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LIBRO PROFESSORESSA
La storia della legislazione femminile si divide in 4 periodi:
periodo della tutela: dal regime corporativo alla metà degli anni '70;
• periodo della parità: fino alla metà degli anni '80;
• periodo delle pari opportunità: fino ai giorni nostri;
• periodo della differenza di genere: è sospeso, cioè culturalmente la differenza di genere si è
• in alcuni ambienti affermata, mentre nel mondo giuridico ancora no.
Periodo della tutela
Il periodo della tutela si basa sul presupposto che la donna è un soggetto debole, e in quanto tale
inferiore. Essendo un soggetto debole ha bisogno di essere protetto, da qui deriva la tutela: opera
solo nel lavoro industriale, mentre è assente nel lavoro domestico, familiare e a domicilio.
Inizia con il periodo corporativo, cioè tra il '26-'44. Un periodo che ha giudizi contrastanti: da un
lato la nascita di numerose leggi di tutela per le donne (es: assegni familiari, legge di tutela per le
donne e i fanciulli, e per le lavoratrici madri), dall'altro la convinzione che le donne dovessero stare
a casa. Le donne venivano infatti paragonate ai fanciulli, come mezze-forze.
Gli obiettivi del regime corporativo nei confronti delle donne erano l'esclusione dal mondo del
lavoro (per favorire la diminuzione della disoccupazione maschile) e l'esaltazione della funzione
materna e familiare. Quest'ultimo veniva rincorso tramite la tutela delle lavoratrici madri, che si
concretizzava nell'estensione del congedo di maternità, nel divieto di licenziamento e con
l'assicurazione obbligatoria.
La contraddittorietà del regime corporativo viene espressa dall'eccessiva tutela delle donne che
spinge i datori a non assumerle.
Questa situazione si protrae fino all'emanazione della Costituzione. Con l'art.37 viene previsto che
le donne nell'ambito del lavoro hanno gli stessi diritti dell'uomo, e devono essere messe in grado di
svolgere la funzione familiare. A parità di lavoro hanno quindi diritto a una parità retributiva. Con
questa norma si fa un passo avanti nella tutela e nella parità della donna.
Con la l.7/63 (nullità dei licenziamenti a causa di matrimonio) si elimina la clausola di nubilato, che
prevedeva il licenziamento della lavoratrice in caso di matrimonio. Questa nuova legge ha effetto
dalla data della pubblicazione fino a un anno dopo il matrimonio.
All'inizio degli anni '70, capendo la rilevanza della dimensione sociale della maternità, viene sancita
la prima legge che la disciplina. Questa diviene applicabile anche per il lavoro a domicilio, cosa non
prevista prima nel regime corporativo, in quanto tale lavoro era considerato lavoro in nero.
In sostanza la nuova tutela prevede il divieto di lavoro pre e post parto, il divieto di licenziamento e
l'indennità dell'80% della retribuzione in corso di astensione obbligatoria.
Dal punto di vista fisico, il legislatore si preoccupa di garantirle un periodo di serenità e tranquillità.
Tuttavia la legge prevede delle eccezioni al divieto di licenziamento:
colpa grave della lavoratrice;
• cessazione dell'attività dell'azienda;
• conclusione della prestazione;
• due periodi di astensione della donna dal lavoro.
•
Le astensioni possono essere di due tipi: obbligatoria, vincolano la donna a non lavorare;
facoltativa, lasciano alla donna la possibilità di scelta.
Viene derogata infine la possibilità del licenziamento della donna assunta durante il periodo di
astensione obbligatoria.
Nel periodo della gravidanza viene stabilito possibile adibire la donna a mansioni diverse e anche
inferiori, se di beneficio alla stessa. A riguardo c'è da ricordare che, nel '71, vengono istituiti gli asili
nido (strumenti per la cura dei bambini).
Periodo della parità
Il periodo della parità si apre con la l.903/77, la quale fa riferimento ai temi di uguaglianza formale
e discriminazione diretta. Il legislatore pone il lavoro femminile non più sul piano della tutela, ma
sul piano di parità. La parità intesa in questo caso è solo di tipo formale, e rimane quindi un
principio fittizio visto che non è accompagnato da un piano di parità sostanziale. In conclusione la
l.903/77, pur avendo compiuto un salto culturale importante, è stata una legge che con il senno del
poi ha inciso poco.
Le cause sono da riscontrare nei soggetti chiamati ad applicarla, cioè i sindacati e la magistratura. I
sindacati nella legge avevano un ruolo importante, quello di flessibilizzare i divieti, ma hanno
svolto questo compito in modo deludente. La magistratura ha avuto un ruolo incisivo riguardo
alcune tematiche come lo sciopero, ma riguardo l'applicazione della l.903/77, ha svolto un ruolo
deludente.
Altra causa è da ricercare nel contesto culturale e sociale, che non risultava ancora pronto ad
assimilare i concetti innovativi presentati.
L'art.1 vietava la discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro. Quindi
una differenza sostanziale rispetto al periodo corporativo. In quest'ultimo infatti nelle liste di
collocamento c'era una distinzione per sesso, mentre con la nuova legge viene creata una
graduatoria unica.
Altro motivo che ha creato problemi è stato la presenza di numerosi vuoti dal punto di vista
normativo. Per questi si ha avuto un adeguamento con il diritto di famiglia del '75: assegni familiari
corrisposti al lavoratore o in alternativa alla lavoratrice; astensione per 6 mesi dopo periodo
obbligatorio; in caso malattia al bambino.
Viene inoltre lasciato scoperto il campo sanzionatorio. L'art.13 riguardava il problema della
progressione di carriera e della parità retributiva. Questo prevedeva la nullità degli atti o patti che
discriminavano il lavoratore, pregiudicando la progressione di carriera proprio perché considerati
atti o patti discriminatori. Il rimedio prevedeva l'annullamento della promozione discriminatoria, ma
non comportava la promozione del soggetto discriminato. La donna poteva quindi ottenere la nullità
dell'atto volto a privilegiare l'uomo, senza però conseguire la meritata promozione.
L'art.15 riguardava il momento dell'accesso al lavoro. Vengono in questo modo sanzionate le
discriminazioni nel momento iniziale. Questo articolo riprende l'art.28 SDL, prevedendo la
cessazione del comportamento e la rimozione degli effetti. Si invalida quindi l'assunzione ritenuta
illegittima per motivi discriminatori e si deve assumere la donna discriminata. Il problema è
tutt'altro che risolto, perché il datore di lavoro assume l'uomo compiendo atti discriminatori e solo
se viene sanzionato assumerà la donna. Quindi la donna non viene ancora considerata al pari
dell'uomo.
La l.903/77 prevedeva inoltre l'onere della prova in capo al soggetto discriminato.
La legge va ad arginare il fenomeno discriminatorio su un piano individuale. Spesso, invece, questi
fenomeni hanno una valenza più ampia, di tipo collettivo. La discriminazione diretta è quella che la
legge in questione va ad arginare, e può essere intesa come la violazione delle norme giuridiche.
Con il tempo ci si è accorti che molti degli aspetti della l.903/77 non rispecchiavano fedelmente la
realtà sui posti di lavoro perché le discriminazioni spesso non consistono in una violazione diretta di
norme. Questa consapevolezza ha portato negli anni '80 a molti dibattiti che hanno poi modificato il
concetto di discriminazione: i temi principali riguardarono il concetto di uguaglianza e la
responsabilità del datore.
Riguardo quest'ultimo, inizialmente si riteneva che, se l'atto discriminatorio messo in atto era stato
coerente tra lo scopo perseguitato dal datore e l'esercizio del potere dittatoriale, allora questo dava
prova liberatoria al datore rispetto alla discriminazione. Poi si è passati alla fase nella quale l'atto
discriminatorio, qualora fosse mirato alla massimizzazione degli interessi dell'impresa, fosse
tollerato. Infine si è arrivati a considerare liberatoria la situazione in cui il sacrificio del lavoratore
discriminato fosse inevitabile.
Periodo delle pari opportunità
Negli anni '80 sono cambiati i contesti e si è sviluppata una maggior sensibilità sugli aspetti sociali
e collettivi della disuguaglianza. Questo ha portato ad una nuova strada: l'uguaglianza sostanziale e
il concetto di discriminazione non più inteso individualmente ma divenuto collettivo, non
consistendo più soltanto nella violazione di una norma.
Questo fenomeno culturale ha portato all'emanazione della l.125/91, la quale ha inaugurato i nuovi
fermenti culturali ed ha aperto il periodo delle pari opportunità.
Sono due i concetti chiave di questo periodo:
concetto diverso di discriminazione;
• strumentazione diversa per arginare le discriminazioni: uguaglianza sostanziale e azioni
• positive.
In questo periodo la discriminazione da diretta diventa indiretta, e alla sanzione si sostituisce lo
strumento proporzionale dell'azione positiva. Per discriminazione indiretta si intendono
comportamenti che non sono di per sé anti-giuridici e che non colpiscono il singolo ma il gruppo di
soggetti. Consiste nell'applicazione di criteri uniformi, apparentemente neutri su soggetti che invece
sono in una situazione di diseguaglianza e svantaggio sociale.
Questo tipo di discriminazione è il frutto di una cultura, non di una violazione di norme:
segregazione orizzontale professionale, gli uomini svolgono dei lavori e le donne altri; tetto di
cristallo, cioè segretazione verticale professionale.
Bisogna in questi casi intervenire con azioni positive, cioè interventi promozionali che vanno ad
incidere sui meccanismi spontanei del funzionamento del mercato del lavoro e che vanno a
cancellare le discriminazioni indirette. Le azioni in questione devono tener conto della
discriminazione della condizione femminile rispetto a quella maschile. Devono incentivare la
presenza delle donne nel mercato del lavoro, sia nel lato della domanda che in quello dell'offerta
(incentivando il lavoro autonomo per le donne). Si devono inoltre eliminare all'origine gli
atteggiamenti discriminatori.
Le azioni positive devono essere viste come una strategia che non mira a favorire un gruppo rispetto
ad un altro, ma cerca di integrare il gruppo con l'altro. Quindi non mirano a discriminare gli uomini,
ma cercano di equiparare i punti di partenza.
Le caratteristiche delle azioni positive sono:
la meritocrazia: tutti i soggetti tenuti sullo stesso piano e premiati in base al merito;
• la prospettiva: agiscono nell'immediato e nella prospettiva futura modificando la cultura;
• tempor