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SOMIGLIANZE TRA DCSP E ASD:
Sono caratterizzati da difficoltà conversazionali, dall’uso di un linguaggio stereotipato e
▪ ripetitivo e da deficit marcati in diversi pattern di comportamento non verbale.
Disturbi pragmatici acquisiti: pazienti con lesioni all’emisfero destro
Nella letteratura scientifica si è consolidata l’idea di una superiorità funzionale dalla parte sinistra del
cervello sulla parte destra. Ma nella seconda metà del XX secolo questa idea è stata riveduta in
quanto è stato osservato che anche l’emisfero destro ricopre un ruolo importante in processi mentali
e partecipa anche alle funzioni dell’emisfero sinistro.
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Infatti, in seguito a lesioni dell’emisfero destro di manifestano i seguenti sintomi:
Disorientamento
▪ Eminattenzione
▪ Agnosia visiva percettiva
▪ Prosopagnosia
▪
L’emisfero destro è coinvolto anche in alcune funzioni linguistiche in quanto elabora alcuni aspetti
pragmatici della comunicazione verbale infatti in seguito a lesioni emisferiche destre si manifestano
problemi sia di produzione sia di comprensione del linguaggio e l’eloquio potrebbe anche apparire
monotono e privo di inflessione prosodica.
La prima a condurre uno studio su questo fu la Myers che utilizzò il termine “apragmatismo” per
descrivere i problemi comunicativi dei soggetti con Right Hemisphere Damage.
Un aspetto pragmatico ampiamente studiato è la comprensione del linguaggio non letterale (come
la comprensione delle richieste indirette, humour, ironia, sarcasmo, bugie e battute ironiche): nel test
i soggetti avrebbero dovuto identificare un’immagine corrispondente alla frase letta dallo sperimentatore.
L’immagine prevedeva 3 opzioni di scelta:
1. Una figura che rappresentava correttamente l’interpretazione non letterale della frase;
2. Una figura che rappresentava letteralmente l’enunciato;
3. Una figura scorretta non legata semanticamente alla frase pronunciata dallo sperimentatore.
Anche nei pazienti con RHD i problemi pragmatici sembrano derivare da un deficit nella capacità
di mentalizzazione.
L’Alzheimer è una patologia degenerativa del sistema nervoso caratterizzata da demenza
presenile o senile e fu descritta per la prima volta nel 1909 dallo psichiatra tedesco Alois Alzheimer.
I sintomi sono causati dal deterioramento di varie regioni cerebrali, tra cui l’ippocampo e le aree
della corteccia frontale. È possibile distinguere 3 fasi nel decorso della malattia di Alzheimer:
1. Perdita della memoria a breve termine;
2. Difficoltà nel riconoscere i parenti e gli amici, vaga senza uno scopo in casa o nei dintorni e
molto spesso non è in grado di far ritorno accompagnata da ansietà, insonnia e mutamenti
di personalità;
3. Non è più in grado di riconoscere le persone che gli sono vicino, non comprende le parole e
ha difficoltà in attività quotidiane.
In tale patologia si osservano:
Graduale deterioramento della memoria;
› Progressivo peggioramento del linguaggio, della percezione visuo-spaziale e delle FE;
› Disturbi della comunicazione;
› Deficit nel riconoscimento di oggetti e persone;
› Disturbi nell’esecuzione dei movimenti finalizzati;
›
16 Deficit linguistici: sono tra i sintomi più precoci della malattia. I soggetti presentano soprattutto
› una riduzione degli elementi lessicali, cioè producono un linguaggio “vuoto”, povero di
contenuto semantico.
Il linguaggio dei pazienti con demenza di Alzheimer lieve è stato assimilato a quello dei
➢ pazienti con afasia anomica cioè una forma di afasia consistente nell’incapacità di evocare
un nome;
Il linguaggio dei pazienti con DA moderata è stato accostato alla comunicazione di soggetti
➢ con afasia transcorticale o di Wernicke.
Questa classificazione è stata messa in discussione da uno studio condotto da Blanken e colleghi che
❖ dimostrarono, esaminando dei campioni di linguaggio di pazienti con DA, che questi non presentavano
caratteristiche di anomia comparabili a quelle dei pazienti con afasia fluente e che se questi venivano
stimolati non riuscivano a soddisfare le richieste dell’esaminatore a differenza di quelli afasici. Quindi
questi ricercatori hanno ipotizzato che il linguaggio vuoto dei pazienti con DA sia un disturbo
dell’elaborazione pragmatico-concettuale quindi un disturbo macroelaborativo.
Kempler e Goral hanno suggerito che i sintomi anomici dei pazienti con DA sono riferibili a deficit cognitivi
❖ extralinguistici, come l’incapacità di focalizzare l’attenzione sul compito in corso di svolgimento.
I pazienti con DA producono dei discorsi vuoti, ripetitivi e faticano a fornire informazioni necessarie
❖ affinché l’interlocutore possa comprenderli. La produzione discorsiva è priva di coerenza globale
(secondo degli studi effettuati da St-Pierre, Ska e Béland: il compito prevedeva che i partecipanti
raccontassero una storia relativa a un incidente automobilistico presentata attraverso 7 immagini. Le storie prodotte
sono state trascritte e suddivise in enunciati e poi ogni valutazione è stata valutata rispetto alla presenza di 3 tipi di
enunciato: pertinenti (che hanno un contenuto atteso che è di fondamentale importanza per la sequenza logica
degli eventi della storia), relati (contengono un’informazione rilevante ma non necessaria ai fini della comprensione
),
della storia e irrilevanti (contengono informazioni che non arricchiscono il contenuto e interferiscono con la
progressione logica della storia), come quelli che contengono processi autoidentificativi e commenti personali. I
risultati furono che nelle storie prodotte dai pazienti con DA c’era un numero inferiore di enunciati pertinenti rispetto
).
a quelli relati e irrilevanti
Il deficit discorsivo nella DA tende a peggiorare con il progredire della malattia. Ricerca effettuata da
❖ Lima e colleghi: i partecipanti dovevano raccontare la storia di Cappuccetto Rosso presentata attraverso 12
immagini, le narrazioni sono state valutate in riferimento alla coerenza locale e globale. I risultati furono che a un
livello generale le storie prodotte dal gruppo con DA ottenevano punteggi inferiori sia in riferimento alla coerenza
globale che locale.
Un altro deficit riguarda la memoria di lavoro: poiché si fonda sulla capacità del parlante di pianificare
❖ il proprio discorso dirigendo il focus attentivo sugli elementi rilevanti dell’immagine, di mantenere in
memoria ciò che ha appena detto e di rispondere in modo appropriato agli stimoli contestuali.
trauma cranico-encefalico
L’espressione indica una qualsiasi lesione al cranio o al cervello
dovuta a un evento traumatico e può essere di 2 tipi: trauma cranico aperto (caratterizzato da lesioni
alle ossa del cranio con conseguenti danni diretti alle parti adiacenti del cervello) e trauma cranico
chiuso (non comporta lesioni ossee).
17 Inoltre, esso viene classificato sulla base della gravità delle lesioni:
Trauma cranico lieve: asintomatico, possono presentarsi cefalea, vertigini, ferite cutanee,
senza perdita della coscienza;
Trauma cranico medio (o moderato): perdita della coscienza durante o subito dopo
l’incidente;
Trauma cranico severo: comporta un’alterazione persistente della coscienza.
Le regioni cerebrali più frequentemente danneggiate sono le zone frontali e temporali del cervello.
Mentre per quanto riguarda i disturbi conseguenti a un trauma cranico sono:
Deficit attentivi
• Disturbi mnemonici
• Alterazioni neurocomportamentali
• Deficit delle FE (quando si tratta di lesioni in zone specifiche dei lobi frontali): si tratta di deficit
• esecutivi che coinvolgono la pianificazione, il monitoraggio dell’azione e la flessibilità
mentale. (Zalla, Kliegel, Eschen, Thone-Otto)
Le prime ricerche sui problemi comunicativi dei pazienti con Traumatic Brain Injury che risalgono agli
anni 70 del 900 hanno mostrato che a differenze dei soggetti afasici (che presentano deficit
fonologici, morfologici, sintattici e semantico-lessicali) nei pazienti con TBI è il livello conversazionale
e discorsivo a essere gravemente compromesso.
La comunicazione dei soggetti affetti da TBI è confusa, confabulatoria, tangenziale, senza alcuna
apparente connessione logico-sequenziale tra i pensieri.
Negli anni 80 del 900, i nuovi studi hanno attestato nei pazienti con TBI la presenza di una
dissociazione tra l’elaborazione frasale e l’elaborazione discorsiva. Ciò significa che i soggetti con
TBI riescono a produrre frasi ben formate da un punto di vista sintattico-lessicale, MA non sono in
grado di costruire discorsi globalmente coerenti.
Il primo studio sulle capacità comunicative dei pazienti con TBI fu effettuato da Glosser e Deser che
➢ hanno testato le abilità linguistiche di 3 gruppi: pazienti con afasia fluente, pazienti con demenza di
Alzheimer e pazienti con trauma cranico chiuso: il compito prevedeva che lo sperimentatore
chiedesse al soggetto di parlare liberamente della propria famiglia e delle proprie esperienze
lavorative. I discorsi sono stati registrati, trascritti e sono stati analizzati secondo gli indicatori di
coerenza globale e locale, coesione, complessità sintattica e produzione di singole parole. I risultati
furono: I pazienti con afasia fluente avevano deficit nell’elaborazione sintattica e lessicale ma
→ performance normali nell’organizzazione macrolinguistica;
I pazienti affetti da demenza da Alzheimer esibivano problemi nella gestione della coerenza
→ discorsiva, ma avevano capacità sintattiche e fonologiche relativamente intatte;
I soggetti con trauma cranico avevano pattern normali nella produzione di forme sintattiche
→ intrafrasali complesse, ma significativi problemi nell’elaborazione della coerenza globale.
I deficit discorsivi dei traumatizzati cranici dipendono dalle disfunzioni esecutive di cui soffrono questi
➢ pazienti. I loro deficit dipendono da un danneggiamento dei processi di ordine superiore necessari
per la pianificazione e l’organizzazione del linguaggio.
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Mozeiko e colleghi hanno fatto delle ricerche in relazione alla capacità dei pazienti con TBI di costruire
➢ storie coerentemente strutturate composte da episodi legati tra loro logicamente i cui risultati hanno
mostrato dei punteggi inferiori agli altri soggetti. I loro deficit discorsivi erano direttamente legati ai loro
problemi di FE. Un altro metodo di studio utilizzato è stato il Wisconsin Card Sorting Testing utilizzato per
testare la flessibilità mentale.
Martini, Zettin e Galetto hanno effettuato ulteriori ricerche sui disturbi discorsivi: ad un gruppo è stato
➢ chiesto di raccontare 3 storie attraverso delle vignette e i risultat