80 Salvatores (Marrakech express film cult di quel periodo). Dopo un
oscar (Mediterraneo) poteva avere una grande carriera ma non è stato così. Salvatores ha cercato
strade nuove e impervie, contando su un talento minore del previsto. Gli anni duemila sono l'epoca
delle trasposizioni (Io non ho paura e Come Dio comanda di Ammaniti). Soldini invece ha cercato
di non seguire lo sguardo normalizzante del cinema drammatico italiano e di far interagire spazi
urbani e attori in contesti meno ovvi. Ha esplorato in funzione metaforica le possibilità di
rappresent