Riassunto diritto romano: le fonti
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LE FONTI DEL DIRITTO
LA LEX
Per fonti del diritto si intendono quegli atti idonei a creare diritto. Secondo Gaio
un giurista del II sec. D.C. le fonti del diritto sono costituite dalle leggi, dai
plebisciti, dai senato consulti, dalle costituzioni degli imperatori e dagli editti da
coloro che hanno il diritto di emanarli. Questa elencazione è riprodotta nelle
Istituzioni. Gaio essendo un giurista imperiale, in questa elencazione non cita i
mores o altre figure come le fas tipiche dell’età arcaiche.
La prima fonte del diritto è la lex di cui troviamo tre definizioni giuridiche ed in
ordine cronologico la prima è data da Gaio Capitone vissuto nell’età augustea
che dice che “la legge è un comando generale del popolo o della plebe con il
magistrato che interroga”. La seconda definizione è data da Gaio ossia “la
legge è ciò che il popolo definisce”. La terza definizione è di Papiniano, morto
nel 212 d.C. che nel Digesto indica che “la legge è identica all’espressione con
cui Demostane aveva definito il nomus”.
La legge è approvata dal popolo, è in sostanza un patto tra uomini in
particolare tra il magistrato e il popolo infatti è il magistrato che chiede al
popolo se vuole emanare quella regola. Solo nella definizione di lex di
Papiniano si evince il concetto di patto poiché nelle altre due definizioni la
legge è un comando, un ordine. La definizione di Papiniano si può indicare
come metagiuridica poiché è identica a quella data da Demostane che è un
greco e non un giurista. Si può definire quindi la legge come un atto di
comando di emanazione popolare. Il popolo è riunito nei comizi ossia
l’assemblea che è il luogo dove il popolo esprime la propria volontà. La legge
quindi promana dal potere del popolo, il popolo facendo uso del suo potere
innescato dal potere magistratuale comanda. Ed è per questo che si può
parlare di incontro. È un incontro di poteri quello del magistrato di proporre al
popolo la norma e il potere del popolo di approvarla. È lex infatti solo con
l’incontro (communem precettum). Non è un patto ma intersecazione del
potere.
I caratteri della lex sono innanzitutto la vincolatività e la generalità, essa è
infatti un comando generale non un ordine specifico. Poi vi è l’astrattezza
perché è un ordine generale che concerne un vasto numero di persone non
identificato.
Con il termine lex sono designati anche i contenuti tra i patti fra privati ad
esempio le clausole di un contratto vengono definite leges. Per identificare la
lex in quanto ius popoli quindi si usa un ulteriore qualificazione che è nella
parola pubblico. La radice di pubblicus è la stessa di populus. È pubblico ciò che
è nel popolo, ciò che viene dal popolo. Questo è però un concetto antichissimo
poiché nel momento stesso che le assemblee emanavano la lex si può dire che
sorgeva il concetto di pubblicus. La prova è in un passo di Tito Livio storico
della età augustea, che nel settimo libro parla dell’approvazione delle dodici
tavole ossia la normazione più antica di Roma, risalente al 450 a.C. Le dodici
tavole sono appunto dodici norme contenute in delle tavole tra cui una di
queste norme recitava “ciò che il popolo abbia ordinato in tempi successivi, ciò
sia diritto”. Da questa norma che indica il contenuto della lex ricaviamo che la
lex è fonte di diritto e che qualunque statuizione del popolo intervenuta in
tempi successivi è in grado di modificare lo ius abrogando la norma
precedente. Il potere popolare non si esplica una volta soltanto ma il popolo in
quanto avente potestas può ordinare in modo anche difforme sulla stessa
materia in tempi successivi. Questo concetto di lex che emerge dalle dodici
tavole non indica il potere incondizionato del popolo ma indica solo che il
popolo può abrogare o modificare le proprie decisioni precedenti.
LE FONTI DEL DIRITTO
I PLEBISCITI E LE COSTITUZIONI IMPERIALI
Una definizione giuridica di Plebiscito la possiamo prendere dalle Istituzioni di
Gaio in cui dichiara che “il plebiscito è ciò che la plebe approva”. La definizione
di plebiscito è la stessa di quella di legge ma la differenza non è nel valore
dell’atto ma nella sua formazione poiché la lex è approvata dal popolo mentre il
plebiscito dalla plebe.
La plebe si differenza dal popolo poichè con il termine popolo si intendono tutti
i cittadini (universi civis) compresi i patrizi, mentre con il nome di plebe si
intendono gli altri cittadini esclusi i patrizi. La definizione che Gaio da di plebe è
qualificata in negativo, la plebe infatti consiste nella sottrazione dei patrizi al
popolo.
La plebe non ha la possibilità di esprimere la propria volontà nell’assemblea fin
da subito ma il processo di maturazione della valenza costituzionale dei
plebisciti è odierna. Pomponio nel Digesto esattamente nel secondo libro in
relazione all’origine dei plebisciti ci racconta che la plebe, intenzionata a
regolamentarsi poichè in rivolta contro i senatori, emana i plebisciti e cerca di
imporre il proprio contenuto al resto del popolo. Il plebiscito non essendo stato
riconosciuto dai patrizi non è per loro vincolate ma successivamente con
l’emanazione della legge Ortenzia nel 286 a.C. i plebisciti furono equiparati alla
legge facendo si che gli atti approvati da una sola parte del popolo producesse
effetti verso il popolo intero.
Anche Gaio nelle Istituzioni descrive i Plebisciti che già in età repubblicana
giungono al punto di essere totalmente identificati con la legge. Non nascono
come leggi ma ottengono lo stesso valore della legge attraverso una legge
ossia la Legge Ortenzia.
Tra le fonti del diritto vi sono le costituzioni degli imperatori. La costituzione
dell’imperatore è ciò che l’imperatore con decreto, o editto o epistula
stabilisce. A tal proposito Gaio nelle Istituzioni dice che “La costituzioni non può
essere considerata una legge perché solo il popolo può approvare le leggi ma
ha la forza della legge in quanto l’imperatore attraverso la legge ha ricevuto il
suo potere. La legge è popolare e quindi non conosce alternative a questo
schema ma è il popolo che trasferisce all’imperatore tutto il suo potere con
anche la conseguenza di poter emanare leggi.
LE FONTI DEL DIRITTO
LA GIURISPRUDENZA
Al tempo di oggi intendiamo come giurisprudenza il complesso delle corti che
emanano sentenze, poi a seconda degli ordinamenti la giurisprudenza può
avere determinati tipi di valori. Per quanto riguarda il diritto romano la
giurisprudenza è formata da persone che per molti secoli non sono state
investite di alcun potere, persone che studiano il diritto come scelta di vita
senza una remunerazione, ma ugualmente hanno il potere di creare diritto. I
romani sviluppano fin da subito un senso giuridico, indicandolo come una vera
e propria scienza a differenza di un altro grande popolo i greci che ritenevano il
diritto una branchia della filosofia. Alle origini la giurisprudenza a Roma era
identificata con il collegio dei pontefici, tale collegio si occupava della corretta
applicazione del diritto umano e sacro. Il collegio dei pontefici era composto
dai sacerdoti, essi erano i depositari del diritto poiché il diritto consuetudinario i
cosidetti mores non era tramandati per iscritto ma oralmente. Loro quindi
conoscevano il diritto e ne garantivano l’applicazione e potevano interpretarlo.
I responsi del collegio erano segreti e vincolanti ed erano espressi
all’unanimità. La situazione però cambia nel 450 a.C. quando vengono emanate
le dodici tavole. Si tratta di un diritto scritto pubblicato e che quindi era alla
portata di chiunque potesse leggere. Il collegio dei pontefici si confronta a
questo punto con una realtà nuova, inizialmente commentando la norma
letteralmente ma pian piano si accostò alla norma a livello interpretativo
mantenendo comunque la segretezza. Molti istituti infatti che hanno radici nelle
dodici tavole del diritto civile romano non erano disciplinati dalle stesse ma
nascono dall’interpretazione dei pontefici ad es. l’adozione. Non vi era infatti
una norma in merito ma c’erano delle norme che interpretate adeguatamente
potevano portare al concetto di adozione. L’elaborazione di interpretazione del
collegio era vincolante per tutti sia per chi lo aveva richiesto ma anche per chi
lo avrebbe richiesto successivamente. In pratica con l’interpretazione delle
dodici tavole creano diritto e creano stabilizzazione nel proprio interno,
vincolano loro stessi ai propri responsi. Un altro aspetto dell’attività dei
pontefici è il modo di operare all’interno dello stesso collegio, la modalità
operativa è quello dell’unicità all’esterno. Nessuno saprà mai il dibattito che
avviene all’interno del collegio poiché poi il responso è univoco anche se ci
sono stati dibattiti. Il principio della controversia, del dibattito, del confronto,
nasce nella giurisprudenza ma costituisce l’anima della giurisprudenza a cui
non rinuncerà mai. Proprio grazie alla discussione si tende al perfezionamento.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Valeriat di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Istituzioni e storia del diritto romano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Niccolò Cusano - Unicusano o del prof Vallocchia Franco.
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