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B) IL FILMICO

SCALA DEI PIANI= si intende la diversa possibilità di ogni inquadratura di rappresentare

un elemento profilmico da una maggiore o minore distanza. (si considera anche la

lunghezza focale dell’obiettivo).

1) Campo lunghissimo= è quel tipo di inquadratura che abbraccia una porzione di spazio

particolarmente estesa. La sua funzione è principalmente di tipo descrittivo.

2) Campo lungo= anch’esso inquadratura di ampie proporzioni dove i personaggi e le

azioni sono tuttavia più riconoscibili.

3) Campo medio= ristabilisce un certo equilibrio nei rapporti tra ambiente e figura umana.

4) Figura intera= è la prima inquadratura che afferma la centralità del personaggio.

5) Piano americano= dalle ginocchia in su.

6) Mezza figura= dalla vita in su.

7) Mezzo primo piano= dal petto in su.

8) Primo piano= dalle spalle in su.

9) Primissimo piano= solo il volto umano.

10) Particolare= una parte del volto o del corpo / Dettaglio= oggetto.

Deleuze definisce il primo piano come immagine – affezione e lo suddivide in due categorie:

il volto riflessivo che pensa a qualche cosa e si fissa su un oggetto (Griffith) e il volto

intensivo che prova o risente di qualcosa, tende verso un limite e oltrepassa una soglia

(Ejzenstejn).

Un intenso uso del primo piano lo possiamo rinvenire in un’inquadratura di Sussurri e

grida di Ingmar Bergman, regista che indubbiamente è stato fra quelli che meglio hanno

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saputo sfruttare le possibilità espressive di tale figura. Il piano in questione si costruisce

intorno a due personaggi la bella e sensuale Maria e il dottore che è stato un tempo su

amante. Le parole del dottore leggono il volto della donna individuando in esso i segni del

suo mondo interiore e facendo quel che un ipotetico spettatore modello dovrebbe poter

essere in grado di fare di fronte a ogni immagine simile. È solo attraverso le parole del

dottore che questo primo piano si fa trasparente. Un altro aspetto fondamentale di questo

primo piano è il suo articolarsi in quattro diversi quadri che corrispondono e visualizzano gli

snodi drammatici su cui esso si costruisce.

1) Quello dedicato al solo volto del dottore ha un valore prettamente introduttivo,

narratore diegetico.

2) Nel secondo quadro diventa la protagonista quella che riceve il discorso. Ora le parole

del dottore provengono dal fuori campo e ha il compito descrittivo.

3) Ora la voce ritorna in campo, inquadrando sulla destra la bocca del dottore, che non

descrive soltanto il volto ma lo interpreta in tutti i suoi segni.

4) Nell’ultimo quadro viene ripreso per intero il volto dell’attore e il ruolo di narratore e

narratario si fanno interscambiabili, e Maria da una sua contro interpretazione.

Altro elemento importante è la posizione della macchina, si sostituisce ad uno specchio

(metafora dello specchio che attraverso il primo piano cerca di catturare l’anima dei suoi

personaggi nella consapevolezza delle ambiguità che ciò comporta). C’è anche un uso

attento della luce prima attraverso le parole del dottore (che afferma che con quella luce è

impossibile vedere le sue rughe) e poi con la candela che sposta l’attenzione dello

spettatore dal volto della donna al volto dell’uomo.

ANGOLAZIONI E DINTORNI il punto di ripresa o punto di vista della macchina da presa,

non riguarda solo la distanza in rapporto ai soggetti inquadrati, ma anche l’angolazione,

l’inclinazione e l’altezza della stessa macchina da presa. Serie infinita di riprese di uno

stesso soggetto a seconda di diversi parametri (altezza, angolazione e inclinazione). Welles

famoso per le sue riprese dal ballo, mentre Ozu preferiva quelle dall’alto. Anche nel cinema

primitivo si usava variare angolazione, come nell’arrivo di un treno alla stazione.

Il gioco delle angolazioni, dell’altezza e in generale della posizione della macchina da presa

trova un uso espressivamente assai efficace in alcune inquadrature di una scena di dialogo

fra Marion e Norman in Psyco. La minaccia non viene espressa tramite parole, ma tramite

l’opposizione delle varie inquadrature. Le inquadrature di Marion sono frontali, centrali, la

macchina da presa si trova all’altezza del personaggio, non vi è alcuna angolazione, la

macchina da presa è perpendicolare, le linee sono orizzontali e verticali, la luce omogenea.

Gli elementi scenografici sono neuri e rassicuranti. Mentre la serie di inquadrature su

Norman sono laterali, lui è posto ai margini, la mdp è

bassa e inclinata. L’angolazione è dal basso, linee oblique

e la luce è contrastata creando delle ombre minacciose.

Gli elementi scenografici sono minacciosi e inquietanti.

Anche nel caso del film Quarto Potere, per esprimere la

personalità contraddittoria, il contrasto tar la sua potenza

e debolezza, l’utilizzo frequente delle angolazioni dal basso. Questa scelta evidenzia la

potenza del personaggio, ma mostra costantemente il soffitto che sembra gravare

minacciosamente sul personaggio, dando vita a spazi claustrofobici e oppressivi.

FUORI CAMPO serie di elementi profilmici non inclusi nel campo ma che non questo

hanno una relazione spaziale di contiguità. Burch indica come lo spazio fuori campo sia

suddividibile in sei diverse aree: quattro che stanno ai lati dell’inquadratura (a destra,

sinistra in alto e in basso), una che va oltre alla scenografia e una dietro alla macchina da

presa. Modi per esplicitare campo e fuori campo: le entrate e uscite in campo, lo sguardo

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del personaggio, il suono off (presenza di una componente sonora diegetica di cui però

l’inquadratura non mostra la fonte), inquadrature che tagliano parte del corpo del

personaggio.

Il fuori campo deve quindi essere distinto tra fuori campo attivo (è proprio delle

inquadrature a struttura centrifuga, che tendono a qualcosa oltre ai bordi), e fuori campo

passivo (inquadrature centripete, dove nulla rimanda all’esterno dei bordi).

Un’altra distinzione è quella fra fuori campo concreto (campo escluso dalla ripresa, ma che

noi abbiamo avuto modo di vedere in precedenza) e fuori campo immaginario (allusione ma

senza averla mai vista). Poi c’è un fuori campo anticlassico, proibito, che secondo Bonitzer è

quello della troupe e delle macchine per la lavorazione del film.

L’inizio di M, il mostro di Dusseldorf di Lang è un brano esemplare per quel che riguarda

l’uso espressivo del fuori campo. Il film si apre con un’inquadratura leggermente dall’alto di

un gruppo di bambini in cerchio che recitano la filastrocca dell’uomo nero.

1) Un movimento di macchina, che significativamente si avvia quando la bambina che

fa la conta dice a uno dei suoi compagni “tu vai fuori”, che ci porta su un balcone del

cortile vuoto, poi dopo arriva donna che rimprovera la giovane figlia. Quando la

donna esce di campo, la cinepresa permane ancora per qualche secondo su uno

spazio ormai vuoto che esplicita un doppio fuori campo: da una parte quello

concreto dei bambini, dall’altra quello immaginario dell’interno del palazzo.

2) Donna del balcone bussa ad una donna e le passa la biancheria, si scambiano delle

battute, ripropongono il motivo dell’assassino che si aggira per la città. La cinepresa

rimane con la donna della biancheria. All’improvviso sentiamo provenire dal fuori

campo il suono di un orologio a cucù. Poi stacco sull’orologio e di nuovo sul suo volto

rassicurante.

3) Poi stacco del suono off della campanella della scuola, ci indica simultaneità. Scena

della macchina e della bambina che stava per essere investita ci suggerisce l’idea di

minaccia e della poca attenzione della bambina.

4) Ritorna ancora sulla madre (montaggio alternato), ci fa capire che sono madre e

figlia.

5) Bambina getta ripetutamente palla su manifesto avviso di taglia per cattura del

mostro. La bambina è fuori campo, entra in campo l’ombra di un uomo . l’incontro

fra uomo e bambina è confinato nel fuori campo, ma i suoi sviluppi sono chiari. Il

mostro occupa tutto il campo e il fuori campo. (fuori campo ha due logiche, la prima

di non mostrare l’immagine del mostro, per

enfatizzare la sua mostruosità e poi quella di far

scattare la curiosità nello spettatore).

6) Si ritorna dalla madre e il gioco del fuori campo

con il cucù, ma adesso la sua faccia è

preoccupata. Poi nuovo suono off che reintroduce

la dialettica di campo e fuori campo. Sentiamo dei

passi provenire dalle scale, fuori campo della

speranza, ma poi scopriamo essere delle altre

bambine.

7) Si ritorna alla bambina. Fuori campo interno, vediamo il mostro solo di spalle, non il

volto.

8) Si ritorna dalla donna, altro suono off, ma è il postino. Lei riguarda nuovamente sulla

tromba delle scale. Ci mostra le scale deserte e la donna che grida Elsie, spazio

drammaticamente vuoto. Riguarda l’orologio. Serie di inquadrature di spazi vuoti.

Posto a tavola, scale sottotetto. (ci rimanda al fuori campo, a Elsie).

9) Immagine del pallone abbandonato e palloncino impigliato su un palo elettrico non

lasciano più speranza. Qui non c’è più contemporaneità, ma rapporto di successione.

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L’aggressione della bambina è doppiamente confinata nel non visibile, non solo in un

altro spazio, ma anche in un altro tempo. Prima spazio vuoto e poi palla, poi

palloncino e infine di nuovo spazio vuoto palloncino volato via circolarità che lega

fra loro questi due piani.

Tutto il lungo esordio di M è articolato sulle dialettiche di campo e fuori campo. Di fatto il fuori

campo ha, sul piano dello spazio, lo stesso ruolo che l’ellissi ha su quello del tempo. In

entrambi casi qualcosa che potrebbe essere rappresentato è invece omesso. Tali omissioni,

come accade per l’uccisione della bambina, rispecchiano anche quello che è il non-visibile di

una società, e della sua cultura. La violenza sui minori accade, ma non viene mai

rappresentata. Il cinema classico era un cinema del fuori campo, dove il dissimulato/suggerito

era talvolta più importante del mostrato. Il cinema del campo supera il limite che vede lo

schermo come finestra (es. Quentin Tarantino). Ma la dialettica di campo e fuori campo è un

elemento imprescindibile del cinema in quanto linguaggio e forma d’espressione.

Il regista Takeshi Kitano in tutti i suoi film ricorre a una narrazione spezzettata, fatta di continue

reticenze e omissioni, sia sul piano del tempo, sia su quello dello spazio. Per esempio L’estate

di Kikujiro, due personaggi fermi in una piazzola, cercano un passaggio (trama della sequenza

pag. 146 -147). Le due sequenze descritte sono contrassegnate da un evidente uso d’ellissi e

del fuori campo. Per due volte, nella prima sequenza, il f

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Publisher
A.A. 2019-2020
27 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Giulia_1809 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Analisi del film e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Di Donato Mauro.