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LEON BATTISTA ALBERTI
Grammatica
Quando Petrarca e Boccaccio si lamentavano della sciatteria dei copisti non era allo stesso tipo di errori che penseremmo noi che si riferivano. Gli errori erano soprattutto la scrittura di una parola per un'altra, il salto di alcune lettere, l'uso di una grafia incomprensibile. Il volgare non aveva nessun libro di grammatica su cui poter controllare un dubbio o un dizionario su cui cercare un lemma.
Per Dante e i letterati del suo tempo, la parola poteva indicare diverse cose:
- retorica dialettica: la prima delle sette arti liberali, che insieme alla grammatica e la logica costituiva il trivio. La scienza e la serie di ragionamenti che fissavano il corretto uso di una lingua
- Comportamento altezzoso, snob, che guarda al prossimo dall'alto in basso. È dalla parola che deriva il termine glamour
- Il latino, l'unica lingua che possedesse i requisiti di regolamentazione. Il latino era considerata una lingua artificiale
creata dai dotti per potersi intendere oltre i confini dello spazio e del tempo. Tanto che, nella Commedia, Dante immagina che Virgilio parla la sua lingua madre, il mantovano. Non potevano immaginare che fosse in realtà la radice del volgare italiano e delle altre lingue romanze.
A Palazzo Riccardi, a Firenze, sono riunite due biblioteche: la Biblioteca Riccardiana e la Biblioteca Moreniana e, oltre ad una copia della Commedia trascritta da Boccaccio, è conservata la Grammatica di Leon Battista Alberti.
La pergamena è ingiallita dal tempo, ci sono due diverse scritture di periodi differenti, quella più antica è al centro della pagina e dice solamente "Laus Deo", sul verso invece ci sono delle lettere in verticale a gruppi di tre e brevi frasi. È la prima testimonianza di una grammatica della lingua italiana. In testa si legge "Ordine delle lettere pella lingua toschana".
Nel 1962 Carmela Colombo la scovò e subito intuì che era collegata ad un
analogospecchietto alfabetico che compariva all’inizio di un trattatello da secoli anonimoconservato nella Biblioteca Vaticana che tramandava una piccola grammatica. Si trattadi un codice appartenuto a Pietro Bembo e riunisce una serie di opuscoli, tra cui ancheDe vulgari eloquentia,una copia del indicato da Bembo stesso come “Dante, Dellavolgar lingua”, mentre del volume di cui ci interessiamo riporta soltanto “Della linguaThoscana, senza autore”, a testimonianza che già all’inizio del Cinquecento il trattatoera considerato anonimo. Ordine delle lettereOggi sappiamo che l’autore dell’ e del trattato vaticano sono lastessa persona: Leon Battista Alberti, che tra il 1438 e il 1441 progetta di scrivere lagrammatica del volgare.Prima di Leonardo da Vinci, nessuno più di lui ha incarnato la poliedricità dell’uomorinascimentale. A lui si devono il primo trattato architettonico del Rinascimento e glisplendidi edifici.
Di Firenze, Mantova e Rimini. Nella quarta domenica del mese di ottobre del 1441, dentro Santa Maria del Fiore, fumessa in palio una corona d'argento a chi meglio avrebbe saputo far versi sul tema dell'amicizia in volgare, imitando la metrica latina. L'iniziativa era stata proposta dallo stesso Alberti, che voleva dimostrare come il volgare, al pari del latino, potesse avere una sua vitalità letteraria di alto livello. I giudici, però, boicottarono l'impresa e non assegnarono la corona, escamotage già usato nel primo concorso per la cupola del Duomo. Anche in quel caso il premio andò al tesoro del Duomo.
Sappiamo, però, di una lettera anonima, il cui autore è sicuramente Alberti, che protesta aspramente contro questa decisione.
Nel marzo del 1435, tra i letterati sorse la questione sull'evoluzione del latino. Si avevano due posizioni opposte:
- Alcuni sostenevano che nell'antica Roma esistevano due lingue, una
usata perscrivere e una usata per la comunicazione quotidiana• Altri ipotizzavano una progressiva corruzione del latino, alteratosi a causa delleinvasioni germanicheOggi sappiamo che non c’è stato un solo tipo di latino nel passato e che le tendenzeevolutive della lingua hanno portato ad una trasformazione e differenziazione che hadato vita alle lingue romanze.
Le lettere della pergamena sono disposte secondo un criterio grafico, secondo le forme. Di rigo in rigo possiamo leggere:
- i r t
- n u m
- l s f
- c e o
- p q g
- b d v (il modo di fare la v di Alberti la rende molto simile a una b)
- a x z (lettere inscrivibili in un quadrato)
- ç c g (h h con alcune prove a margine) Io voglio c ’el g iro giri al çio èlh h
Scrive anche un esempio per spiegarne la pronuncia: zembo = “Io voglio che il ghiro giri allo zio la schiena”.
Poi, mette in fila le forme per la rappresentazione delle vocali:
- a
regolazione logica latente nel volgare provando a descrivere la sua architettura segreta.
Grammatica
La costudita nella Biblioteca Vaticana è un libretto di circa sedici carte di cui sappiamo che faceva parte della biblioteca personale di Lorenzo il Magnifico ed era tra i volumi finiti nella prima biblioteca pubblica del Rinascimento, la biblioteca di San Marco a Firenze. Dopo la morte di Lorenzo è nominato in modo generico come "regule lingue florentine".
Grammatica
Alberti fa iniziare la smentendo coloro che credevano che nell'anticagrammatica Roma il latino lo parlavano solo in pochi, spiegando che la la si può trovare anche nel volgare. La lingua che sta cercando di descrivere non è la lingua dei modelli o dei grandi autori, ma quella naturale parlata da tutti e appresa per via uso, dire, pronuntiare, materna, e a testimoniarlo è l'utilizzo del termine raramente usascrivere. Gli esempi che riporta sono frasi banali di uso comune e crea
frasiagrammaticali per far notare l'accordo sbagliato tra soggetto e verbo. Alberti ha cercato di mostrare la struttura latente nel volgare, l'inaccettabilità del costrutto era l'ombra da cui, per contrasto, affiorava la regola. La lingua che descrive è l'uso del fiorentino dei suoi tempi, trasformato in seguito alle mutazioni sociali che Firenze aveva subito a partire dalla metà del Trecento. Era un fiorentino diverso da quello di Boccaccio e Petrarca sul quale si fonderà l'italiano a partire dal Cinquecento. Essendo, il nostro italiano, modellato nel Cinquecento, sullo scritto fiorentino del Trecento, la lingua quattrocentesca descritta da Alberti è più lontana da noi di quella trecentesca. Inoltre, Alberti codifica la lingua comune, mentre la nostra si basa sulla scritta. Bembo è colui a cui si deve la fortuna di un modello grammaticale basato sulla lingua degli autori del Trecento. Investigare spesso usa il verbo per.sottolineare la ricerca di un metodo per acquisire/informazioni, portare alla luce ciò che si nasconde nell'ombra e, proprio come un disegno, uno schizzo, tracciare un abbozzo della sua struttura di regole interne. Laus deo, Nelle ultime righe della grammatica ricompare il "ma" a chiudere il testo è la parola, modo topico di congedarsi dal lettore chiedendo venia per le proprie imperfezioni, oppure a sottolineare come quello fosse un nuovo inizio per il volgare e un invito al lettore per iniziare a ricercare a ritroso ciò che non andava. LUDOVICO ARIOSTO Orlando furioso Il primo libro stampato in Italia che conosciamo è un frammento di sette pagine, oggi conservato negli Stati Uniti, contenente la passione di Cristo in lingua volgare. Gli studi hanno portato a ipotizzare che sia stato stampato nel 1463 a Bondeno, a ventichilometri da Ferrara. Orlando furioso Tra i capolavori della letteratura italiana, l'Orlando furioso è il primo a risentire in modoprofondo della stampa: nasceva una nuova idea di pubblico, di mercato, del ruolo dell'autore rispetto alla promozione e alla diffusione delle proprie opere, oltre ad un nuovo gusto letterario che, per la prima volta, poneva le basi per una lingua comune. Il manoscritto è custodito nella Biblioteca di Ferrara con molta cura, dato il precario stato in cui si trova. Le carte hanno i bordi fragilissimi, di solito la carta del Cinquecento è molto più resistente ma su questa si riesce a intravedere la filigrana in controluce. I fogli contengono quasi tutto ciò che rimane dell'immensa opera di scrittura dell'Orlando furioso: sono 54 carte delle 59 attualmente conservate e ora alla Biblioteca Nazionale di Napoli e due all'Ambrosiana di Milano. Contengono i materiali di lavoro dei nuovi episodi che Ariosto volle aggiungere alla sua terza edizione e che facevano crescere il volume di sei canti, dai 40 già pubblicati. Le carte contengono per loPiù digressioni sulle vicende dei paladini, ma nella prima parte è raccontata la storia di Olimpia, una delle prime presenti nella versione finale di Orlando dell' ma in realtà tra le ultime che Ariosto ha scritto.
Olimpia è la figlia del conte d'Olanda e vuole sposare Bireno, ma è richiesta in moglie dal re di Frisia, Cimosco, per il figlio. Il suo rifiuto scatena una guerra in Olanda.
Cimosco fa prigioniero Bireno e minaccia di ucciderlo se Olimpia non si consegnerà a lui. Olimpia indifesa sarà poi soccorsa da Orlando perché vittima di una nuova invenzione degli uomini: l'archibugio. Quest'arma sconvolge gli equilibri bellici e, nei versi in cui la donna descrive il suo nemico, Ariosto tormenta il foglio alla ricerca della parola giusta.