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LA RIFLESSIONE ANTICA SULLA FORMAZIONE DELL’ITALIANO
Il “De Vulgari Eloquentia” di Dante
La riflessione sulla storia dell’italiano per secoli si è legata alle teorie che miravano a definire la natura e la norma dell’italiano stesso nell’ambito della discussione generalmente nota come “discussione della lingua”.
Il più antico trattato in cui vennero affrontati temi storico linguistici di tale genere è il “De Vulgari Eloquentia” di Dante che risale all’inizio del 300.
In questo libro si trova un’interessante rassegna delle varietà di volgare parlate nella penisola italiana.
Dante vede le cose in maniera molto diversa da noi moderni per il fatto che il suo punto di partenza sta nel racconto della bibbia della confusione babelica dei linguaggi.
Per Dante ad esempio è cosa certa la parentela tra Francese, Provenzale ed italiano, parentela verificata a suo giudizio per la somiglianza di molte parole tra questi tre idiomi.
Per lui però, la lingua che sta alle
spalle di queste tre non è affatto il latino.
Si tenga comunque presente che il mito della torre di Babele su cui si sofferma Dante fu preso sul serio per secoli.
Evidentemente la teologia condizionava notevolmente anche gli studi linguistici.
Dobbiamo inoltre prendere atto che il “De Vulgari Eloquentia” non influì direttamente sulle conoscenze degli uomini del 300 e del 400 perché cadde in oblio e fu riscoperto solo all’inizio del 16° secolo.
LE TEORIE DEGLI UMANISTI
Si può affermare che una vera tradizione di studi sulla storia della nostra lingua ebbe inizio più tardi, con gli umanisti della prima metà del 400, i quali si interrogarono sulla situazione linguistica al tempo della Roma antica.
Gli umanisti cercavano di definire le cause che avevano portato alla fine della romanità, al crollo di una civiltà così splendida e volevano in sostanza rispondere alla domanda “come parlavano gli antichi romani?”.
Secondo Biondo Flavio al tempo di Roma si parlava una sola lingua,
Cioè il latino, e questa lingua si era corrotta per una causa esterna, la venuta dei popoli barbari: da questa corruzione era nato l’Italiano, frutto di una mistura tra il latino e la barbarie.
Nel corso dei suoi studi, Biondo definì in modo più preciso il modo in cui tale corruzione si era verificata e l’attribuì non tanto ai goti, quanto ai longobardi considerati più rozzi e quindi privi di rispetto per il latino, giunti nel 6° secolo.
La lingua italiana in questa ipotesi risultava nata con un marchio negativo.
Per Dante nel “De Vulgari Eloquentia” la mutevolezza delle lingue derivava dalla maledizione babelica, per Biondo e gli altri umanisti invece, da una contaminazione con la barbarie.
Per gli umanisti come Biondo Flavio, l’italiano era dunque solo il prodotto delle disgrazie della storia, in quanto frutto delle invasioni barbariche.
Un diverso punto di vista fu espresso già nel 400 da Leonardo Bruni umanista fiorentino, il quale era convinto che al tempo di