Riassunto di Microbiologia
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A questo punto il Lipide II viene trasportato sul versante periplasmatico, dove va ad interagire con
– cinque glicil-t-RNA. Durante questa reazione i cinque t-RNA vanno via, mentre rimangano le
cinque glicine attaccate al lipide II
– Questo particolare complesso perde il bactoprenolo-P-P e si collega al peptidoglicano già
preformato, attraverso l'azione enzimatica della “Transglicosilasi”, che catalizza la formazione dei
legami 1,4-β-glicosidici tra il NAM ed il NAG. Inizia pian piano quindi a sintetizzarsi la parete.
Infine abbiamo una distinzione.
– Se parliamo di gram positivi si forma il ponte pentapeptidico che unisce tramite un legame
crociato, le due catene peptidiche adiacenti.
Se parliamo di gram negativi si forma un legame crociato diretto che unisce l'amminoacido in
posizione 3 con un amminoacido in posizione 4 della catena peptidica adiacente.
In entrambi i casi ricordo che la formazione dei legami peptidici crociati è resa possibile dall'azione
enzimatica della “Transpeptidasi”. A sua volta l'azione catalitica di questo enzima è bersaglio dei
beta-lattamici, una classe di antibiotici che inibiscono infatti, la formazione della parete cellulare
LA MEMBRANA CELLULARE
La membrana cellulare generalmente è una struttura cellulare avente varie funzioni come:
delimitare la cellula separandola dall'ambiente esterno
– mediare gli scambi di materia solida, liquida e gassosa con l'ambiente circostante
– proteggere e preservare l'integrità della cellula
–
Domanda: “Abbiamo capito a cosa serve la membrana cellulare. Da cos'è costituita però?? quali sono le
principali componenti??”
La sua composizione è prevalentemente di natura lipidica,proteica e glucidica:
La parte lipidica è la più abbondante ed è costituita da varie componenti come i trigliceridi, i
– fosfolipidi, gli sfingolipidi ed il colesterolo.
1) I trigliceridi fanno parte della famiglia dei gliceridi di cui fanno parte anche monogliceridi e
digliceridi. I trigliceridi sono costituiti da 3 acidi grassi (a lunga o media catena) ed una molecola di
glicerolo. Gli acidi grassi che li compongano sono costituiti generalmente da un numero pari di
atomi di carbonio compreso da 1 a 22. Se il numero di atomi di carbonio varia da 1 a 12 si dicano a
catena media-corta, se il numero di atomi di carbonio è maggiore di 12 si dicano a catena media-
lunga. Gli acidi grassi inoltre possono essere saturi (se non presentano doppi legami) o insaturi (se
invece presentano uno o più doppi legami e si chiamano rispettivamente mono insaturi e poli
insaturi). Il glicerolo invece è molto semplicemente un alcool costituito da una catena di 3 atomi di
carbonio legati ai gruppi ossidrilici (OH). L'unione tra il glicerolo ed i 3 acidi grassi avviene fra il
gruppo ossidrilico di uno ed il gruppo carbonilico dell'altro tramite una reazione di
condensazione,formando cosi il trigliceride.
2) I fosfolipidi rappresentano la componente principale a livello quantitativo della membrana
cellulare e sono lunghi circa 1-2 nanometri. Essi sono costituiti da una testa idrofila polare (affine
con l'acqua) e una coda idrofoba apolare (che non è affine con l'acqua e tende a starci il più lontano
possibile). La composizione dei fosfolipidi è asimmetrica poiché la coda è notevolmente più grande
rispetto alla testa. La coda dei fosfolipidi è costituita prevalentemente da acidi grassi e da molecole
di sfingosina,mentre quando la testa è prevalentemente costituita dal gruppo fosfato o da altre
molecole come un alcool o un gruppo amminico.
La polarità della testa e la apolarità della coda fanno si che i fosfolipidi si dispongano in un doppio
strato,chiamato appunto doppio strato fosfolipidico. Infatti in questo modo le code stanno nella
parte interna della membrana lontano dall'acqua che invece andrà a contatto con le teste disposte
invece esternamente alla membrana.
3 ) Il colesterolo rappresenta un altra parte lipidica della membrana cellulare. Diciamo che il
colesterolo è fondamentalmente coinvolto nella fluidità della membrana e nel trasporto di molecole
di grandi dimensioni all'interno della membrana cellulare. Nel caso della fluidità di membrana, le
grandi dimensioni del colesterolo ne limitano il passaggio o il movimento delle altre strutture
cellulari o delle altre molecole. Per tanto il colesterolo risulta essere una molecola debilitante sotto
questo punto di vista. Per quanto riguarda il trasporto di molecola, le grandi dimensioni del
colesterolo gli permettano di fare da zattera lipidica, ossia da ponte di passaggio fra i due versanti
della membrana cellulare. Le molecole che passano sono generalmente molto grandi, come ad
esempio gli anticorpi, che altrimenti non avrebbero la possibilità di passare ne per osmosi ne per
altri tipi di trasporti passivi o attivi
La componente proteica è meno abbondante di quella lipidica ma comunque pur sempre
– fondamentale per la cellula, in quanto svolgono numerosissime funzioni come quella
enzimatica,trasportatrice,recettrice e di adesione.
Sostanzialmente tutte le proteine che si trovano a livello della membrana cellulare, prendono il
nome di proteine di membrana. Esse possono essere di due tipi: estrinseche o intrinseche.
1) Le proteine estrinseche sono coloro che si trovano sulla parte esterna della membrana. Attuano
soprattutto funzioni recettrici o di riconoscimento
2) Le proteine intrinseche sono coloro che si trovano nella parte interna della membrana cellulare,
ed infatti prendono il nome di “proteine integrali”. Hanno svariate funzioni fra le quali enzimatica,
adesione e soprattutto trasportatrice. Infatti la maggior parte delle proteine integrali sono dette
proteine “Carrier” e si muovono all'interno della membrana con lo scopo di trasportare le varie
molecole all'interno di essa. Generalmente queste proteine possono a loro volta suddividersi in tre
tipi: Monopasso, Multipasso e Monotopiche. Le monopasso sono coloro che passano una sola volta
all'interno della membrana. Le monotopiche sono coloro che stanno ferme all'interno della
membrana, generalmente adagiate su uno dei due lati. Le multipasso sono coloro che si muovono
continuamente all'interno della membrana e sono le più attive a livello dei trasporti attivi e passivi
La componente glucidica si trova nella parte più esterna della membrana. I glucidi più
– rappresentativi sono gli esosi e l'acido sialico. Questi glucidi sono generalmente legati a proteine
(formando le glico-proteine) oppure sono legati ai lipidi (formando i glico-lipidi).
Comunque sia, sia che si parli di glico-proteine che di glico-lipidi, in entrambi i casi la componente
glucidica è rivolta verso l'esterno della membrana e va a formare un folto rivestimento appiccicoso
che prende il nome di Glicocalice. Il Glico-calice attua molteplici funzioni fra cui: riconoscimento
cellulare, riconoscimento antigenico e associa le cellule a formare i tessuti
Domanda: “Abbiamo capito a cosa serve e com'è fatta una membrana cellulare. Ma questo modello a
doppio strato fosfolipidico, vale per tutti i microrganismi oppure abbiamo organismi che invece sono
costituiti in maniera diversa??”
Si, questo è il caso della membrana che riveste gli Archei. Questo tipo di membrana è molto molto
particolare, presenta infatti molte differenze rispetto alla classica membrana:
Intanto nella formazione dei trigliceridi, il glicerolo e l'acido grasso non si legano tramite il classico
– legame estere, ma bensì tramite un legame etere
gli acidi grassi che compongono la membrana degli Archei, sono detti “Fitanili”, ossia molecole
– ramificate che fungono anche da precursori per la sintesi di idrocarburi
possiamo trovare degli Archei che hanno una membrana formata addirittura da un unico strato di
– fosfolipidi. Per tanto questa membrana risulta essere meno fluida, ma molto più resistente alle
condizioni di alta temperatura e pressione
la maggior parte degli Archei comunque presenta una membrana cellulare classica a doppio strato
– fosfolipidico. Quest'ultima crea una barriera di permeabilità che necessita di meccanismi di
trasporto particolari per poter essere superata come: trasporti attivi, traslocazione di gruppo ed
infine tramite trasporto ABC che è sostanzialmente un altro tipo di trasporto attivo, ossia utilizza
ATP per poter far passare una molecola da una parte all'altra della membrana
Abbiamo anche il caso della membrana che riveste alcuni batteri fotosintetici. Anche questo tipo di
membrana infatti presenta delle particolarità:
la membrana in quasi tutti i batteri fotosintetici partecipa alla formazione di una serie di
– ripiegamenti interni sulla quale agiscano enzimi fotosintetici
la membrana è anche ricca di vescicole ricche di gas, che permettano di mantenere sulla superficie
– dell'acqua alcuni batteri fotosintetici. Grazie a ciò quest'ultimi possono stare a stretto contatto con
la luce solare ed attuare la fotosintesi
abbiamo generalmente una regione interna della membrana altamente compartimentalizzata.
– All'interno di ogni compartimento abbiamo enzimi specifici. Ogni compartimento è collegato
all'altro e quindi l'azione catalitica dei vari enzimi che vi sono all'interno, è estremamente collegata.
Infatti appena un enzima finisce di catalizzare una reazione, immediatamente l'enzima dopo
continua a fare il passaggio successivo e cosi via quant'altro..
LE ENDOSPORE
Alcuni batteri come i generi Bacillus e Clostridium, se sottoposti a condizioni ambientali avverse, possono
dar vita alle cosiddette “Endospore”, chiamate cosi perché si forma interamente dall'interno della cellula
madre. Questa struttura cellulare è composta da vari strati di rivestimento, fra cui:
Esosporio: rivestimento esterno molto sottile e delicato formato da sostanze pectiche (sostanze
– eteropolisaccaridiche)
Tunica (detta anche parete della spora): rivestimento molto ispessito fatto da diversi strati proteici
– messi l'uno sopra l'altro
Corteccia: rivestimento costituito da uno strato di peptidoglicano non molto compatto
– Core della spora: rivestimento interno costituito da complessi proteici come l'SASP che avvolgono
– il DNA batterico proteggendolo da eventuali danni esterni, o da complessi amminici come l'acido
Dipicolinico (DPA) che interagiscono con gli ioni calcio presenti nel materiale citoplasmatico,
rendendolo ancor più denso. In tal modo vengono limitati i movimenti dei ribosomi o del DNA
circolare batterico
Domanda: “Abbiamo capito che le Endospore sono forme di resistenza e che sono costituite strutturalmente
parlando in una certa maniera. Ma che caratteristiche hanno queste strutture??”
Sostanzialmente quando un batterio si trova in condizioni ambientali sfavorevoli, tende ad andare nella fase
dormiente (detta di latenza) e a formare la spora. La spora prende il nome di “Endospora” perché in tal
caso si forma all'interno del batterio (della cellula madre tanto per intendersi). Non appena però l'ambiente
circostante torna ad essere favorevole, la spora riforma il batterio di partenza, detto stavolta “Batterio
Vegetativo”.
Parlando delle caratteristiche della spora, uno dei metodi per intravedere le sue strutture è la microscopia a
contrasto di fase. In tal modo le spore si presentano come rifrangenti e sono inoltre strutture impermeabili
ai coloranti. Una spora generalmente è una struttura che contiene tutto il necessario per dar vita ad un
batterio vegetativo:
contiene una copia del DNA batterico
– contiene una serie di rivestimenti che la proteggono dall'esterno (Esosporio, Tunica, Corteccia e il
– core della spora)
presenta un citoplasma molto ridotto. In tal modo riduce la quantità d'acqua presente all'interno,
– poiché l'acqua degraderebbe i rivestimenti della spora stessa
Ciascuna spora ha inoltre delle caratteristiche di resistenza, utili al batterio in caso di ambiente sfavorevole:
La spora resiste alle alte temperature. Questo soprattutto perché all'interno della propria struttura
– vi è poca acqua, dovuto a sua volta alla presenza di un ridotto citoplasma
non ha bisogno di nessun nutriente
– possono vivere in presenza di sostanze tossiche
– possono vivere a contatto diretto con radiazioni pericolose, grazie alla presenza di numerosissimi
– enzimi che riparano il DNA (DNA-riparasi o SASP)
Domanda: “Abbiamo visto che la spora è una struttura di resistenza. Abbiamo visto com'è costituita. Ma
come si viene a formare questa struttura??”
Quando un batterio si trova in un ambiente avverso, tende spontaneamente (se ha la possibilità) a
– formare l'endospora. La prima cosa che succede è che vi è un elevata produzione di DPA (acido
dipicolinico). Le molecole di DPA vengono congiunte fra loro tramite lo ione calcio (Ca 2+). Pian
piano il DPA si legame con altre molecole di DPA a formare un polimero di DPA. Questa struttura
polimerica andrà a formare poi circa il 10% del peso totale della endospora.
Questo polimero di DPA, è molto importante, in quanto permette alla struttura di perdere acqua, la
quale degraderebbe la endospora che futura(come detto nel mio riassunto qualche riga fa..).
Quindi in questa prima parte abbiamo una struttura ricca di polimeri di DPA e calcio, che prende il
nome di “Pre-spora”. Tutto questo processo iniziale avviene all'interno del batterio, e mentre si sta
formando la pre-spora, il batterio contemporaneamente si degrada pian piano. Per assicurarsi che
il processo di degradazione del batterio ed il processo di formazione della pre-spora siano
simultanei fra loro, vi è uno scambio di informazioni continuo tra lo stesso batterio e la pre-spora!!
successivamente avviene la fase di “Sporulazione”. In questa fase avviene che il batterio va incontro
– a lisi (e quindi ovviamente muore). Rompendosi la membrana e la parete batterica, viene rilasciata
nell'ambiente extra cellulare la pre-spora. La pre-spora a questo punto può essere definita col nome
di “Endospora”. Le Endospore diciamo che possono a loro volta stare dormienti all'interno
dell'habitat nella quale si trovano, oppure nel caso di alcuni batteri (come il Bacillus sporigensis)
possono formarsi delle proteine pesanti all'interno della Endospora. Queste Endospore vengono
quindi a precipitare addensandosi fra loro, formando cosi i cosiddetti “Cristalli Parasporali”. Tali
cristalli sono molto tossici per gli altri organismi.. infatti le larve o i lepidotteri che mangiano questi
cristalli muoiono di emorragie interne dopo qualche giorno che le hanno ingerite!!
infine abbiamo il cosiddetto processo di “Germinazione”. Tale processo avviene quando l'ambiente
– circostante torna ad essere un ambiente vivibile e non avverso e consiste nella trasformazione della
Endospora nel batterio vegetativo. Il processo di Germinazione è suddiviso in tre stadi:
- Attivazione: che prevede un riscaldamento della Endospora, che però non muore
- Germinazione: la endospora riscaldata incontra un ambiente ricco di nutrienti. Per tanto perde il
DPA, i rivestimenti e le SASP
- Esocrescita: dopo la perdita del DPA, la struttura inizia a reidratarsi ed inizia a riprende le
normali funzioni metaboliche. Si è quindi formato il batterio vegetativo
Domanda: “Abbiamo visto come si forma, da cosa è composta e a cosa serve l'Endospora. Ma tutti i
microrganismi sono capaci di fare Endospore, oppure alcuni no??”
Ci sono dei microrganismi che non sono in grado di procreare spore. Ad esempio gli Archea non fanno
spore ed anche alcuni batteri non sono in grado di procreare spore.
Da ciò ne deriva una sorta di divisione.. tutti coloro che sono in grado di fare le spore, sono detti
“Sporigeni”. Tutti coloro che non sono in grado di fare le spore, sono detti “Asporigeni”.
Gli asporigeni non avendo la capacità di procreare spore, devano ricorrere ad altri metodi di sopravvivenza
contro le avversità ambientali. Ad esempio molti di essi entrano in uno stato di quiescenza, dovuto ad un
rallentamento fisiologico del loro metabolismo. La cosa particolare è che quando un batterio asporigeno si
sveglia dallo stato di quiescenza, se le condizioni ambientali sono favorevoli, sveglia tutti gli altri, in
maniera tale che si possino nutrire tutti.
TECNICHE DI LABORATORIO
Fra le tecniche di laboratorio maggiormente utilizzate, abbiamo sicuramente le tecniche di sterilizzazione.
La sterilizzazione è una tecnica pratica che prevede l'uccisione o la rimozione di quasi tutti gli organismi
viventi e i virus presenti in un campione o in un terreno di coltura (Ovviamente o distinto i virus, dagli
esseri viventi per il semplice fatto che i virus non sono considerati come tali, in quanto sono semplicemente
delle entità biologiche costruite in maniera tale da riprodursi all'interno di qualsiasi essere vivente, come
piante, animali o batteri)!!
La sterilizzazione è detta anche come “Tecnica assoluta”, ossia uccide quasi completamente tutti i
microrganismi viventi ed i virus che sono presenti. La sterilizzazione però, pur essendo una procedura
assoluta, come tutti i processi fisico-chimici non può uccidere totalmente tutti gli esseri viventi. Infatti si
definisce sterile, per definizione, un oggetto su cui vengono uccisi medialmente almeno 999999 batteri ogni
milione.
Quindi considerando per esempio che su un pallone da calcio sono presenti cento milioni di batteri.
Dopo la sterilizzazione, il numero di batteri è massimo di cento (100000000/999999 = circa 100).
Inoltre non possiamo parlare di sterilizzazione parziale, perché la sterilizzazione è sempre e solo assoluta, in
quanto non uccide la maggior parte degli esseri viventi ma praticamente quasi tutti!!
Se infatti vi è solo un abbassamento del numero di esseri viventi presenti in un determinato terreno di
coltura, non parliamo di sterilizzazione, ma di “Riduzione della carica microbica”.
Per verificare l'efficacia di una procedura di sterilizzazione, di solito viene calcolato il cosiddetto “Tempo di
riduzione decimale”, ossia il tempo necessario per uccidere il 90% di tutti i microrganismi presenti.
Un altro indice per constatare l'efficacia del processo di sterilizzazione è sicuramente quello di vedere se,
tale processo, uccide anche le spore. Se infatti uccide le spore (organi di resistenza), è quasi sicuro che i
batteri sono stati uccisi.
Domanda: “Abbiamo visto cos'è generalmente la sterilizzazione e a cosa serve. Ma come avviene nello
specifico la sterilizzazione?? Ci sono metodi diversi o solo uno per poter sterilizzare un determinato
campione??”
Vi sono molti metodi per poter sterilizzare un determinato campione. I maggiormente utilizzati sono:
Sterilizzazione mediante calore [1]
– Sterilizzazione mediante radiazione [2]
– Sterilizzazione mediante filtrazione [3]
– Sterilizzazione mediante agenti microbici [4]
–
[1] La sterilizzazione mediante calore è uno dei metodi più utilizzati nei laboratori e non solo, per
rendere sterili oggetti o varie sostanze. Per tutti i microrganismi infatti è presente una temperatura
massima, sopra la quale non riescano più a crescere e moltiplicarsi. Questo succede perché ogni
microrganismo è costituito da zuccheri, proteina, acidi nucleici e lipidi, ed tutte queste macromolecole dopo
una certa temperatura tendano a denaturarsi. Per tanto i microrganismi perdono la propria integrità
strutturale e muoiono inesorabilmente.
In questo processo la frazione di cellule che muoiono, ad una data temperatura ed un intervallo di tempo
circoscritto, è direttamente proporzionale alla densità cellulare presente in quel momento. Si parla di
“Densità cellulare” e non del numero di cellule, in quanto il numero di cellule non è un dato costante nel
tempo, mentre la densità cellulare invece si!!
Ovviamente la mortalità del processo aumenta con l'aumentare della temperatura e diminuisce con il
diminuire della stessa. Per questo è importante anche considerare il vettore di trasmissione del calore, ossia
la qualità del conduttore di calore che uno prende in considerazione. Se ho un buon conduttore di calore
(come il rame o l'argento), sicuramente condurrà l'energia che gli arriva in maniera ottimale e risulterà
una temperatura elevata, rispetto magari ad usare un cattivo conduttore (come il vetro o i semi metalli).
Un metodo utilizzato per determinare l'efficacia della sterilizzazione mediante calore, è quello di
determinare la sensibilità termica. Per “Sensibilità termica”, intendiamo la capacità di un determinato
microrganismo nel resistere a determinate temperature.
Per determinare la sensibilità termica prendiamo in considerazione il cosiddetto “Tempo di inattivazione
termica”, ossia il tempo che occorre per uccidere tutte le cellule di una colonia di microrganismi. In pratica
poi si prende il numero di colonie da uccidere standard e lo si confronta con i dati dei campioni.
La sterilizzazione mediante calore, può a sua volta essere praticata in vari modi:
Sterilizzazione a fiamma: la sterilizzazione a fiamma è una tecnica che prevede l'utilizzo del becco
– di bunsen, uno strumento di laboratorio dalla quale fuoriesce una fiamma. La fiamma
sostanzialmente produce calore ad alta temperatura. Questa tecnica non è utilizzata direttamente
su campioni, poiché la fiamma crea una corrente ascensionale di aria calda che potrebbe
trasportare i batteri nell'ambiente circostante. Questi batteri successivamente sarebbero in grado
di inquinare nuovamente il campione. Per tanto la sterilizzazione a fiamma è una tecnica
soprattutto utilizzata per rendere sterili gli strumenti come aghi, pinze o anse o per trattare i rifiuti
biodegradabili.
Sterilizzazione a secco: la sterilizzazione a secco è una tecnica che prevede l'utilizzo di una stufa,
– uno strumento di laboratorio in grado di eliminare l'acqua presente al suo interno. Tutto ciò
avviene mediante il calore prodotto dall'elevata temperatura interna, che si aggira tra i 160 e i 180
gradi centrigradi. Infatti il calore, servendo all'eliminazione dell'acqua, prende il nome di “Calore
Secco”. L'acqua eliminata è soprattutto quella presente all'interno delle cellule, ma si fa comunque
anche in parte riferimento a quella presente nel micro ambiente presente all'interno della stufa.
L'acqua viene utilizzata anche come mezzo di diffusione del calore stesso, in quanto è sicuramente
un conduttore di calore migliore dell'aria.
I tempi della sterilizzazione a secco sono molto lunghi, poiché quando le cellule perdano acqua
diventano più resistenti al calore, per tanto ci vuole più tempo per poterle uccidere. Ed è
fondamentale che i campioni siano contenuti all'interno di contenitori ermetici, poiché appena la
stufa viene aperta a seguito della sterilizzazione, i campioni altrimenti sarebbero contaminati
nuovamente
Sterilizzazione a umido: la sterilizzazione a umido è una tecnica che prevede l'utilizzo
– dell'autoclave, uno strumento costituito da una camera stagna, in cui l'aria all'interno viene
sostituita con del vapore acqueo, che è a sua volta un ottimo conduttore di calore. Il calore presente
all'interno aumenta la temperatura intorno ai 121 gradi centrigradi. L'aumento di temperatura a
sua volta causa un aumento della pressione interna che è un altro fattore che contribuisce alla
morte dei microrganismi presenti all'interno. L'intero processo dura circa mezz'ora (30-35 minuti).
Questa tecnica viene soprattutto utilizzata per sterilizzare le soluzioni o alcuni campioni che vanno
a stretto contatto con il vapor acqueo. Alcuni campioni però, alla temperatura di 120 gradi
centrigradi vengono rovinati, per tanto deve essere abbassata la temperatura. Per far ciò viene fatto
defluire il vapore acqueo attraverso l'apertura della valvola di sfiato. Questa tecnica alternativa è
meno efficace, poiché la temperatura più bassa non uccide le spore e prende il nome di
“Sterilizzazione a umido mediante vapore fluente”.
Pastorizzazione: la pastorizzazione è una tecnica di sterilizzazione mediante calore che prevede
– l'utilizzo di un pastorizzatore. Questa tecnica generalmente non uccide tutti i batteri ma è utilizzata
per ridurre semplicemente la carica microbica negli alimenti ad alta conservazione, come ad
esempio il latte. Infatti il latte non può essere sterilizzato a temperature troppo alte, poiché
verrebbero degradate le proprietà fisiche e organolettiche dell'alimento stesso. Infatti una delle
caratteristiche principali della pastorizzazione è la temperatura molto più bassa rispetto ad una
classica sterilizzazione.
Vi sono due tipi di pastorizzazione: la pastorizzazione istantanea e la pastorizzazione di massa.
Nel caso in cui si parli di pastorizzazione istantanea, parliamo di una tecnica che dura circa 15
secondi, nel corso del quale il latte (o un altro alimento) fluisce all'interno di un tubo riscaldato alla
temperatura di 71 gradi centrigradi. Una volta che è stato percorso il tubo, il latte fluisce all'interno
di uno scambiatore di calore, che immediatamente permette un brusco calo della temperatura ed il
latte viene per tanto istantaneamente raffreddato.
Nel caso in cui si parli di pastorizzazione di massa, parliamo di una tecnica che non da risultati
ottimali ed efficaci come quella istantanea. Questo è dovuto al fatto che la temperatura utilizzata è
minore, infatti si aggira attorno ai 63-66 gradi centrigradi per circa 30 minuti. Questa tecnica
infatti viene utilizzata ad esempio per la produzione degli yogurt aventi i fermenti lattici vivi
all'interno. Infatti i lactobacilli responsabili dell'acidificazione del latte o dello yogurt, o altri batteri
che aiutano il benessere del nostro intestino, in tal modo possono sopravvivere.
[2] La sterilizzazione mediante radiazioni è un altro metodo utilizzato nei laboratori e non solo, per
rendere sterili determinate sostanze. Tale metodo prevede l'utilizzo di radiazioni elettromagnetiche (come
microonde, raggi UV, raggi X e raggi gamma). Tali radiazioni elettromagnetiche provocano a contatto con
determinati organismi viventi, la rottura del DNA e la conseguente morte del microrganismo. Il problema è
che alcune di queste radiazioni uccidono solo i microrganismi presenti in superficie, per una sterilizzazione
più accurata dobbiamo utilizzare soprattutto radiazioni penetranti come i raggi gamma.
Tali processi sono molto utilizzati nei laboratori. Ad esempio la cappa flusso laminare è resa sterile grazie
alle lampade UV che irradiano l'interno della cappa. Ma vengono molto utilizzati anche in campo medico
per la sterilizzazione delle siringhe o strumenti chirurgici
[3] La sterilizzazione mediante filtrazione è un ulteriore metodo utilizzato per rimuovere i microrganismi
da una soluzione o da una sostanza generalmente liquida. Tale processo consiste nel far passare
semplicemente una soluzione all'interno di un filtro poroso. Questi pori hanno un diametro di circa 0,45
micron, un diametro più piccolo rispetto alle dimensioni dei microrganismi, che in questa maniera vengono
intrappolati e difatto separati dalla soluzione. In laboratorio ad esempio vengono utilizzate delle membrane
filtranti costituite da cellulosa o nitrato di cellulosa aventi pori molto piccoli. Queste membrane filtranti
però non sono in grado di filtrare e rimuovere i virus, che hanno dimensioni ancora più piccole.
Nel campo industriale la sterilizzazione per filtrazione trova impiego per rimuovere i batteri o altri
microrganismi come i lieviti da alimenti come vino o birra.
[4] La sterilizzazione mediante agenti antimicrobici è un altro metodo molto utilizzato per rende sterile
una determinata sostanza. Questo metodo si avvale dei cosiddetti “Agenti antimicrobici”, ossia composti
chimici in grado di uccidere o inibire la crescita dei microrganismi. I principali antimicrobici conosciuti
possono essere diversificati sulla base del fatto che possono uccidere o solo inibire la crescita di determinati
microrganismi viventi.
Quando parliamo di agenti antimicrobici in grado di uccidere determinati microrganismi viventi, facciamo
riferimento a sostanze chimiche che si legano in maniera irreversibile al microrganismo, degradandoli le
strutture di protezione e le parti interne. Non sempre però vengono lisate le strutture del microrganismo,
alcune sostanze chimiche sono in grado di alterare alcune funzioni vitali e di portare direttamente alla
morte i microrganismi. Alcuni esempi sono:
Batteriolitici (uccidono i batteri tramite la lisi delle loro strutture di protezione, come parete e
– membrana cellulare)
Battericidi (uccidono i batteri senza provocarne la lisi cellulare)
– Fungicidi
– Virocidi
–
Quando parliamo di agenti antimicrobici in grado di inibire la crescita di determinati microrganismi
viventi, facciamo riferimento a sostanze chimiche in grado di inibire alcuni processi metabolici (come la
sintesi proteica) dei microrganismi. In tal modo i microrganismi non possono più biosintetizzare proteine o
altre sostanze fondamentali per poter crescere e per potersi riprodurre. Alcuni esempi sono:
Batteriostatici
– Fungistatici
– Virostatici
–
La maggior parte di questi agenti antimicrobici si definiscano come “ad ampio spettro”, ma alcuni di loro
sono invece si definiscano come “selettivi”. Tale termine indica che un agente antimicrobico è specifico per
determinati batteri, funghi o virus. Alcuni esempi sono gli antibiotici, gli antivarali ed i chemioterapici.
Una distinzione ulteriore è quella che consiste nel fatto che alcuni agenti antimicrobici possono essere
applicati nei tessuti viventi, mentre altri possono essere applicati sono nei sistemi inanimati.
Gli agenti antimicrobici applicabili nei tessuti viventi sono definiti come “Antisettici”, mentre gli agenti
antimicrobici applicabili solo nei sistemi inanimati sono detti “Disinfettanti”.
Gli antisettici sono dei composti chimici che provocano la morte o l'inibizione della crescita dei
– microrganismi. Questi composti sono poco sufficientemente poco tossici da poter essere applicati
nei sistemi viventi. Infatti possono essere utilizzati per lavare le mani o le ferite. Alcuni antisettici
sono l'alcool, l'acqua ossigenata, il cloro (ossida le strutture dei batteri) e lo iodio (si lega ad alcune
proteine batteriche inattivandole)
I disinfettanti sono composti chimici che provocano la morte dei microrganismi. Questi composti
– sono molto tossici e per tanto vengono utilizzati solo sugli oggetti inanimati o su tessuti vivi che
devono essere disinfettati accuratamente. Alcuni esempi sono il nitrato d'argento (utilizzato per
disinfettare gli occhi dei neonati, poiché potrebbero venire a contatto con i microrganismi della
madre), il beta-propriolattone (una sostanza molto utilizzata nei terreni di coltura liquidi.
Questo perché inizialmente quando viene aggiunta tende a legarsi con i microrganismi e ad
ucciderli. Una volta che però è passato un arco di tempo discreto, il beta-propriolattone tende a
diventare acido acrilico. L'acido acrilico è una sostanza inattiva e neutra e permette quindi di poter
riutilizzare tranquillamente il terreno liquido sterile), l'ossido di etilene (sostanza gassosa
generalmente mescolata con l'anidride carbonica per evitare che oltre che tossico risulti anche
esplosivo a contatto con l'aria. Tale sostanza è utilizzate per sterilizzare soprattutto campioni
inanimati come libri, quadri o altre cose attaccate da muffe o altri microrganismi), sali di mercurio
(sostanza che trova largo impiego soprattutto in campo industriale nelle cartiere, legnifici ecc ecc..)
I TERRENI DI COLTURA
Il terreno di coltura non è altro che una soluzione contenenti le sostanze nutritive necessarie a far crescere e
riprodurre determinati tipi di microrganismi. I terreni di coltura possono essere:
Solidi: generalmente sono terreni che presentano al proprio interno un agente gelificante come la
– gelatina, la silica-gel o l'Agar. In genere nei laboratori viene maggiormente utilizzato l'Agar, come
agenti gelificante. Questa sostanza è un polisaccaride estratto e ricavato da alcune alghe che
permette di gelificare una determinata sostanza, in maniera del tutto naturale. Nello specifico
l'agar si scioglie in soluzione alla temperatura di 85 grandi centigradi. Una volta sciolto via via che
la soluzione di raffredda inizia a gelificare, fino a che raggiunti i 45 gradi centigradi la soluzione è
gelificata completamente. Sui terreni solidi generalmente crescono colonie ben visibili e alle volte
anche colorate, per la presenza di alcuni pigmenti presenti nei microrganismi che la compongono
Liquidi: generalmente sono terreni caratterizzati da componenti sciolte in acqua e sterilizzati, che
– formano una soluzione liquida sterile. Sui terreni liquidi generalmente i batteri non sono ben
visibili, poiché sono mescolati all'interno del liquido. Un indice della presenza di molti
microrganismi è la torbidità del liquido, più è torbido e più generalmente il terreno liquido è ricco
di microrganismi, viceversa sarà povero di microrganismi.
Inoltre i terreni di coltura possono essere classificati in base alle loro caratteristiche in:
Terreni minimi: si dicano anche “Terreni chimicamente definiti” perché sappiamo l'esatta
– concentrazione dei nutrienti e delle sostanze presenti al suo interno. Si dicano inoltre minimi, per il
semplice fatto che al suo interno generalmente presentano solo le sostanze minime alla crescita e
alla riproduzione dei microrganismi. Sostanze come glucosio, sali minerali e acqua.
Terreni sintetici: si dicano anche “Terreni definiti” perché sappiamo l'esatta formulazione chimica
– di ogni ingrediente. Inoltre le singole sostanze sono presenti in quantità note.
Terreni complessi: si dicano anche “Terreni non chimicamente definiti” perché non sappiamo
– l'esatta concentrazione dei nutrienti e delle sostanze presenti al suo interno. Tale terreno prende il
nome di complesso, perché presenta inoltre una grandissima quantità di nutrienti al suo interno,
talvolta anche in eccesso rispetto a quella richiesta per la crescita e la riproduzione dei
microrganismi presenti
Inoltre i terreni di coltura possono essere classificati sulla base della loro funzione, in:
Terreni elettivi: in questi terreni alcune specie di microrganismi crescono e si riproducono in un
– tempo più breve rispetto ad altre specie. Questo è dovuto al fatto che vi sono determinati nutrienti
rispetto ad altri. I microrganismi che crescono e si riproducono più brevemente vengono
sostanzialmente “eletti” per fare un terreno adatto soprattutto alle loro esigenze
Terreni selettivi: in questi terreni vi è la presenza di sostanze batteriostatiche, che inibiscono la
– crescita e la riproduzione di determinate specie di microrganismi. Praticamente queste sostanze
batteriostatiche attuano una sorta di selezione. Oltre alle sostanze batteriostatiche possiamo
direttamente inserire una determinata componente nutritiva al posto di un altra. Ad esempio se
inserisco solo l'azoto, ovviamente in quel terreno potremo solo trovare la presenza degli
azotofissatori!!
Terreni differenziali: in questi terreni vi è la presenza di alcune sostanze indicatrici, che ci
– permettano di capire quali reazioni biochimiche avvengano all'interno del terreno stesso. In pratica
queste sostanze ci rendano in grado di differenziare un microrganismo da un altro in base alle loro
caratteristiche metaboliche. Inoltre possiamo capire anche ad esempio se un microrganismo è in
grado di secernere particolari sostanze attraverso il proprio metabolismo. Sostanze come ad
esempio le esoproteasi. Infatti noi inseriamo nel terreno sostanze proteiche come l'albumina.
Questo microrganismo a contatto con l'albumina secerne le proteasi per demolirla e digerirla.
Questa reazione metabolica viene riconosciuta perché quando si formano le esoproteasi, il margine
delle colonie di questi microrganismi è contornato da un alone
Terreni puri: in questi terreni di coltura abbiamo la presenza di un solo tipo di microrganismo.
– Generalmente si tratta di un terreno solido, sulla quale grazie ad una serie di strisci angolari fatti
con delle anse sterili, riusciamo ogni ad ogni striscio a diminuire il numero di microrganismi, fino
ad ottenere solo un tipo di microrganismo! Questo processo prende il nome di “Isolamento su
piastra”.
Possiamo addirittura distinguere dalla forma delle colonie i microrganismi che la compongono. Infatti in
determinate condizioni ambientali i microrganismi formano colonie sempre identiche e con caratteristiche
morfologiche ben definite. Queste caratteristiche sono:
Aspetto (trasparente, opaco, lucido, rugoso e mucoso)
– Forma (puntiforme, circolare, rizoide, irregolare e filamentosa)
– Bordo (intero, eroso, ondulato, lobato, ciliato e ramoso)
– Sezione (diffusa, convessa, sollevata, pulvinata, rugosa, concava e umbonata)
–
Domanda: “Sappiamo che i terreni di coltura possono essere liquidi o solidi. E possono inoltre essere più o
meno definibili in termini di quantità e di qualità di sostanze. Ma questi terreni sono universali?? vanno
bene per tutti i microrganismi indistintamente??”
Diciamo che ogni batterio ha esigenze alimentari differenti. Ad esempio il Leuconostoc è un batterio
particolarmente esigente, mentre altri batteri necessitano di molti meno nutrienti.
Alcuni microrganismi che normalmente vivono nel sangue, per poterli far crescere e riprodurre in maniera
ottimale, si aggiungono addirittura gocce di sangue all'interno del terreno di coltura.
COLORAZIONE DI GRAM
La maggior parte dei batteri sono costituiti da acqua e strutture cellulari varie, ma non presentano sostanze
pigmentate, tranne alcune eccezioni. Per questo motivo, per poterli osservare al microscopio ottico, devano
in qualche maniera essere colorati e messi in evidenza. Questo processo prende il nome di “Colorazione”.
La colorazione si avvale generalmente dell'azione di uno o più coloranti, ossia sostanze in grado di colorare
le varie porzioni dei microrganismi. Una delle colorazioni maggiormente utilizzate nei laboratori è la
cosiddetta “Colorazione di Gram”, la quale serve prevalentemente per capire se in un batterio vi è una
parete cellulare ricca di peptidoglicano o povera di peptidoglicano. Se il batterio ha una parete ricca di
peptidoglicano risulterà essere positivo alla colorazione di gram, e prenderà il nome di “Gram positivo”,
mentre se il batterio presenta una parete povera di peptidoglicano risulterà essere negativo alla colorazione
di gram, e prenderà il nome di “Gram negativo”.
La colorazione di gram prende il nome anche di “Test di Gram” ed è articolata da più fasi:
viene preparato antecedentemente un vetrino con sopra un determinato campione microbiologico
– da osservare, come ad esempio alcuni batteri
i batteri vengono fissati al vetrino tramite il passaggio sulla fiamma per tre o quattro volte
– una volta fissati, inizia la prima parte del test, che consiste nell'utilizzo del cristal-violetto. Questo
– colorante viene messo sulle cellule batteriche, che ne vengono impregnate e diventa viola
successivamente si aggiunge del Lugol, un altro colorante iodato. Lo iodio ha la funzione di fissare il
– cristal-violetto all'interno delle cellule batteriche
dopo di che viene tolto il colorante in eccesso tramite un lavaggio con alcool.
– I batteri che rimangano viola sono Gram positivi, perché l'alcool non riesce a penetrare lo strato
molto spesso di peptidoglicano. Non penetrandolo non può nemmeno entrare all'interno della
cellula e eliminare il colorante.
I batteri che invece diventano incolore sono Gram negativi, perché l'alcool riesce a penetrare lo
strato poco spesso di peptidoglicano. Penetrandolo riesce ad entrare all'interno della cellula ed
eliminare il colorante
nel caso in cui i batteri siano gram negativi si utilizza un ultimo colorante che è la Safranina, la
– quale permette di colorare questi batteri di rosso.
Alla fine avrò i gram positivi colorati di viola. Ed i gram negativi colorati di rosso!!
–
CRESCITA DEI BATTERI
Per capire quanto i batteri stanno crescendo numericamente all'interno di un terreno di coltura possiamo
utilizzare vari metodi, fra cui:
Contare direttamente il numero di U.F.C (unità formanti colonia) presenti all'interno della piastra
– e rendersi conto dell'aumento o meno del numero di batteri
Misurare la massa cellulare e annotare la variazione nel tempo
–
Per capire più precisamente alcuni parametri in termini di concentrazione o di quantità di microrganismi
presenti, utilizziamo vari modi:
Titolo di una coltura: esprime la concentrazione delle cellule presenti all'interno di un
– determinato terreno di coltura. Precisamente è il numero di cellule in un volume (ml)
[ numero di Cellule / Volume (ml) ]
Titolo totale: esprime il numero di cellule vive e morte presenti in un terreno di coltura, ecco che
– difatti indica il numero totale di cellule presenti!!
Questa conta avviene generalmente su un particolare vetrino conta cellule chiamato “Vetrino di
Burker”. Questo vetrino è caratterizzato da una porzione centrale rialzata, ed ai lati del centro
abbiamo delle sponde rialzate sulla quale viene poggiato il vetrino copri oggetto.
In questo modo si viene a formare una sorta di camera chiusa che solitamente presenta un altezza
di 0,01 mm. Praticamente la sospensione batterica entra nella camera per capillarità, ed una volta
entrata, sul vetrino sono presenti delle righe grazie alla quale possiamo contare le cellule presenti
nella sospensione. Una particolarità è che l'altezza della camera è nota (0,01 mm), per tanto si
possono considerare volumi precisi!
Titolo vitale: esprime il numero di cellule vive presenti all'interno di un determinato volume (in
– ml) di terreno di coltura. Tale dato, non prende in considerazione le cellule morte, ma solo e
soltanto quelle vive, ecco perché si chiama “Titolo vitale”!!
Per annotare questo dato, dobbiamo sfruttare la capacità delle cellule vive di riprodursi. Questo
significa sostanzialmente che i batteri via via che si riproducono aumentano il loro numero e vanno
a formare un gruppo di batteri che prende il nome di colonia. Generalmente all'inizio, all'interno di
un terreno di coltura se ne formano tantissime di colonie e tutte vicine l'una all'altra, per tanto non
possono essere contate. Per questo motivo, viene fatta una diluizione o più diluizioni, in maniera
tale da ottenere nel solito volume una concentrazione di colonie diluita e quindi minore. A questo
punto, quando abbiamo ricavato dalle 30 alle 2-300 colonie, possiamo iniziare a contarle. Ogni
colonia deriva da una singola cellula batterica viva che si riproduce e la forma. Per tanto il numero
di colonie viene equiparato al numero di cellule vive. Il numero di colonie presenti in un
determinato volume (in ml), indica il titolo vitale ed usa come unità di misura l'UFC (unità
formante colonia). Per ricavare il titolo vitale occorre sapere una formula matematica:
[ numero di cellule vive / valore della diluizione ].
Esempio: 0,1 ml di una diluizione di 10^-5 vengono piastrati. Si ottengono 80 colonie (cellule
vive). Quanto vale il titolo vitale??
Titolo vitale = [numero di cellule vive / valore della diluizione] = [ 80 / (0,1 * 10^-5) ] = 8*10^7 UFC
Misurare il peso secco: il peso secco esprime il peso delle cellule prive di acqua. Per capire il valore
– del peso secco si preleva un aliquota di terreno di coltura ricco di cellule batteriche. Questa aliquota
viene successivamente ultracentrifugata separando cosi il terreno liquido dalla parte cellulare.
Successivamente prendiamo le cellule batteriche, ma siccome dobbiamo ottenere un peso secco,
dobbiamo togliere l'acqua all'interno di queste cellule. Prendiamo le cellule e le introduciamo in
stufa dove vengono quindi private dell'acqua. Una volta disidratate, le cellule vengono pesate e
ricaviamo quindi il nostro peso secco!! Se l'esperimento viene ripetuto più volte nel tempo possiamo
capire quant'è la crescita dei batteri, in termini di peso secco che varia nel tempo.
L'unico problema accostato a questa tecnica è che per poter fare una misura accurata abbiamo
bisogno di una grande quantità di cellule e di tempo
Spettrofotometria: la spettrofotometria è una tecnica utilizzata molto in campo chimico e
– biologico. Questa tecnica è resa possibile grazie ad un particolare e complesso strumento che
prende il nome di “Spettrofotometro”. Questo strumento è caratterizzato inizialmente da una
sorgente luminosa (una lampada) ed un prisma che convoglia la luce e produce un fascio
monocromatico di fotoni. Questo fascio di fotoni (luce) va successivamente a contatto con il
campione (si parla di luce incidente). Parte di questa luce viene assorbita dal campione, mentre
parte viene riflessa dallo stesso (si parla di luce trasmessa). Per misurare la luce trasmessa lo
spettrofotometro utilizza dei valori ben precisi di “Trasmittanza” con la quale ricava
successivamente valori di “Assorbanza”.
I valori di assorbanza e di trasmittanza sono relazionati tramite la legge di Lambert-Beer.
- La trasmittanza è il valore di una frazione di luce incidente che attraversa un campione ad una
determinata lunghezza d'onda [T = I / I ]
0
- L'assorbanza è il meno logaritmo della trasmittanza, ed è utile per riporta i valori ottenuti in
maniera lineare [ A = -log (T) ]
Domanda: “Abbiamo capito come quantificare il numero di microrganismi presente all'interno di un
determinato campione. Ma questi batteri come crescono e come si riproducono all'interno di un terreno di
coltura??”
Ogni batterio si riproduce per scissione binaria (riproduzione asessuata), un processo che garantisce la
preservazione dell'identità biologica ma non la variabilità genetica, in quanto si vengono a formare delle
cellule identiche alla cellula di partenza. Il processo dura circa 30 minuti, anche se può variare a seconda
dell'ambiente circostante. In questo processo il batterio cresce, duplica il DNA ed al momento in cui ha
raggiunto una dimensione adeguata inizia a formarsi un setto di divisione. Nella parte centrale del setto di
divisione, si viene a formare una struttura chiamata “Divisoma” che serve a formare un setto di divisione
ben posizionato. Lungo questo setto di divisione si formano degli anelli adiacenti alla membrana cellulare e
alla parete. Questi anelli accrescano e dividano la membrana e la parete equamente, formando degli
involucri che andranno successivamente a rivestire le due cellule figlie.
Il tempo necessario affinché il numero di microrganismi presenti in una popolazione, raddoppi, è detto
“Tempo di Generazione”.
Una differenza sostanziale nasce fra il “Numero di Generazioni” ed il “Numero di Divisioni”. Se ad esempio
500 batteri diventano 1000 in mezz'ora, ci sono state 500 divisioni, ma il numero di nuove generazioni è 1.
La crescita di una popolazione batterica ha un andamento esponenziale e quindi viene rappresentata
n
N = N *2
graficamente come una retta con equazione [ ] con:
0
N (numero di cellule finale)
–
– N (numero di cellule iniziale)
0
n (numero di generazioni)
– G = t / n
Possiamo ricavare la crescita di una popolazione batterica anche tramite l'equazione [ ] con:
G (tempo di generazione in minuti)
– t (tempo trascorso)
– n (numero di generazioni)
– V = n / t
Possiamo ricavare la crescita di una popolazione batterica anche tramite l'equazione [ ] con:
V (velocità di crescita)
– n (numero di generazioni)
– t (tempo trascorso)
–
Possiamo ricavare la crescita di una popolazione batterica anche tramite l'equazione
n = 3,3*log(N / N )
[ ] con:
0
n (numero di generazioni)
– N (numero di cellule finale)
–
– N (numero di cellule iniziale)
0
Attraverso queste quattro formule (valide entrambe), possiamo ricavare la crescita di una popolazione
batterica nel tempo. Facciamo due esempi: 2 8
Es 1 ] una coltura batterica in 10 ore, passa da 10 a 10 . trovare il tempo di generazione ed il tempo
trascorso??
Tempo trascorso = t
Tempo di generazione = G
Numero di generazioni = n 8 2
n = 3,3*log(N / N ) → n = 3,3*log(10 /10 ) → n = 19,8
– 0
– G = t / n → G = 10 ore / 19,8 → G = 0,51 ore → 0,51 ore moltiplicato per 60 da il tempo in
generazione in minuti. Quindi 0,51 ore *60 = 30,6minuti!!
-13
Es 2 ] sapendo che una cellula pesa 3*10 g e che ha un tempo di generazione di 30 minuti. Quando peserà
la colonia che formerà dopo 36h?
N = numero finale di cellule
N numero di cellule iniziale
0 =
n = numero di generazioni
n = t / G → n= (36*60) / 30 → n = 72
– n 72 21
N = N *2 → N = 1*2 → N = 4,7*10
– 0
– -13 21
Se ogni cellula pesa 3*10 g, avendo un numero di cellule finale pari a 4,7*10 , la massa finale della
-13 21) 9
colonia dopo 36 ore è di: [( 3*10 g) * (4,7*10 )] = 1,4*10 g
Da tutti questi calcoli e teorie capiamo che la crescita batterica in realtà non può procedere sempre
esponenzialmente nel tempo senza limiti!! In realtà ad un certo punto la crescita batterica rallenta fino a
raggiungere una certa soglia limite che dipende dalle condizioni ambientali, dal nutrimento presente e dalla
velocità con la quale i batteri si riproducono!!
Abbiamo dunque visto che durante lo sviluppo e la crescita batterica, vengono distinte quattro fasi:
Fase di Latenza: nella fase di latenza abbiamo un numero costante di cellule batteriche. Questo
– succede perché questi batteri si trovano all'interno di un terreno di coltura nuovo e devano quindi
adattarsi. Per adattarsi significa che devano attivare il metabolismo nel modo corretto ed iniziare
quindi a crescere. Il tempo che il batterio ci mette per iniziare a moltiplicarsi è soprattutto dovuto
all'età cellulare, al tipo di terreno di coltura (minimo o massimo) e al tempo in cui i batteri di
mettano ad attivare il proprio metabolismo!
Fase Esponenziale: una volta che i batteri iniziano a riprodursi, si ha una crescita esponenziale del
– numero di batteri. Il tempo di generazione dipende dal tipo di batterio che prendo in
considerazione, poiché ogni batterio si riproduce con una velocità diversa!!
Fase Stazionaria: via via che la popolazione batterica continua a crescere, si richiedono sempre
– più sostanze nutritive. Per questo motivo pian piano il terreno di coltura si impoverisce ed i batteri
non possono più mantenere una crescita esponenziale. Si verifica dunque un arresto della crescita
batterica fino a che non raggiungiamo un certo equilibrio. L'equilibrio nasce dal fatto che alcuni
batteri per lo scarso nutrimento muoiono, quelli che rimangano vivi hanno a questo punto, più
nutrimento per se. In poche parole otteniamo che il numero di batteri che muoiono è uguale al
numero di batteri che si formano, il numero di batteri totale è quindi stazionario, perché non
cambia nel tempo.
Fase di Morte e di declino: dopo l'equilibrio raggiunto nella fase stazionaria, il nutrimento va pian
– piano a terminare e quindi anche quei pochi batteri rimasti vivi, muoiono. In poche parole
otteniamo che il numero di batteri che muoiono è maggiore del numero di batteri che si formano e
quindi il numero di batteri totale diminuisce. Considerando il grafico vediamo una retta declinata,
infatti questa fase prende anche il nome di “Fase di declino” oltre che fase di morte!!
Questa fase termina quando nella popolazione avremo solo qualche batterio che a sua volta entrerà
in quiescenza (per risparmiare energie) o produrrà le spore (per resistere all'ambiente ostile)
Da tener presente è anche il fatto che però, non tutti gli individui di una popolazione batterica si trovano
nelle stesse condizioni vitali. Infatti nella stessa popolazione possono esserci alcuni batteri che di dividono
prima di altri e cosi via.. inoltre tutti i modelli di crescita precedenti sono stati ripresi su popolazioni fatte
crescere in terreni di coltura in laboratorio. In natura ci sono molte più variabili da considerare!!
In natura intanto ci sono più specie di microrganismi che si trovano a condividere lo stesso spazio vitale.
Quando succede questo possano verificarsi casi di commensalismo, in cui i microrganismi vivono
tranquillamente con gli altri, casi di simbiosi in cui i microrganismi si aiutano a vicenda e casi di
competizione in cui i microrganismi inibiscono la crescita degli altri. Solitamente in natura vi è sempre
competizione perché il nutrimento presente è sempre molto poco.
La biodiversità qui gioca un ruolo fondamentale.. infatti:
alcuni microrganismi sono capaci di entrare in fase esponenziale (in cui aumentano il loro numero
– esponenzialmente) prima di altri microrganismi e questo fa si che rimangano in grado di
monopolizzare le poche risorse presenti nell'ambiente circostante
alcuni microrganismi prediligono un pH o temperature diverse da altre. Quindi se si trovano in un
– ambiente in cui c'è un pH ed una temperatura ottimale, riescano a riprodursi maggiormente
rispetto ad altri e a monopolizzare le poche risorse presenti nell'ambiente circostante
alcuni microrganismi quando stanno per passare nella fase stazionaria, si suicidano per lisi
– cellulare. Lo fanno soprattutto per aiutare i microrganismi della stessa specie a sopravvivere, in
mancanza di scarso nutrimento. Questo perché la loro “carcassa cellulare” è ricca di sostanze
nutritive che possono metabolizzare gli altri microrganismi
– alcuni microrganismi sono sporigeni e quiescenti, quindi presentano un metabolismo molto lento
che non gli permette di avere una riproduzione molto rapida. Questo crea dei limiti a livello
sperimentale, perché non è possibile osservare la crescita ed i loro comportamenti in laboratorio.
Uno di questi batteri è il mycobacterium tuberculosis, agente patogeno per l'uomo che porta
all'insorgenza della tubercolosi
Sostanzialmente quello che abbiamo appena visto è che in natura assistiamo a vari ritmi vitali e di crescita
fra le varie popolazioni batteriche. Questo è dovuto soprattutto all'ambiente circostante e alle loro attività
metaboliche. Però è vero anche che le attività metaboliche dei vari microrganismi alla fine sono
complementari fra loro, ossia sono tutti collegati al fine di produrre i vari cicli biologici della materia.
Come il ciclo dell'azoto, dello zolfo e del carbonio, che a loro volta permettono la vita sul nostro pianeta!!
In laboratorio è possibile invece dar vita a popolazioni particolari. Ad esempio possiamo dar vita alle
popolazioni sincrone, ossia popolazioni in cui i batteri si riproducono tutti allo stesso momento.
Inoltre in laboratorio si possono fare delle crescite continue, in cui i batteri vengono mantenuti
costantemente nella stessa fase di crescita (solitamente in quella esponenziale). Per far questo basta dare
continuamente nutrimento. Le crescite continue generalmente vengono fatte in strumenti chiamati
“Chemostati” in cui abbiamo una camera contenente del terreno di coltura ricco di nutriente. Il terreno di
coltura viene fatto fluire all'interno di questa camera. In pratica il terreno vecchio viene fatto uscire e
quello nuovo (ricco di nuovi nutrienti) viene fatto entrare nella camera, nella stessa quantità. Ovviamente
la velocità di crescita della popolazione sarà direttamente proporzionale alla velocità di entrata del terreno
di coltura, in quanto se faccio fluire più terreno nello stesso intervallo di tempo avendo più nutrienti avrò
anche una riproduzione migliore e quindi una popolazione più grande.
L'utilizzo del chemostato è fondamentale anche per mantenere una popolazione in crescita esponenziale
senza che essa diventi eccessivamente grande, in quanto via via che il terreno scorre nella camera, porta via
anche le cellule batteriche in eccesso. È importante anche perché ci permette di studiare in laboratorio
anche la competizione fra batteri, l'effetto di agenti limitanti o per la formazione di colture batteriche pure!
FATTORI LIMITANTI PER LA CRESCITA BATTERICA
Ogni organismo ha un ambiente ottimale nella quale riesce a crescere e riprodursi nel migliore dei modi.
Un ambiente è caratterizzato da molti fattori che possono variare nel tempo a seconda delle circostanze,
alcuni di esse sono:
Temperatura [1]
– pH [2]
– Concentrazione di ossigeno [3]
– concentrazione di sale [4]
– Radiazioni [5]
– pressione [6]
–
[ 1 ] Temperatura: nel caso della temperatura ogni microrganismo presenta una propria temperatura
ottimale, in cui si riproduce alla massima velocità. Inoltre ogni microrganismo presenta una temperatura
minima ed una temperatura massima alla quale può riprodursi (anche perché è inutile che possa
sopravvivere, senza riprodursi, poiché la sua specie di estinguerebbe). L'unica distinzione sta nel fatto che
se i microrganismi, sono posti al di sotto della propria temperatura minima non sono in grado di
riprodursi. Mentre se i microrganismi sono posti al di sopra della propria temperatura massima, muoiono
direttamente perché si degradano le componenti strutturali!! La temperatura ottimale, la temperatura
minima e la temperatura massima sono dette “Temperature Cardinali”
Oltre a ciò i batteri possono essere classificati sulla base dell'entità della propria temperatura ottimale in:
Psicrofili: sono microrganismi che vivono generalmente a basse temperature. Questo perché la
– loro temperatura ottimale di crescita si aggira fra i 10 ed i 20 gradi centigradi.
La loro temperatura minima si aggira attorno ai -10 gradi centrigradi. Potrebbero magari anche
riprodursi a temperature più basse, solo che l'acqua a quelle temperature non si troverebbe più allo
stato liquido ma sarebbe totalmente allo stato solido e quindi inutilizzabile a livello cellulare.
La loro temperatura massima è fra i 20 ed i 30 gradi centrigradi.
Appartengono a questa classe, la maggior parte dei microrganismi che vivono sul suolo, dove vi è
quasi sempre questo range di temperature!!
Mesofili: sono i microrganismi aventi una temperatura ottimale di crescita che varia tra i 20 ed i
– 40 gradi centrigradi. Hanno una temperatura massima di 50 gradi centrigradi. Ed hanno una
temperatura minima di 10 gradi centrigradi. Appartengono più o meno a questa classe, la maggior
parte dei microrganismi patogeni, poiché la loro temperatura ottimale è medialmente quella
corporea!!
Termofili: sono i microrganismi aventi una temperatura ottimale di crescita che varia tra i 50 ed i
– 70 gradi centigradi. Presentano una temperatura minima di 40 gradi centrigradi, ed una
temperatura massima che varia fra i 70 ed i 90 gradi centigradi. Appartengono più o meno a questa
classe, la maggior parte dei microrganismi che vivono nelle sorgenti termali e nelle aree vulcaniche!
Ipertermofili: sono i microrganismi aventi una temperatura ottimale che si aggira attorno ai 120
– gradi centrigradi. La loro temperatura minima è di 90 gradi centrigradi, mentre la temperatura
massima non è ancora stata individuata perfettamente quale sia. La loro dote è quella di essere
caratterizzati dai cosiddetti “Enzimi termostabili”, ossia enzimi che non si denaturano nemmeno a
temperature molto elevate. La maggior parte di questi microrganismi vivono nelle fumarole o nelle
sorgenti idrotermali!!
Una caratteristica è che il tempo di generazione è inversamente proporzionale con la temperatura. Questo
significa che con l'aumentare della temperatura il tempo di generazione si abbassa. Viceversa con
l'abbassamento della temperatura il tempo di generazione aumenta.
Questo significa che gli ipertermofili crescono e si riproducono più rapidamente rispetto a tutti gli altri,
perché vivono generalmente in ambienti più caldi e quindi hanno un tempo di generazione minore!!
[ 2 ] pH: il pH influenza notevolmente la crescita dei microrganismi. Questo perché un pH molto acido
può ad esempio denaturare la struttura degli enzimi e della altre strutture proteiche.
Anche in tal caso abbiamo quello che si definisce come “pH ottimale di crescita”, ed ogni microrganismo ha
il proprio:
Acidofili: sono tutti quei microrganismi che hanno un pH ottimale di crescita minore di 7
– Neutrofili: sono tutti quei microrganismi che hanno un pH ottimale di crescita circa uguale a 7
– Alcalofili: sono tutti quei microrganismi che hanno un pH ottimale di crescita maggiore di 7
–
[ 3 ] Concentrazione di ossigeno: la concentrazione di ossigeno influenza notevolmente la crescita dei
microrganismi. Anche in tal caso possiamo classificare i microrganismi in:
Aerobi obbligati: sono tutti quei microrganismi che presentano un metabolismo respiratorio e che
– per tanto crescono e si riproducono solo in presenza di ossigeno
Aerobi e Anaerobi facoltativi: sono tutti quei microrganismi che presentano un metabolismo sia
– fermentativo che respiratorio e che per tanto riescano a crescere e a riprodursi sia in presenza che
in assenza di ossigeno
Anaerobi obbligati: sono tutti quei microrganismi che presentano un metabolismo fermentativo e
– che per tanto crescono e si riproducono solo in assenza di ossigeno
Microaerofili: sono tutti quei microrganismi che crescono in presenza di una concentrazione
– minima di ossigeno, ed hanno bisogno anche di una percentuale minima di anidride carbonica
nell'aria, pari almeno al 5-10%
[ 4 ] Concentrazione di sale: la concentrazione di sale nell'ambiente influenza notevolmente la crescita
dei microrganismi in quanto assorbe acqua e varia la pressione osmotica cellulare.
Ci sono dei particolare microrganismi che riescano a sopravvivere solo in presenza di sali.
Questi microrganismi prendono il nome di “Alofili”. Gli Alofili si dividono successivamente in:
Alofili tolleranti: sono microrganismi che possono vivere a concentrazioni di sale diverse,
– generalmente non troppo elevate
Alofili estremi: sono microrganismi che vivono generalmente negli ambienti marini, in quanto per
– poter avere una crescita ottimale devono vivere in ambienti in cui abbiamo almeno il 15-30% di
sale disciolto!!
[ 5 ] Radiazioni: le radiazioni sono estremamente dannose pre i microrganismi e per la loro crescita.
Le più dannose di tutti sono le radiazioni ionizzanti e quelle ultraviolette.
Le radiazioni ionizzanti hanno una lunghezza d'onda molto corta ma ad elevata energia. Generalmente
alterano la struttura delle cellule, rompendo strutture vitali provocando mutazioni letali.
Anche le radiazioni ultraviolette hanno una lunghezza d'onda molto corta ma presentano molta energia.
Esse sono letali soprattutto per molecole come il DNA, il quale presenta picchi di assorbimenti più alti,
proprio nella lunghezza d'onda delle radiazioni UV. Questo porta al fatto che il DNA le assorba
praticamente tutte e possa andare incontro a destabilizzazione, despiralizzazione, alterazione della propria
struttura o mutazioni!!
[ 6 ] Pressione: la pressione è un altro fattore fondamentale per la crescita e la riproduzione dei
microrganismi. Generalmente la maggior parte dei microrganismi vive alla pressione atmosferica di 1 atm!
Ci sono però anche altri microrganismi che possono vivere anche a pressioni maggiori. Abbiamo quindi una
classificazione in:
Non Barotolleranti: sono coloro che vivono alla pressione atmosferica classica di 1 atm
– Barotolleranti: sono coloro che possono vivere anche a pressioni maggiori di quella atmosferica
– Barofili: sono coloro che crescono e si riproducono di più in ambienti in cui sussiste una pressione
– molto alta
CLASSIFICAZIONE DEI MICRORGANISMI SULLA BASE ALLE VIE METABOLICHE
In base al tipo di metabolismo adattato, i microrganismi vengono classificati in:
Eterotrofi: sono coloro che non riescono a sintetizzare molecole organiche autonomamente a
– partire da molecole inorganiche
Autotrofi: sono coloro che riescano a sintetizzare molecole organiche autonomamente partendo
– da molecole inorganiche. Generalmente sfruttano la CO2 (anidride carbonica), attraverso processi
come la fotosintesi
In base alla fonte di energia utilizzate per ricavare energia possiamo avere:
Fototrofi
– Chemiotrofi
–
FOTOTROFI ] vengono detti anche “Fotoautotrofi”, ed attuano il processo di “Fototrofia”.
La fototrofia consiste in un processo biologico grazie al quale molti organismi viventi utilizzano la luce,
l'acqua e l'anidride carbonica per sintetizzare sostanze organiche (come il glucosio), che possono
successivamente sfruttare come nutrimento a livello metabolico o come fonte di energia per i processi di
respirazione cellulare. Generalmente i fototrofi maggiormente presenti sono le piante, le alghe ed alcuni
batteri come i Cianobatteri.
La maggior parte dei batteri che attuano fototrofia, sono definiti come “Batteri Verdi”, poiché possiedono
infatti un pigmento chiamato “Batterioclorofilla” che oltre a renderli verdi, riesce ad assorbire l'energia
luminosa ed emettere elettroni, utili poi nella produzione di ATP.
Alcuni particolari batteri come i Cianobatteri sono organismi fotoautotrofi aventi due fotosistemi molto
evoluti (per fotosistema intendiamo un complesso molecolare addetto all'assorbimento della luce per
produzione di energia). I loro fotosistemi infatti gli permettono di accettare come donatore di elettroni
anche le molecole d'acqua, ricavando elettroni (utilizzati per la produzione di ATP) e liberando
nell'ambiente ossigeno molecolare.
CHEMIOTROFI ] usano substrati organici ed anche inorganici per ricavare energia.
Principalmente abbiamo i chemiorganotrofi (che utilizzano substrati organici) e i chemiolitotrofi (che
utilizzano substrati inorganici). Il loro metabolismo può essere di vario tipo, a seconda dell'ambiente in cui
si trovano e della concentrazione di ossigeno tollerata dal microrganismo. Possiamo avere:
Fermentazione: dal punto di vista chimico, la fermentazione è un processo ossidativo anaerobico
– svolto da molti chemiorganotrofi, che utilizzano carboidrati per produrre energia (sotto forma di
ATP) per sopravvivere. La fermentazione può essere di vario tipo.
Fermentazione Omolattica: consiste nel processo che porta l'acido piruvico ad essere deidrogenato
e quindi trasformato in acido lattico
Fermentazione Alcolica: consiste nel processo che porta l'acido piruvico ad essere decarbossilato in
acetaldeide. L'acetaldeide viene poi deidrogenata in etanolo
Fermentazione Propionica: consiste nel processo che porta l'acido piruvico a formare vari
prodotti, fra cui acido propionico, acido acetico e anidride carbonica
Fermentazione acido-mista: consiste nel fatto che il microrganismo metabolizza una molecola di
glucosio trasformandola in una serie di prodotti, tra i quali abbiamo alcuni acidi organici come
acido lattico, acido acetico e acido formico e altri composti come etanolo, anidride carbonica e H.
Fermentazione Butilen-Glicole: è tipica degli enterobatteri e consiste nella condensazione di due
molecole di piruvato, che a seguito della liberazione di una molecola di CO2, formano come
prodotto finale il 2,3-butilenglicole
Alcuni processi industriale utilizzano la fermentazione di alcuni microrganismi per la produzione di
alimenti come il vino, la birra o il pane, ad esempio:
i lieviti sono delle forme fungine unicellulari. Fra i lieviti più conosciuti c'è il “Saccharomyces
– cerevisae”, degli organismi aplodiplonti che si riproducono per gemmazione.
Questo microrganismo viene utilizzato per la produzione della birra, del vino o del pane.
Nel caso della birra il malto d'orzo viene miscelato con acqua calda. La miscela viene poi bollita con
il luppolo e poi fermentata con il Saccharomyces cerevisae. Da qui si formerà successivamente la
birra.
Nel caso del vino, al mosto dell'uva vengono aggiunti inizialmente zucchero, acqua e anidride
solforosa per ridurre la velocità di fermentazione, attuata a sua volta dai Saccharomyces cerevisae.
Dalla fermentazione ricaviamo quindi il vino. Nel caso dello champagne abbiamo invece una
doppia fermentazione ed è proprio il Saccharomyces cerevisae che produce le bollicine di CO2
come scarto metabolico.
Nel caso del pane vengono aggiunti i Saccharomyces cerevisae per fermentare l'impasto del pane, in
maniera tale da velocizzare il processo di lievitazione. L'alcool prodotto dalla fermentazione viene
eliminato durante la cottura del pane stesso per evaporazione.
Respirazione aerobia ed anaerobia: generalmente per respirazione intendiamo un processo
– biochimico energetico attraverso il quale vengono ossidati dei composti organici per poi ridurli
attraverso l'utilizzo di vari composti detti “accettori di elettroni”.
Se il composto accettore di elettroni è l'ossigeno, allora parleremo di “Respirazione aerobia”
Se i composti accettori di elettroni sono gli ioni solfato, nitrato ed altri (che non siano l'ossigeno),
parliamo di “Respirazione anaerobia”.
Generalmente in questo processo il composto organico ossidato inizialmente è sempre il glucosio.
Il glucosio ossidato forma quindi piruvato, ATP e NADH2.
MUTAZIONI
Per definizione, il termine “Mutazione” indica un cambiamento nella sequenza nucleotidica del DNA.
Una mutazione quindi modifica sostanzialmente il genotipo di un determinato individuo e può
eventualmente anche modificarne il fenotipo a seconda delle sue interazioni con l'ambiente esterno.
Prima di spiegare i tipi, le funzioni e le varie peculiarità delle mutazioni, dobbiamo capire da dove si sono
originate.
ORIGINE DELLE MUTAZIONI nel 1668 un medico ricercatore di nome Francesco Redi, confutò la
teoria della generazione spontanea, secondo la quale gli esseri viventi potevano nascere spontaneamente
attraverso la materia inanimata. Da questo esperimento in poi il genere umano iniziò sostanzialmente a
parlare del fenomeno di “Evoluzione”. Il primo in assoluto a parlare di evoluzione fu sicuramente
“Jean-Baptiste Lamarck”. Lamarck diceva infatti che i sistemi biologici sono in continua evoluzione e che
le specie viventi cambiano nel tempo, tanto che le specie di oggi non erano presenti nel passato.
Ma il punto della situazione è: “Come si originano le nuove specie??”
Lamarck risponde a questo quesito parlando di “ereditarietà dei caratteri acquisiti”, cioè un individuo di
una specie se acquisisce particolari caratteristiche fenotipiche duranti la sua vita, le trasmette anche alla
progenie. Fa quindi l'esempio della giraffa che per arrivare a prendere le foglie verdi sugli alberi più alti
tende ad allungare il collo. Alla fine, dopo una discreta quantità di generazioni, la solita giraffa arriva ad
avere il collo molto più lungo che gli permette di prendere le foglie verdi sugli alberi più alti.
Sostanzialmente quindi Lamarck dice che l'ambiente e le necessità, inducono l'individuo di una
determinata specie in qualche modo a mutare. Si parla quindi di “Adattamento ambientale”.
Ma Lamarck non era l'unico scienziato che trattava l'argomento “Evoluzione”.
Infatti c'era uno scienziato che nella fatti specie formulò una teoria, valida, ma a suol tempo in netta
contrapposizione con la teoria di Lamarck. Questo scienziato era Charles Darwin.
Darwin diceva che era l'ambiente in primis, a fare una certa selezione, favorendo lo sviluppo di individui
più forti e sfavorendo lo sviluppo degli individui più deboli. Si parla quindi di “Selezione naturale”.
TEST DI FLUTTAZIONE ] a questo punto una domanda sorge spontanea “Abbiamo due scenari validi e
in stretta contrapposizione. Da una parte Lamarck dice che l'ambiente induce delle mutazioni che
favoriscono l'evoluzione di un individuo. Dall'altra parte Darwin dice che non è l'ambiente a mutare un
individuo, ma che l'ambiente seleziona naturalmente gli individui già mutati (e quindi avvantaggiati dal
punto di vista evolutivo). Il problema quindi è, chi ha ragione dei due???”
Circa una sessantina di anni fa nel 1943, Salvador Luria e Max Delbruck, fecero un esperimento che
sembrava dare ragione alla teoria di Darwin. Questo esperimento fu denominato “Test di Fluttuazione”.
Per poter capire questo esperimento dobbiamo innanzitutto sapere che quando una colonia batterica viene
infettata da un virus (batteriofago), praticamente i batteri muoiono quasi tutti. Molto raramente alcuni
batteri sopravvivono e diventano quindi resistenti al batteriofago. I batteri sopravvissuti per ovvie ragioni
quindi saranno sicuramente diversi da quelli che muoiono. Il punto è: “il batterio era già mutato di suo,
oppure lo è diventato a contatto con i batteriofagi presenti nell'ambiente???”.
Se il batterio era già mutato, significa che quindi Darwin aveva ragione e si parla semplicemente di
“selezione naturale”. Se il batterio è stato mutato dai batteriofagi presenti nell'ambiente (e quindi da un
fattore ambientale), significa che quindi aveva ragione Lamarck e si parla di “adattamento ambientale”.
Luria e Delbruck isolarono una colonia di Escherichia Coli molto numerosa.
– Sapevano che i batteri Escherichia Coli erano soggetti ad infezioni virali da parte del batteriofago
T1, detto comunemente anche “Fago T1”. Questo particolare virus uccideva tutti gli Escherichia
Coli, ma, ogni milione di batteri morti, uno sopravviveva e diveniva resistente al fago T1. Questo
Escherichia Coli prendeva il nome di “Batterio mutante”
Inizialmente presero gli Escherichia Coli e gli inserirono in una beuta contenente soltanto del
– terreno di coltura. Una volta fatto ciò, prelevarono due aliquote della coltura batterica.
La prima aliquota fu inserita all'interno di una provetta.
La seconda aliquota fu inserita all'interno di una serie di piastre petri (una decina per la precisione)
La provetta serviva sostanzialmente come “Controllo”, mentre le piastre erano i riferimenti da
considerare.
All'interno delle piastre gli Escherichia Coli continuavano a moltiplicarsi. Al momento in cui
– ebbero formato un numero sufficientemente elevato di individui, i due scienziati inserirono il
fago T1
Il fago T1 una volta inserito all'interno delle piastre, iniziò a uccidere gli Escherichia Coli e a
– moltiplicarsi. Ogni milione di Escherichia Coli uccisi, uno soltanto sopravviveva, ossia l'Escherichia
Coli mutante!!
Se aveva ragione Lamarck erano i virus (preso come fattore ambientale) a far mutare questo
– Escherichia Coli. Per tanto nelle piastre dovevamo avere più o meno il solito numero di Escherichia
Coli mutanti.
Se aveva ragione Darwin quegli Escherichia Coli mutanti che sopravvivevano, erano già mutati
prima ancora che i fagi T1 arrivassero. Per tanto nelle piastre dovevamo avere più o meno un
numero variabile (detto anche in tal “Fluttuante” perché fluttua, ossia cambia) di Escherichia Coli
mutanti
Il risultato fu che il numero di Escherichia Coli di una piastra era totalmente diverso rispetto al
– numero di Escherichia Coli delle altre piastre utilizzate. Per tanto il numero di Escherichia Coli era
“Fluttuato” ed il test dava quindi ragione alla teoria Darwiniana
Il problema è che constatando la provetta di controllo nella quale non era stato aggiunto nessun
– fago T1, il numero di Escherichia Coli mutanti era molto molto minore rispetto a quello delle
piastre. Questo non era normale, poiché se il numero di Escherichia Coli mutanti se era correlato
alla presenza dei fagi T1, non doveva essere molto diverso.
Per tanto il testi di Fluttuazione ci dice che la teoria Darwiniana era sicuramente la teoria più
– valida, ma non esclude la teoria Lamarckiana. Questo perché è vero che un certo numero di
Escherichia Coli mutanti è già presente prima del contatto con il fago T1, ma comunque non
possiamo escludere del tutto che il fago T1 non abbia contribuito alla formazione di un numero
maggiore di Escherichia Coli mutanti.
Per capire questo è stato necessario verificare la presenza di Escherichia Coli mutanti prima del
– contatto col l'agente virale (Fago T1).
TEST DEL REPLICA PLATING ] qualche anno dopo l'esperimento di Luria e Delbruck (Test di
fluttuazione), nel 1952, ne venne fatto un altro dai fratelli Joshua ed Esther Lederberg, chiamato “Test
della piastratura delle repliche” o anche chiamato in inglese “Replica Plating”.
La tecnica della piastratura delle repliche permette di ottenere un numero variabile di piastre petri
contenenti ciascuna un terreno solido di coltura (solitamente caratterizzato da acqua e agar), nel quale sono
fatte crescere colonie di Escherichia Coli. Queste colonie hanno la stessa disposizione spaziale in tutte le
piastre petri. Per tanto il risultato è che otteniamo tante “piastre cloni”, ossia tutte identiche fra loro.
Inizialmente i due scienziati partano da una piastra petri primaria, contenente il terreno di coltura
– solido ed un certo numero di colonie di Escherichia Coli
Sulla piastra, successivamente, aderirono un dischetto coperto da uno strato di velluto sterile ed un
– filtro di carta. Via via poggiavano questo strato di velluto sterile sulle colonie della piastra primaria
in maniera tale che quest'ultime aderissero al panno
il panno ricco di colonie di Escherichia Coli, venne poi poggiato pian piano su altre piastre
– secondarie (contenenti terreno di coltura solido). In questo modo le colonie di Escherichia Coli si
depositarono sul terreno di coltura solido e, dopo il periodo di incubazione, generarono altre
colonie disposte analogamente a quelle della piastra primaria. Riuscirono ad ottenere in questo
modo, molte piastre identiche fra loro, dette piastre cloni
una volta ottenute le piastre cloni (che ricordo essere caratterizzate da terreno di coltura solido e
– colonie di Escherichia Coli aventi la stessa disposizione spaziale), i due scienziati inserirono
all'interno di essere i virus del tipo Batteriofagi T1, detti anche Fagi T1
abbiamo visto nell'esperimento di Luria e Delbruck, i fagi T1 uccidono quasi tutti gli Escherichia
– Coli presenti, tranne alcuni che mutando, diventano resistenti al virus e riescano a sopravvivere.
La finalità di questo esperimento (replica plating) è quella di capire se queste mutazioni si
generavano spontaneamente o erano indotte dal fago T1
il risultato fu che, in seguito alla infezione virale, nelle piastre cloni videro che dopo un determinato
– arco di tempo, le colonie sopravvissute erano sempre le stesse, in tutte le piastre.
Questo poteva essere spiegato solo ipotizzando una mutazione spontanea già preesistente. Questo
perché se fosse stato il fago T1 a provocare la mutazione, ogni piastra, pur essendo identica
all'altra, sarebbe comunque stata caratterizzata da un numero di Escherichia Coli mutati
differente.
È stato cosi dimostrato in maniera quasi del tutto inequivocabile che le mutazioni sono
– “Preadattative” (già preesistenti nell'individuo) e soggette alla selezione naturale!!
TEST SIB-SELECTION ] nel 1956 Cavalli Sforza e Lederberg, sfruttano il fatto che è possibile arricchire
una coltura batterica contenente cellule resistenti, mediante diluizione. I due scienziati in poche parole,
tramite un test, chiamato “Test sib-selection”, riuscirono a ricavare una coltura pura, caratterizzata da soli
batteri resistenti:
Fecero 100 colture batteriche sature, contenenti circa un miliardo di batteri. I batteri in questione
– erano escherichia coli, resistenti alla streptomicina. Ogni coltura di escherichia coli aveva un
volume di circa 7 ml. Quindi c'era una concentrazione di 10^9 / 7ml.
Queste colture vennero incubate per tuta notte. La mattina successiva da ogni coltura vennero
– prelevati 3,5 ml ed inseriti all'interno di piastre petri. Le 100 piastre furono introdotte
successivamente in frigo per un discreto intervallo di tempo.
Presero quindi una delle piastre e videro che vi erano 10 colonie resistenti ogni millilitro
– a questo punto quindi prelevarono 1 millilitro e lo ripartirono in 10 tubi differenti. Notarono che in
– un tubo su dieci c'era un batterio resistente, mentre nei nove tubi rimanenti non ci era nessun
resistente.
In quel tubo abbiamo quindi ottenuto una colonia pura di soli resistenti!!
–
TEST DI AMES ] nel 1973, Bruce Ames fece un test per l'analisi genotossicologica di una sostanza, cioè
determinare se una sostanza può indurre mutazioni oppure no!
Il test viene fatto con un ceppo di salmonella, particolari batteri che hanno bisogno di istidina per potersi
riprodurre, in quanto loro non sono in grado di sintetizzarlo. Praticamente:
il test inizia piastrando una soluzione batterica in due piastre differenti contenenti entrambe un
– terreno solido di agar e istidina. Al centro della prima piastra viene inoculato un dischetto contente
la sostanza in esame (2-amino-fluorene), che inizia a diffondersi in tutta la piastra. Nella seconda
piastra non viene fatto nulla e la teniamo come campione di riprova
dopo circa 48 ore, essendo un terreno molto ricco di nutrienti tra cui anche l'istidina, i batteri
– (salmonella) si sono duplicati moltissimo in entrambe le piastre, e per tanto ci sono state anche
molte mutazioni, dovute ad errori nei processi di duplicazione. Solo che nella prima piastra ci sono
più mutazioni rispetto alla piastra di riprova. Questo significa che nella prima piastra ci sono state
anche delle mutazioni indotte dalla sostanza esaminata che per tanto è una sostanza cancerogena e
tossica.
REPLICAZIONE NEI BATTERI
La Replicazione nei procarioti avviene in maniera diversa rispetto a come avviene negli eucarioti.
Il DNA del batterio è generalmente caratterizzato da un lungo filamento circolare (anche se in casi può
essere anche lineare) immerso nel materiale citoplasmatico che si avvolge su se stesso portando alla
formazione di una struttura chiamata “Nucleoide”.
Specificatamente il DNA batterico è caratterizzato da alcune regioni rilassate ed alcune regioni super
avvolte. Le regioni super avvolte devono esistere per un motivo strutturale, infatti fungono da ingombro
sterico non permettendo alle proteine di interagire con il DNA.
Le regioni rilassate devono esistere per un motivo di espressione genetica, in quanto permettano l'ingresso
di alcune proteine specifiche.
Spontaneamente il DNA batterico si trova soprattutto nella forma rilassata per via dell'energia libera che
predilige questa conformazione. Però alcune molecole enzimatiche dette “Topoisomerasi I” forniscono o
tolgono energia al sistema, permettendo cosi un aumento o una diminuzione del grado di
superavvolgimento del DNA. (sostanzialmente quando forniscono energia si creano delle regioni super
avvolte, quando tolgano energia si creano delle regioni rilassate).
Abbiamo inoltre anche la presenza di un altro importantissimo enzima, chiamato “Topoisomerasi II”, detto
in gergo anche DNA-girasi. Questo enzima è eterodimerico, ossia composto da due subunità diverse.
Queste subunità scivolano sul filamento di DNA, lo tagliano in un punto casuale e ricollegano
successivamente le due eliche.
L'equilibrio fra le Topoisomerasi I e le Topoisomerasi II mantiene quindi stabile la struttura del DNA,
regolando anche la quantità di regioni espressive (rilassate) e regioni strutturali (super avvolte).
Andando nello specifico il DNA batterico è sintetizzato a partire da un unico punto di origine (Ori) e
termina in un punto di terminazione. Il tratto di DNA che va dall'Ori al punto di terminazione, prende il
nome di “Replicone”, che è per definizione l'unica unità replicativa dell'organismo.
Il DNA batterico inizia quindi la sua replicazione in un punto specifico chiamato “Ori” che sta per origine
della replicazione.
Dall'Ori partano due DNA-polimerasi, una che va in un verso del filamento di DNA e l'altra nel senso
opposto, alla stessa velocità.
Le due DNA-polimerasi di ritrovano nel punto diametralmente opposto all'Ori.
Il processo vero e proprio di replicazione inizia dal fatto che la doppia elica di DNA viene svolta
(despiralizzata) grazie alle Topoisomerasi inverse. Si rompano i legami ad idrogeno grazie alle Elicasi che si
muovono sia in una direzione del filamento che nell'altra. Contemporaneamente i singoli filamenti di DNA
vengono stabilizzati dalle proteine SSBP. Successivamente interviene un primer che funge da molecola
iniziatrice. Il primer è la RNA-primasi, un enzima in grado spontaneamente di sintetizzare RNA.
L'RNA prodotto di inserisce in alcuni tratti del filamento di DNA.
Arriva quindi la DNA-polimerasi III che riconosce l'RNA e ci salda covalentemente altri nucleotidi.
Successivamente la DNA-polimerasi I taglia l'RNA via dal filamento in maniera tale che non si formi un
ibrido DNA-RNA.
Arriva quindi una DNA-ligasi che lega i frammenti di DNA assieme formando il nuovo filamento.
Quest'ultimo viene quindi stabilizzato dalle proteine SSBP e va a reagire attraverso forze elettrostatiche con
l'altro filamento andando a riformare la doppia elica del DNA.
FATTORI DI RICOMBINAZIONE GENETICA NEI BATTERI
Abbiamo visto che esistono due forze in contrapposizione nei sistemi viventi. Una è l'identità biologica e
l'altra è la variabilità genetica.
Se prendiamo in considerazione gli organismi eucarioti, questo problema non sussiste perché grazie alla
Meiosi, la prole, ha una sua identità biologica (perché il proprio pool genetico deriva dai caratteri del padre
e della madre) ma ha anche una variabilità genetica (dovuta al crossing over, ossia al rimescolamento
genetico).
Se prendiamo invece in considerazione gli organismi procarioti, questo problema sussiste, poiché si
riproducono grazie ad un meccanismo mitotico e non meiotico.
Per tanto una domanda sorge spontanea: “Se i procarioti, come i batteri, non hanno apparentemente la
capacità di scambiarsi il materiale genetico attraverso un meccanismo sessuale come la meiosi, com'è
possibile che in questi quattro miliardi di anni si siano evoluti??”
Una fonte di variabilità genetica potrebbero essere le mutazioni, ossia delle modificazioni di alcune
sequenze nucleotidiche poste in un tratto specifico di un gene. Il punto è che le mutazioni sono si, fonte di
variabilità genetica, ma avvengono spontaneamente con una frequenza di 0,000001 (10^-6) volte. Questo
significa che se considero un milione di batteri, solo uno va incontro a mutazione.
Considerando questo fattore, e la velocità di sviluppo dei sistemi biologici, è molto molto improbabile che
siano state solo gli eventi mutageni (le mutazioni) a dare variabilità genetica e ad evolvere i batteri in questi
4 miliardi di anni.
Per tanto un altra domanda sorge spontanea: “anche per i batteri quindi esistano uno o più meccanismi che
permettono loro di variare il proprio pool genetico??”.
La risposta è si, esistono ben cinque meccanismi con la quale i batteri possono scambiarsi materiale
genetico e quindi andare incontro a variabilità genetica. Questi meccanismi sono:
1] GLI “MGE” (elementi genetici mobili):
Sono dei particolari elementi genetici, ossia tratti di DNA che si muovono da un batterio ad un altro.
L'elemento genetico mobile più conosciuto è senza alcun dubbio il Plasmidio, ossia un tratto discretamente
lungo di DNA circolare che si trova libero del materiale citoplasmatico. Abbiamo anche il Trasposone, ossia
un frammento di DNA che si sposta da una parte ad un altra del genoma. Ad ogni modo questi elementi si
definiscono “mobili” perché passano da un batterio all'altro modificandone il loro genoma. Aumentano
difatto la variabilità genetica della specie batterica!!!!
2] TRASDUZIONE:
Un meccanismo con la quale i batteri variano il proprio pool genetico è la “Trasduzione”.
Questo processo consiste nel passaggio di DNA da un batterio ad un altro per tramite di un batteriofago.
Se prendiamo in considerazione il punto di vista del batteriofago (virus), sicuramente non può che essere
positivo. Questo perché il batteriofago è un virus che si lega ai batteri col solo scopo di replicare il proprio
materiale genetico e dar vita alle particelle virali.
Se prendiamo, invece, il punto di vista del batterio visto in maniera grossolana, sarebbe una follia. Questo
perché sappiamo benissimo che il virus, una volta che interagisce con il batterio, lo uccide.
Per tanto una domanda sorge spontanea: “Se il batteriofago una volta legato al batterio, lo uccide. Perché il
batterio permette questo legame senza opporre resistenza??”.
Il fatto è che ogni essere vivente, incluso i batteri, tende a relazionarsi con l'ambiente esterno e gli altri
organismi, in maniera tale da permettere un determinato equilibrio fra le due forze biologiche in gioco:
l'identità biologica e la variabilità genetica.
Sicuramente sappiamo che l'interazione fra il batteriofago (virus) e il batterio non permette al batterio di
mantenere la propria identità biologica. Questo perché viene semplicemente ucciso.
A questo punto per esclusione possiamo dedurre che il batterio permette l'interazione col batteriofago
perché in qualche modo, quest'ultimo, è in gradi di aumentare la variabilità genetica del batterio stesso.
Infatti quello che succede è:
inizialmente il batteriofago si aggancia ai recettori della membrana cellulare batterica
– dopo di che il batteriofago inietta il proprio DNA-virale all'interno della cellula batterica.
– Il metabolismo comincia ad essere sbilanciato ed il DNA-virale inizia a moltiplicarsi
esponenzialmente formando molte copie di se stesso
a questo punto il DNA-virale si integra nel DNA-batterico e lo inizia a spezzettare. Abbiamo quindi
– il DNA-virale e la presenza di brevi tratti di DNA-batterico
siamo quindi arrivati alla parte finale del ciclo litico virale. Sostanzialmente le proteine virali
– (derivanti dalla sintesi proteica del DNA-virale) iniziano a formare le varie parti strutturali dei
nuovi batteriofagi. Fra queste parti abbiamo anche la testa del virus, detto comunemente
“Capside”. Nel capside viene integrato il DNA-virale. Solo che con una certa frequenza nel capside
ci vanno a finire anche alcuni brevi tratti di DNA-batterico
a questo punto i batteriofagi prodotti sono talmente tanti che fisicamente la cellula batterica non
– può più tenerli. Per tanto si ha il fenomeno di “Lisi” ossia si rompe fisicamente la parete cellulare
ed il batterio muore
i batteriofagi vengono cosi liberati nell'ambiente e vanno a contatto con altri batteri
– Al momento in cui i batteriofagi trovano un nuovo batterio si legano ai recettori di membrana di
– quest'ultimo ed iniettano il proprio DNA. Il DNA stavolta però non è solo virale ma in piccolissime
quantità abbiamo anche la presenza di brevi tratti di DNA-batterico (derivante dal primo batterio
lisato dal virus)
il DNA-virale viene iniettato nel materiale citoplasmatico e viene immediatamente distrutto dalle
– difese intrinseche del batterio. Invece il tratto di DNA-batterico può avere due destini differenti; O
viene distrutto come il DNA-virale, oppure viene riconosciuto da un tratto di DNA-batterico molto
simile ad esso. Una volta riconosciuto, i due tratti di DNA-batterici (uno derivante dal primo
batterio lisato, e l'altro appartenente al secondo batterio) vengono sostituiti fisicamente attraverso
l'azione di una proteina particolare che si chiama “REC-A”
una volta che il tratto di DNA-batterico del secondo batterio, viene sostituito con il tratto di DNA-
– batterico del primo batterio, quello che otteniamo è che il genoma del secondo batterio è
sostanzialmente variato. Abbiamo quindi aumentato difatto la variabilità genetica della specie!!!!
Il fenomeno di Trasduzione può dividersi a sua volta in due tipi: la “Trasduzione generalizzata” e la
“Trasduzione specializzata”.
La trasduzione generalizzata consiste nel fatto che qualsiasi parte del DNA-batterico donatore può
– introdursi nel capside virale ed essere per tanto trasferito ad un altro batterio, detto ricevente
La trasduzione specializzata solo e soltanto precisi segmenti di DNA-batterico possono essere
– trasferiti ad un altro batterio ricevente.
Questi segmenti di DNA-batterico vengono fusi al DNA-virale grazie a particolari proteine dette
“Integrasi”. La fusione avviene sempre nello stesso punto e solo in alcuni precisi segmenti del DNA-
batterico. Per tanto solo loro potranno essere trasferiti alla cellula batterica ricevente.
3] TRASFORMAZIONE:
Un altro meccanismo con la quale i batteri variano il proprio pool genetico è la “Trasformazione”.
Questo processo consiste nel passaggio di alcuni frammenti di DNA nudi (per “nudi” si intende liberi
nell'ambiente extracellulare) provenienti da cellule batteriche lisate (morte), a cellule batteriche vive.
Questo passaggio avviene direttamente nell'ambiente extracellulare.
Colui che scoprì per primo la presenza di questo meccanismo di trasformazione fu senza alcun dubbio
Peter Griffith. Griffith però all'epoca non sapeva dell'esistenza del DNA come molecola portatrice
dell'informazione genetica e quindi dovendo dare un nome alla molecola che passava dal batterio lisato al
batterio vivo, diede il nome di “Principio Trasformante”.
Successivamente con le nuove tecnologie e le nuove scoperte nel campo della microbiologia, abbiamo potuto
osservare in maniera più specifica e dettagliata il comportamento dei batteri, notando che i batteri non
vivono mai da soli ma vivono sempre in una colonia. All'interno di queste colonie i batteri sono sia in
competizione per le risorse nutritive, ma anche in cooperazione per superare determinate condizioni
ambientali sfavorevoli. In determinate condizioni ambientali alcuni batteri, anche di diversa specie,
tendono a compattarsi formando una sorta di aggregazione immersa in una soluzione polisaccaridica molto
compatta. Questa struttura polisaccaridica con all'interno individui e aggregazioni di batteri di diversa
specie, prende il nome di “Biofilm”, detto anche “Biopellicola” o anche “Microfouling”.
Sostanzialmente quello che accade è:
All'interno di questo Microfouling, i batteri nascono,si nutrono, si riproducono e muoiono.
– Generalmente la morte è sostenuta dal fatto che ogni cellula batterica inizia a perdere la propria
integrità strutturale e si rompe la membrana cellulare, andando incontro al processo di “lisi
cellulare”
al momento in cui avviene la lisi cellulare, il contenuto citoplasmatico del batterio lisato fuoriesce
– nell'ambiente extracellulare. Per contenuto citoplasmatico, intendo dire la matrice citoplasmatica
(citosol) con immersi all'interno alcuni organuli come i ribosomi ed il materiale genetico (DNA o
Plasmidi)
contemporaneamente ad alcuni batteri che muoiono, all'interno del Microfouling, abbiamo anche
– batteri vivi. Alcuni di questi batteri hanno la capacità di catturare frammenti di DNA extracellulari
e di incorporarli all'interno della propria struttura. Questa capacità è dovuta dal fatto che questi
batteri sono in un particolare stato fisiologico chiamato “Stato di Competenza”
in poche parole, quando un batterio si trova nello stato di competenza, sulla propria membrana vi è
– la presenza di alcuni recettori specifici in grado a loro volta di riconoscere, interagire e permettere
l'incorporazione di frammenti di DNA all'interno della propria struttura.
Per fare ciò il recettore inizialmente di lega con frammenti di DNA a doppia elica (il DNA a singola
elica non viene riconosciuto dal recettore). Successivamente il DNA a doppia elica passa attraverso
la parete cellulare e va incontro ad una serie di enzimi “Esonucleasici” che degradano uno dei due
filamenti della doppia elica. (questo passaggio di degradazione non è ancora del tutto chiaro alla
comunità scientifica).
Il filamento singolo a questo punto raggiunge la membrana ed infine approda nel materiale
citoplasmatico (materiale intracellulare) dove viene ri-sintetizzato il filamento complementare
(colui che è stato degradato inizialmente dagli enzimi esonucleasici)
una domanda sorge spontanea: “Il DNA a doppia elica che si trova adesso all'interno del materiale
– citoplasmatico, che fine fa?? a cosa serve?
La risposta è che il DNA può avere due destini cellulari. Il primo è che viene riconosciuto come
DNA-estraneo (poiché proviene dal batterio lisato e quindi è diverso dal proprio DNA) e quindi
viene degradato. Il secondo è che viene riconosciuto dalla solita proteina “REC-A”. La REC-A non
fa altro che integrare il frammento di DNA proveniente dal batterio lisato, all'interno del DNA del
batterio vivo. In tal modo il genoma del batterio vivo è stato difatto variato ed abbiamo difatto
aumentato la variabilità genetica della specie!!!!
4] CONIUGAZIONE:
Abbiamo parlato di Trasduzione e di Trasformazione, ma esiste anche un altro meccanismo con la quale i
batteri possono variare il proprio pool genetico, esso è la “Coniugazione”.
Questo processo consiste nel passaggio di alcuni frammenti di DNA da una cellula batterica ad un altra,
purché queste due cellule batteriche siano assolutissimamente in contatto fisico fra loro.
Il processo di Coniugazione fu scoperto per la prima volta nel 1946 da Joshua Lederberg ed un suo
collaboratore, Edward Tatum, entrambi vincitori del premio Nobel pochi anni dopo.
Grazie all'avvenimento della microscopia elettronica abbiamo potuto capire nel dettaglio le dinamiche di
questo processo.
Sostanzialmente possiamo notare che ci sono alcuni batteri capaci di donare frammenti del proprio DNA
che prendono il nome di “Batteri donatori” e ci sono altri batteri capaci di ricevere frammenti di DNA che
prendono il nome di “Batteri riceventi”.
I batteri sono caratterizzati da una estroflessione, una sorta di braccio, chiamato “Pilus sessuale” o
genericamente “Pilo sessuale”. Attraverso il pilo sessuale, i batteri donatori trasmettono parte del proprio
DNA al batterio ricevente.
Questi frammenti di DNA sono piccoli e circolari, ed una volta trasmessi al batterio ricevente, quest'ultimo
diventa un batterio donatore, ossia capace a sua volta di donare questi piccoli frammenti di DNA ad altri
batteri riceventi. Per tanto questi frammenti di DNA circolare, furono definiti come “Fattori di Fertilità”
detto anche “fattore F”.
A questo punto i batteri donatori saranno definiti come “F positivi” o “F+”(ossia fertili), mentre i batteri
riceventi saranno definiti come “F negativi” o “F-” (non fertili).
Quindi il fattore F (fattore di fertilità), passa sempre e comunque da batteri “F positivi” a batteri
“F negativi” trasferendoli la capacità di diventare “F positivi”. Siccome questi frammenti di DNA circolare
si muovono da un batterio all'altro, furono chiamati “MGE” (Elementi Genetici Mobili), detti anche in tal
caso “Plasmidi”.
Quindi sostanzialmente per fare il punto della situazione la differenza fra i batteri “F positivi” ed
“F negativi” risiede nella presenza di un plasmide.
Generalmente questo plasmide deve contenere al suo interno una notevole quantità di informazione
genetica. Infatti il plasmide deve contenere i geni “TRA” ed i geni “MOB”.
I geni TRA sono coloro che permettano il trasferimento del plasmide da una cellula all'altra. Se non ci
fossero i geni TRA, il plasmide non potrebbe essere trasferito.
I geni MOB sono coloro che permettano la sintesi del pilo sessuale, che a sua volta è la struttura cellulare
nella quale avviene il trasferimento del plasmide. Se non ci fossero i geni MOB, il plasmide non potrebbe
essere trasferito.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher LOLLO930401 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Microbiologia con laboratorio e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Firenze - Unifi o del prof Mastromei Giorgio.
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