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I PLEBISCITI E LE COSTITUZIONI IMPERIALI
Una definizione giuridica di Plebiscito la possiamo prendere dalle Istituzioni di
Gaio in cui dichiara che “il plebiscito è ciò che la plebe approva”. La definizione
di plebiscito è la stessa di quella di legge ma la differenza non è nel valore
dell’atto ma nella sua formazione poiché la lex è approvata dal popolo mentre il
plebiscito dalla plebe.
La plebe si differenza dal popolo poichè con il termine popolo si intendono tutti
i cittadini (universi civis) compresi i patrizi, mentre con il nome di plebe si
intendono gli altri cittadini esclusi i patrizi. La definizione che Gaio da di plebe è
qualificata in negativo, la plebe infatti consiste nella sottrazione dei patrizi al
popolo.
La plebe non ha la possibilità di esprimere la propria volontà nell’assemblea fin
da subito ma il processo di maturazione della valenza costituzionale dei
plebisciti è odierna. Pomponio nel Digesto esattamente nel secondo libro in
relazione all’origine dei plebisciti ci racconta che la plebe, intenzionata a
regolamentarsi poichè in rivolta contro i senatori, emana i plebisciti e cerca di
imporre il proprio contenuto al resto del popolo. Il plebiscito non essendo stato
riconosciuto dai patrizi non è per loro vincolate ma successivamente con
l’emanazione della legge Ortenzia nel 286 a.C. i plebisciti furono equiparati alla
legge facendo si che gli atti approvati da una sola parte del popolo producesse
effetti verso il popolo intero.
Anche Gaio nelle Istituzioni descrive i Plebisciti che già in età repubblicana
giungono al punto di essere totalmente identificati con la legge. Non nascono
come leggi ma ottengono lo stesso valore della legge attraverso una legge
ossia la Legge Ortenzia.
Tra le fonti del diritto vi sono le costituzioni degli imperatori. La costituzione
dell’imperatore è ciò che l’imperatore con decreto, o editto o epistula
stabilisce. A tal proposito Gaio nelle Istituzioni dice che “La costituzioni non può
essere considerata una legge perché solo il popolo può approvare le leggi ma
ha la forza della legge in quanto l’imperatore attraverso la legge ha ricevuto il
suo potere. La legge è popolare e quindi non conosce alternative a questo
schema ma è il popolo che trasferisce all’imperatore tutto il suo potere con
anche la conseguenza di poter emanare leggi.
LE FONTI DEL DIRITTO
LA GIURISPRUDENZA
Al tempo di oggi intendiamo come giurisprudenza il complesso delle corti che
emanano sentenze, poi a seconda degli ordinamenti la giurisprudenza può
avere determinati tipi di valori. Per quanto riguarda il diritto romano la
giurisprudenza è formata da persone che per molti secoli non sono state
investite di alcun potere, persone che studiano il diritto come scelta di vita
senza una remunerazione, ma ugualmente hanno il potere di creare diritto. I
romani sviluppano fin da subito un senso giuridico, indicandolo come una vera
e propria scienza a differenza di un altro grande popolo i greci che ritenevano il
diritto una branchia della filosofia. Alle origini la giurisprudenza a Roma era
identificata con il collegio dei pontefici, tale collegio si occupava della corretta
applicazione del diritto umano e sacro. Il collegio dei pontefici era composto
dai sacerdoti, essi erano i depositari del diritto poiché il diritto consuetudinario i
cosidetti mores non era tramandati per iscritto ma oralmente. Loro quindi
conoscevano il diritto e ne garantivano l’applicazione e potevano interpretarlo.
I responsi del collegio erano segreti e vincolanti ed erano espressi
all’unanimità. La situazione però cambia nel 450 a.C. quando vengono emanate
le dodici tavole. Si tratta di un diritto scritto pubblicato e che quindi era alla
portata di chiunque potesse leggere. Il collegio dei pontefici si confronta a
questo punto con una realtà nuova, inizialmente commentando la norma
letteralmente ma pian piano si accostò alla norma a livello interpretativo
mantenendo comunque la segretezza. Molti istituti infatti che hanno radici nelle
dodici tavole del diritto civile romano non erano disciplinati dalle stesse ma
nascono dall’interpretazione dei pontefici ad es. l’adozione. Non vi era infatti
una norma in merito ma c’erano delle norme che interpretate adeguatamente
potevano portare al concetto di adozione. L’elaborazione di interpretazione del
collegio era vincolante per tutti sia per chi lo aveva richiesto ma anche per chi
lo avrebbe richiesto successivamente. In pratica con l’interpretazione delle
dodici tavole creano diritto e creano stabilizzazione nel proprio interno,
vincolano loro stessi ai propri responsi. Un altro aspetto dell’attività dei
pontefici è il modo di operare all’interno dello stesso collegio, la modalità
operativa è quello dell’unicità all’esterno. Nessuno saprà mai il dibattito che
avviene all’interno del collegio poiché poi il responso è univoco anche se ci
sono stati dibattiti. Il principio della controversia, del dibattito, del confronto,
nasce nella giurisprudenza ma costituisce l’anima della giurisprudenza a cui
non rinuncerà mai. Proprio grazie alla discussione si tende al perfezionamento.
Intorno al terzo secolo viene rotta l’egemonia del collegio dei pontefici poiché i
giuristi non hanno più l’obbligo di essere sacerdoti ma può essere qualunque
cittadino che studia il diritto. Cade anche il canone della segretezza poiché
verranno pubblicati tutti i responsi del collegio per essere utilizzati dai giudici e
dai cittadini.
LA GIURISPRUDENZA NELL’ETA’ IMPERIALE
Nel III sec. a.C. la giurisprudenza non si identificava più nel collegio dei
pontefici e, come indica Pomponio il vincolo della segretezza viene meno
perché i responsi vengono pubblicati. Per poter emettere responsi su problemi
di diritto quindi non è più necessaria la figura del sacerdote e questo favorì
l’emersione di nuove figure ossia gli esperti di diritto. Queste persone che non
sono incaricate ufficialmente vengono definiti giuristi e la loro giurisprudenza
viene definita laica. Questa diffusione produsse lo ius controversum, un
articolato dibattito su questioni giuridiche che costituiva l’anima della
giurisprudenza del tempo. I giuristi appartengono alla nobilitas in età
repubblicana, quindi sono persone di rango superiore appartenenti a ricche
famiglie ma questo non significa che abbiano un potere conferitogli da una
qualche autorità. Il potere che hanno i giuristi attraverso l’interpretazione di
creare diritto viene loro dalla fiducia collettiva nei confronti del diritto, una
fiducia che va dal piccolo plebeo fino al console. Il meccanismo è questo: il
cittadino si rivolge al giurista ponendoli una questione giuridica inerente al
diritto privato, il giurista studia analizza, consulta le fonti ed arriva ad una
conclusione. La conclusione viene proposta al magistrato che si occupa dei
giudizi e allora, forte del consiglio del giurista, chiede al magistrato giustizia. Il
magistrato difronte al responso manifesta una sensibilità diffusa, più autorevole
è il giurista più si ha fiducia nel suo giudizio e il suo responso si tramuta in una
sentenza. Nel caso in cui la controparte chiede parere ad un altro giurista sorge
lo ius controversum, il dibbatito, lo scontro dei giudizi che permette la crescita
del diritto romano in quanto si discosta sempre più dalle vecchie sentenza. I
magistrati da loro conto avevano bisogno dei giuristi poiché non erano
professionisti e la loro carica durava solo un anno.
La giurisprudenza non scrive leggi poiché la legge poi è approvata dal popolo,
di conseguenza il giurista non scrive la legge ma interpreta la norma, i mores,
un plebiscito o gli atti stessi dei magistrati. Il giurista Celso scrive che
“conoscere le leggi non significa impossessarsi delle loro parole ma della loro
forza e del loro potere”. Cicerone ci descrive un giurista dei suoi tempi nel De
Oratore nel I libro “senza dubbio la casa del giurista è oracolo di tutta la città. A
testimonianza di questo, ricordo le porte e l’ingresso di Quinto Mucio Scebola
affollata di cittadini e di uomini importanti. Il giurista che apre le porte della sua
casa alle esigenze dei cittadini senza un insegna di potere formalmente”.
In età imperiale le cose cambiano, Augusto vuole portare a sè i giuristi, per
impadronirsi della res pubblica, così decide di attrarli al potere imperiale. Da
Augusto in poi ai giuristi viene attribuito il diritto di emanare responsi. L’esito di
questa operazione è che il giurista poteva creare diritto solo se avesse avuto il
potere attribuito dall’imperatore. Gaio nelle Istituzioni indica che i responsi dei
giuristi sono le sentenze e le opinione di quelli cui è stato permesso creare
diritto. Questo diritto di dare responsi non affossa fin da subito l’anima della
giurisprudenza. Gaio aggiunge “se le opinioni dei giuristi sono concordi allora le
opinioni diventano una e diventa legge e il giudice dovrà applicarla, se invece
dissentano il giudice può adottare l’opinione che pensa corretta”. Per cui
secondo la sua teoria il giudice può maturare la sua convinzione. Il
procedimento è spiegato bene da Pomponio nel testo primo libro “il diritto
civile senza essere scritto consiste nella sola interpretazione dei giuristi”. La
giurisprudenza anche a causa del permesso imperiale entra in crisi alla fine del
III sec. d.C. poiché l’imperatore cerca di controllare i giuristi, di uniformare il
diritto e in più l’imperatore attraverso le sue costituzioni vuole risolvere le
questioni giuridiche anche in materia penale. I giuristi escono così dalla vita
attiva del diritto romano.
LA PRESENTUA LAICIZZAZIONE DEL DIRITTO
Il termine laicità tra religione e sistemi giuridici è un termine ambiguo. Su
questo due studiosi indicano due teorie distinte. Gabrio Lombardi, umanista del
20 sec., scriveva, a seguito della pubblicazione dell’editto di Milano, che a
Roma la religiosità del diritto e il diritto giuridico sono contrapposti ma poi vi è
stata una progressiva laicizzazione dello ius soprattutto per quanto attiene ai
rapporti. La vita della comunità romana infatti continuerà a risentire del divino
ma la distinzione tra religione e diritto si va perdendo. In definitiva Lombardi
perseguiva un duplice obbietto, ossia puntualizzare i caratteri della religione
antica e rendere ancora più netta la differenza tra la Roma cristiana e la Roma
pagana. Il primo obbiettivo risente molto d