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CAPITOLO SECONDO. IL DIRITTO PRECLASSICO.
1. Le leges publicae.
La produzione normativa di epoca repubblicana era caratterizzata dai provvedime nti fatti adottare
dal popolo riunito nelle assemblee popolari (comitia centuriata e comitia tributa). Tali
provvedimenti prendevano il nome di leges publicae, in quanto leggi adottate dal popolo che
riguardavano il popolo. L’iter formativo che conduceva all’approvazione di tali leggi comprendeva
vari stadi: innanzitutto, l’iniziativa legislativa competeva solo ai magistrati maggiori titolari del
potere di convocare i comizi; poi, il progetto di legge preparato dal magistrato proponente veniva
affisso in pubblico affinché chiunque ne potesse venire a conoscenza; infine, la legge approvata ai
comizi veniva sottoposta al senato e, ricevutone il consenso, entrava in vigore col nome del
magistrato proponente. Le leges publicae constatavano di tre nuclei fondamentali: la praescriptio,
che era la parte iniziale del testo legislativo e conteneva una serie di indicazioni accessorie quali ad
esempio il nome e la carica del magistrato proponente; la rogatio, cioè il testo vero e proprio della
legge così come era stata approvata in sede comiziale; e la sanctio, che era costituita da una serie
di clausole attraverso le quali si assicurava l’efficacia della nuova legge e si regolavano i rapporti
tra questa e l’ordinamento preesistente. Tra le clausole contenute nella sanctio quella più
frequente era il cosiddetto caput tralaticium de impunitate, con cui si assicurava l’impunità a colui
il quale, per obbedire alla nuova legge, trasgrediva a quella precedente.
2. I plebiscita.
I plebisciti erano le deliberazioni adottate dalla plebe riunita nei concilia plebis. Inizialmente si
trattava di deliberazioni con efficacia limitata ai soli plebei. Solo successivamente, in seguito
all’approvazione della Lex Hortensia promulgata dal dittatore Quinto Ortensio, si affermò il
principio secondo cui le decisioni assunte nei concilia plebis dovessero vincolare tutto il popolo
romano.
3. I senatusconsulta.
Anche se già in epoca arcaica il senato esercitava una funzione consultiva nell’emanazione di
pareri, detti senatusconsulta, su determinati argomenti, problemi o decisioni da prendere, è in età
repubblicana che questa fonte di produzione del diritto trova piena applicazione. Il
senatusconsultum era un parere espresso dal senato su una questione proposta dal magistrato.
Tale consulto poteva ottenere efficacia solo se il magistrato accoglieva nel suo editto le statuizioni
in esso contenute, cosa che avveniva quasi sempre. Attraverso questi consulta, i patrizi riuscivano
ad indirizzare l’attività dei magistrati e ad assicurare alla politica romana una linea di coerenza e di
continuità che normalmente un singolo magistrato non era in grado di attuare. Ai senatusconsulta
fu sempre negata l’equiparazione alla lex e non fu mai riconosciuta l’idoneità a creare ius civile. Ciò
vuol dire che essi non ebbero mai in epoca repubblicana valore legislativo. Ciò accadrà solo in età
imperiale, quando i senatusconsulta diverranno manifestazione di un vero e proprio potere
normativo.
4. Gli editti magistratuali.
(Repubblica) Una delle principali fonti del diritto, in particolare di quello che fu chiamato ius
honorarium (sistema di norme che a partire dal 367 a.C. venne introdotto dai magistrati romani al
fine di colmare le lacune dell’ormai obsoleto ius civile, sempre più inadeguato a regolare la
crescente società di Roma in un periodo di grande espansione geografica, militare ed economica),
furono gli editti dei magistrati giusdicenti, più specificatamente del pretore urbano e peregrino, ai
quali spettava la giurisdizione nelle controversie tra cives, peregrini, e cives e peregrini. L’editto
magistratuale costituiva l’insieme dei criteri adottati dal magistrato nella sua attività e comunicati
ai cittadini all’inizio dell’anno di carica. (Principato) In epoca augustea e per tutto il primo secolo
del principato la carica pretoria si presenterà, rispetto all’epoca precedente, più svuotata dei suoi
caratteri politici e più rivestita di tecnicità.
CAPITOLO TERZO. IL DIRITTO CLASSICO.
1. Le leggi comiziali.
Il sistema delle fonti del diritto nel I secolo d.C. non differisce molto da quello dell’ultimo periodo
della repubblica. La politica legislativa dei primi imperatori non fu infatti diretta a creare nuove
forme di manifestazione di volontà, ma piuttosto fu diretta a sviluppare quelle forme repubblicane
attraverso le quali potesse meglio esprimersi la volontà del principe. Così Augusto ridiede vigore
all’attività legislativa dei comizi, riuscendo a far votare numeros e leggi ai comitia tributa
(comprendevano sia i patrizi che i plebei) e ai concilia plebis. Dopo Augusto vi fu però una
decadenza della legislazione comiziale e la sua sostituzione con forme diverse, in particolare con i
senatusconsulta.
2. I senatusconsulta.
I senatusconsulta, che in epoca repubblicana riguardavano per lo più questioni di diritto pubblico,
nell’età del principato riguardano prevalentemente questioni di diritto privato, ed erano infatti
diretti ai magistrati che esercitavano l’attività giurisdizionale fra privati. Al senato era stata
insomma attribuita una funzione di produzione di diritto privato, per l’esercizio della quale le
assemblee popolari non sempre davano sufficienti garanzie.
3. Gli atti del princeps: edicta e decreta.
Per tutto il primo secolo del principato non si può parlare di atti normativi del principe. Per tutta
l’epoca preadrianea, infatti, gli unici atti dell’imperatore che venivano equiparati alle altre fonti
normative erano quegli atti riconducibili al suo potere di tipo magistratuale: i decreta e soprattutto
gli edicta. Gli editti imperiali non erano altro che gli editti dei magistrati repubblicani, ma con
un’efficacia più ampia nel tempo e nello spazio: valevano infatti per tutto l’impero e avevano una
durata estesa a tutta la vita dell’imperatore.
4. La “svolta adrianea” e la politica di accentramento delle fonti del diritto.
L’accentramento della funzione legislativa nella mani del principe è il risultato di una serie di
riforme con cui si compie la più grossa opera di centralizzazione dell’attività creatrice del diritto
della storia di Roma. Punti cardini di quest’opera sono:
a) la codificazione dell’editto pretorio;
b) l’unificazione della giurisprudenza attuata attraverso l’eliminazione dello ius respondendi;
c) la riorganizzazione della cancelleria imperiale;
d) il nuovo impulso dato ai nuovi tipi di costituzione, i rescripta e le epistulae.
(a) L’editto del pretore e degli altri magistrati giusdicenti, nell’epoca repubblicana e per
tutto il primo secolo dell’impero, aveva permesso il rinnovamento del diritto privato
attraverso le innovazioni introdotte dai nuovi pretori rispetto all’editto dell’anno
precedente. Ma la possibilità per i pretori di introdurre modifiche al testo dell’editto fu
interrotta da un provvedimento legislativo: Adriano diede incarico al giurista Salvio
Giuliano di riordinare il testo dell’editto, rendendolo immutabile, con la conseguente
avocazione al principe del potere di introdurre nuove formule o di modificare quelle
esistenti. Così facendo si mise fine all’attività creatrice del diritto del pretore, senza però
intaccare la sua giurisdizione, che egli avrebbe continuato ad esercitare in armonia con le
regole fissate nell’editto ormai codificato, e quindi sotto il controllo dell’autorità i mperiale.
(c) Il disegno accentratore che caratterizzò il principato di Adriano venne completato
mediante il riordinamento di tutta l’amministrazione centrale. Con Adriano si ebbe infatti
la più importante riforma della burocrazia centrale, con la quale si fissavano l’ordinamento
e le competenze di quel complesso di uffici statali che prendeva il nome di cancelleria
imperiale. I titolari dei vari uffici erano funzionari di alto grado e facevano sicuramente
parte del consilium principis (organo composto da giuristi di fiducia dell’imperatore, i quali
costituivano gli interpreti ufficiali della legislazione imperiale).
(d) Il principe, posto al vertice dell’amministrazione, è nel secondo secolo anche al vertice
del potere legislativo. Ed è proprio in questo periodo che gli intervanti del principe sul
terreno legislativo si fanno più regolari e si istituzionalizzano, tanto da imporsi come la
fonte normativa preminente e quella che più contribuisce all’evoluzione del diritto.
All’inizio del principato gli atti del principe a cui era riconosciuto valore normativo erano
solo quelli che erano espressione del suo potere magistratuale (edicta e decreta). Ma con
l’avvento al trono di Adriano le forme di manifestazione della volontà imperiale si
moltiplicarono, e venne attribuito anche alle nuove forme valore normativo, come ad
esempio all’epistulae e ai rescripta: quest’ultime costituiscono la stragrande maggioranza
delle costituzioni casistiche di questo periodo.
(b) Con gli imperatori del III secolo (Giordiano, Aureliano e Diocleziano) si assiste ad una
nuova svolta accentratrice che determina la fine della giurisprudenza libera, cioè di quelle
voci che per essere le più simili alla gran parte degli interventi imperiali, ne costituivano
ancora un’alternativa. Questa svolta viene attuata inglobando i giuristi dentro la cancelleria
imperiale, e specialmente impedendo loro che parlassero a nome proprio.
CAPITOLO QUARTO. IL DIRITTO POSTCLASSICO.
Se fino all’età dei Severi il campo delle fonti di produzione del diritto era stato tenuto saldamente
dall’azione congiunta di giuristi e princeps, col passaggio dal principato al dominato non poche
conseguenza ebbero a determinarsi per ciò che riguarda l’attività giurisprudenziale. La crisi politica
ed economica, collegata allo stato di costante incertezza costituzionale che contraddistinse la
seconda metà del III secolo, determinarono una caduta verticale della cultura giuridica. Tale stato
di crisi causò l’interruzione di quel meccanismo di ricambio generazionale fra maestri e allievi che
stava alla base della giurisprudenza classica. Fu così che alla morte del giureconsulto Erennio
Modestino il ceto dei giuristi romani si esaurì. L’epoca postclassica si apre quindi con una
sostanziale abdicazione da parte dei giuristi, rispetto a quel ruolo fondamentale che essi avevano
assunto durante il principato attraverso una costante attività di interpretazione e di commento. E
tale abdicazione venne compiuta a favore del princeps, che