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STRUMENTI DI TIPO PUBBLICO

- Delega di poteri bannali a conti, duchi e margravi

- Capitolari, nuova forma di legislazione, validi da un capo all’altro dei suoi territori

- Missi dominici

- Cariche conferite a funzionari pubblici (onori)

STRUMENTI DI TIPO PRIVATO

- Pronuncia di un giuramento di fedeltà al sovrano per tutti i sudditi maggiori di 12 anni

- Vassallaggio

- Vassi dominici

Per quanto riguarda le terre coltivate, i Carolingi introdussero una gestione di tipo nuovo, che sostituì il

latifondo dell’antichità. Questo sistema è definito curtense, dal nome della grande azienda agricola sul

quale era imperniato, la curtis.

Il centro della corte era costituito dalla casa padronale, solitamente più grande delle altre e costruita in

muratura. Intorno alla casa padronale si trovavano le case dei servi, le stalle, i magazzini, fienili, ecc.

I campi da coltivare erano affidati a due tipologie diverse di lavoratori: i servi, che lavoravano le terre

controllate direttamente dal padrone (pars dominica), e i massari, coltivatori liberi ma dipendenti e

sottoposti al pagamento di un affitto e a prestazioni di corvée, che si occupavano del resto delle terre

(pars massaricia).

Clientele e vassalli

L’impero creato da Carlo Magno comprendeva popoli e regioni anche molto diversi tra loro che era

necessario unificare il più possibile.

Con il vassallaggio, i re franchi legarono maggiormente a sé i sudditi più potenti, creando i vassi

dominici, tra cui furono conti, duchi, vescovi e pure abati.

Il vincolo militare vassallatico derivava nei suoi gesti e rituali simbolici dai giuramenti di fedeltà militare

già propri, ad esempio, degli antrustioni franchi, cioè dei membri della trustis regia dei Merovingi come

testimoniato dalla Formula Marculfi. La cerimonia con cui il vincolo si istituiva implicava sia la immixtio

manuum, con cui il vassus metteva le proprie mani in quelle del senior pronunciando parole rituali di

sottomissione (cioè che poi sarà definito “omaggio”), sia un giuramento di fedeltà su un testo sacro. Il

patto era suggellato da un bacio rituale, da pari a pari, infatti il legame bilaterale era possibile solo tra

persone della stessa condizione sociale (due liberi).

L’atto giuridico con il quale un uomo libero entrava nel patrocinium di qualcun altro è l’accomandazione

o commendatio, come ci viene testimoniato dalla cosiddetta Formula Turonensis, risalente al secondo

quarto dell’VIII secolo: «finché io vivrò, ti dovrò prestare servizio ed ossequio dovuti da un uomo libero

e non dovrò sottrarmi per tutta la vita alla vostra potestà o mundio, ma dovrò rimanere finché vivrò nella

vostra potestà e protezione.»

Il vincolo era sentito come strettamente personale e moralmente impegnativo per entrambi i contraenti.

Il vassallo, pur nella propria sottomissione, acquisiva la dignità di un familiare del proprio signore. Il

servizio per lo più in armi, prestato dal vassallo al patrono, era rimunerato con il mantenimento nella

casa signorile, oppure con l’assegnazione di un BENEFICIUM.

La rete di alleanze tra sovrano e potenti è inizialmente molto fluida, ma con il rafforzamento del potere

regio anche i rapporti vengono formalizzati. Il re può estromettere dalla loro posizione i signori che

rappresentano una minaccia sostituendoli con uomini a lui legati, mentre attribuisce un beneficio ai

signori di cui non può o non vuole fare a meno.

In età carolingia, l’assegnazione del beneficio avveniva a seguito della creazione del vincolo

vassallatico, arricchendolo di significato tramite un’investitura simbolica. La cerimonia di investitura

avveniva alla presenza di un vescovo, affinché il giuramento fosse ancora più sacro e inviolabile.

Nella piena età carolingia il beneficio normalmente non aveva contenuto giurisdizionale, non c’era una

delega di potere, ma solo una trasmissione di ricchezza, per lo più consistente in terre.

Il re attribuisce al vassallo il diritto di usufrutto di un determinato territorio, chiamato feudo, di cui il

vassallo otteneva il possesso e non la proprietà che restava al re. I vassalli beneficiari acquisiscono

dunque le rendite della terra con le quali potevano mantenersi da soli e provvedere al loro obbligo più

importante nei confronti del loro signore, cioè servirlo militarmente. Con le rendite del feudo potevano

infatti permettersi il costoso armamento dell’epoca.

La società franca dell’avanzato secolo VIII conteneva varie clientele armate che sopperivano alla

mancanza di un “esercito di popolo”. Il senior poteva essere il re, che quindi attingeva alle terre fiscali

per dare benefici ai vassalli, oppure poteva essere un qualsiasi altro ricco e potente Franco, ufficiale

regio, autorità religiosa o semplice latifondista. Il senior di una clientela non doveva essere

necessariamente essere vassallo del re: i rapporti vassallatico-beneficiari non si componevano in una

catena che riconducesse sempre e comunque al re.

Maestri di Palazzo, ecclesiastici o laici che disponevano di vasti patrimoni fondiari erano in grado loro

stessi di nutrire folte clientele vassallatiche.

Poiché la proprietà del feudo restava in mano al signore, alla morte del vassallo la terra sarebbe dovuta

tornare nelle mani del signore per disporne liberamente, tuttavia questo non accadde quasi mai.

Nell’877 il Capitolare di Quierzy emesso da Carlo il Calvo stabilisce che, in caso di morte improvvisa

del titolare di un beneficio feudale in una spedizione militare, la titolarità sia ereditata da suo figlio. Si

tratta di una norma transitoria. E tuttavia viene considerata dai feudatari come una forma di generale

legittimazione a trasmettere ereditariamente i benefici feudali ai propri gli, anche quando il titolare del

beneficio muore a casa sua e non nel corso di una spedizione militare. Nella prassi la trasmissione

ereditaria si impone e si diffonde largamente, anche se il riconoscimento formale della ereditarietà dei

benefici verrà sancito solo dalla Constitutio de feudis, atto emanato nel 1037 dall’imperatore Corrado II.

Con questa prassi la società si immobilizza e si creano delle micro-dinastie potenti contro cui la dinastia

reale si scontra.

Con il passare del tempo, l’honor attribuito dal signore al beneficiario cominciò a significare anche

diritto giurisdizionale nel proprio feudo, nonché immunità giuridica. La concessione del beneficio era

dunque accompagnato da una delega di potere.

L’espressione signoria di banno indica proprio il potere giurisdizionale esercitato dai signori all’interno

delle proprie terre. Il “banno”, dalla radice germanica BAN- “comandare”, “divieto” (appartiene alla sfera

semantica del potere, della forza, della coercizione), indicava tutti i poteri pubblici più alti e importanti

solitamente esercitati dal re: come l’esercizio della giustizia, l’imposizione di tasse e multe, il conio della

moneta, il comando dell’esercito. Con l’istituzione del vassallaggio, questi poteri venivano delegati dal

sovrano al signore che nel suo feudo godeva di poteri pressoché illimitati. Il diritto di esercizio del

potere bannale, che poteva essere di competenza laica o ecclesiastica, era indicato con l’espressione

“dominatus loci".

Questa pratica portò ad una pericolosa frammentazione del potere in una società di scontri violenti e

opposizioni, in cui le liti ai confini erano all’ordine del giorno.

L’Islam

Ai margini del bacino del Mediterraneo, a sud dell’impero bizantino e di quello persiano, si estendeva

l’Arabia: un vasto territorio desertico di rocce e sabbia, quasi completamente privo di corsi d’acqua.

L’Arabia pre-islamica era abitata da numerose tribù sia nomadi sia sedentarie, dedite soprattutto al

commercio, alla pastorizia e, in misura minore, all’agricoltura. Insieme a queste attività praticavano

anche la razzia, volta alla conquista immediata del bottino.

L’instabile equilibrio politico e sociale tra i clan in cui si articolavano le tribù principali si fondava sulla

legge del taglione e su una sorta di codice etico tribale, con valori e principi sanciti dalla tradizione e

non scritti, riconosciuti e rispettati da tutti i membri della tribù.

La religione prevalente era politeista e sincretica, anche se vi erano diverse comunità di ebrei e di

cristiani, non tutti di origine araba.

La Mecca, collocata al centro della fascia occidentale della penisola arabica, era una ricca città

commerciale controllata principalmente dall’attività dei carovanieri. Qui sorgeva il tempio dedicato a

tutte le divinità arabe, la Ka’ba, un edificio sacro di forma cubica che accoglieva al suo interno oltre 300

idoli e una pietra nera, un meteorite cui erano riconosciute proprietà divine.

La religione di Maometto si andò formando alla fine del VI secolo da una tendenza già presente fra le

tribù arabe ad ammettere la supremazia di un Dio sugli altri dei.

Attorno al 610 l’arabo Maometto, appartenente alla tribù Quràish che esercitava alla Mecca una

supremazia economica, sociale e politica, si persuase di essere misticamente ispirato da Allah per una

missione profetica, affinché indicasse la via per giungere alla salvezza nel giorno del Giudizio Finale,

attraverso la “sottomissione” (Islam) a Dio.

Per oltre vent’anni, fino alla suo morte, nel 632 Maometto rivelò sempre più in ampiezza e in dettaglio la

volontà di Allah, che andò a costituire l’insieme del Corano, il testo sacro dell’Islam.

La religione islamica non si poneva in contrasto con l’ebraismo o il cristianesimo, ma si proponeva

come perfezionamento ultimo delle due, reso possibile dalla rivelazione suprema fatta da Dio stesso a

Maometto. Riallacciandosi alla tradizione profetica ebraica, di cui secondo i musulmani facevano parte

Adamo, Abramo, Mosè e Gesù, Maometto fu visto come l’ultimo dei profeti, colui che portava la parola

definitiva di Allah.

Nell’Islam non esiste una struttura clericale gerarchica, ma il rapporto con Allah è diretto per tutti i

“sottomessi”. La conversione non prevedeva una cerimonia particolare, ma per essere ritenuto

musulmano il fedele doveva recitare la shahada “professione di fede” davanti a due testimoni.

La shahada è solo uno dei 5 PILASTRI o ARCANI DELL’ISLAM, quell’insieme di credenze e pratiche

da seguire per poter essere parte della umma, la comunità islamica.

I. Credere e recitare la shahada

II. Eseguire giornalmente la preghiera rituale in direzione della Mecca (salat)

III. Versare l’elemosina legale (zaka), cu

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Publisher
A.A. 2016-2017
29 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/01 Storia medievale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher donati_france di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia medievale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Gagliardi Isabella.