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FINANZA AZIENDALE 1° MODULO – LA CRISI
Nozioni
Per spread si intende il differenziale che c’è tra il rendimento del titolo di Stato più basso e quello di
un altro Stato.
Il saldo primario è la differenza tra le entrate e le spese della pubblica amministrazione, al lordo
degli interessi passivi. Il saldo primario può evidenziare un avanzo primario o un disavanzo
primario.
Inserendo nel calcolo anche gli interessi si ottiene il saldo, che può essere in avanzo o in
disavanzo.
Le norme europee che indicano i limiti e le modalità che devono essere rispettate per tenere sotto
controllo il debito sono six pack and fiscal compact.
I due indici più influenti sono:
• Il rapporto debito/Pil, che deve essere minore o uguale al 60%;
• Il rapporto deficit/Pil, che deve essere minore di 3%.
In Italia i rapporti sono rispettivamente di 133% e di 2,3%. Nonostante il secondo sia buono, il
primo attesta che l’Italia è uno degli Stati con il più alto rapporto debito/pil al mondo e secondo in
Europa.
All’interno dell’Unione Europea, 16 su 28 Stati non rispettano almeno uno dei due limiti.
Queste grandezze sono all’attenzione della politica economica, che cerca di bilanciare la necessità
di spesa con quella di risparmio. In particolare la politica economia si suddivide in politica fiscale e
politica monetaria.
La politica fiscale, unica sulla quale i singoli Stati possono agire, in termini generali può essere
intesa come le scelte in merito al sistema di imposte e tasse da adottare per finanziare la spesa
pubblica. Nella prassi italiana si parla di Legge di Stabilità.
La politica monetaria con l’ingresso in Europa è stata sacrificata e ora è di competenza della
Banca Centrale Europea. Storia della Crisi
Parte 1 – La nascita della crisi
Nei primi anni del 2000 gli Stati Uniti si trovano in un periodo di crisi dei mercati finanziari. Le
motivazioni sono diverse, tra le quali: la bolla delle dot-com e la crisi delle compagnie aeree
(dovuta soprattutto all’attacco terroristico alle Twin Towers).
La Federal Reserve System (FED), la Banca Centrale degli USA, per incentivare la ripresa decide
di abbassare i tassi di interesse. Questo comporta la riduzione del costo della moneta e, di
conseguenza, stimola gli investimenti.
La prima mossa delle famiglie è accendere mutui per l’acquisto della prima casa. La forte crescita
registrata in questo mercato fa sì che il valore delle case inizia a crescere.
Le banche vedono in questo settore un grande investimento e espandono il più possibile la
concessione di credito, arrivando a prestare denaro a soggetti con un basso merito creditizio forti
delle ipoteche ottenute sulle case che, nel mentre, continuavano ad aumentare di valore.
Per stimolare la contrazione di mutui ai meno abbienti, le banche iniziano a concedere mutui di
importo superiore al valore delle case, in modo che i nuovi proprietari possano sostenere le spese
per l’arredamento e le ulteriori spese ordinarie.
A questo punto le banche danno l’avvio al meccanismo che tramuterà la futura crisi in crisi
mondiale: vengono create le Special Purpose Vehicle (SPV), ovvero gli intermediari che procedono
alla cartolarizzazione dei titoli.
Il meccanismo prevede che i mutui concessi dalle banche vengano venduti alle SPV che, per
pagare il valore attuale dei mutui acquistati, procedono, cartolarizzando i mutui ricevuti, alla
creazione e vendita delle obbligazioni ABS. La Asset-backed security è un particolare tipo di
obbligazione garantita dagli attivi sottostanti.
Il mercato in cui vengono vendute queste ABS è formato da intermediari mossi da diversi interessi
e, ovviamente, da altre SPV. Queste ultime acquistano le ABS e, dopo averle unite ad altre, creano
un CDO (Collateralized debt obligation). I titoli in questione sono reputati la base della crisi, perché
il loro scopo è aumentare il merito creditizio di obbligazioni con un profilo di rischio elevato.
Questo meccanismo è proseguito negli anni a seguire.
Non bisogna dimenticare che, nonostante tutti i vari passaggi, il CDO si regge sulla solvibilità dei
mutuatari originari che, tuttavia, erano caratterizzati da profili rischio molto alti. Una buona parte
risulterà alla fine inadempiente.
Dal 2003 al 2006 si assiste ad un aumento dei tassi di interesse. Gli oneri finanziari sui mutui
iniziano a farsi ingenti e, partendo dai mutuatari con più alto profilo di rischio, iniziano le prime
insolvenze. Le banche sono tuttavia coperte dalle ipoteche poste sulle case.
Nel momento in cui aumentano i soggetti che non pagano le rate dei mutui, le banche si trovano a
dover vendere case in un mercato con eccesso di offerta, il che porta ad una riduzione drastica dei
prezzi degli immobili.
I titoli, che già stanno vacillando, diventano titoli tossici e vengono prontamente svalutati.
La motivazione è ovvia: i CDO sottostanno all’andamento dei mutui e questi non vengono ripagati.
La crisi è quindi chiamata “crisi dei mutui sub-prime”, perché deriva dalla concessione di mutui a
soggetti sotto l’ottimo creditizio.
Un ulteriore aspetto che ha aggravato la crisi è stato il conflitto di interessi tra le società di rating e
le banche. Le principali agenzie di rating sono partecipate dalle più grandi banche di investimento.
Le società di rating per funzionare hanno necessario bisogno di fondi, i quali provengono dagli
istituti che emettono i titoli che poi dovranno essere valutari. Questa situazione è ovviamente
inaccettabile, perché mette l’emittente di un titolo al comando del soggetto che lo giudica.
Successivamente saranno fatte importanti riforme in merito.
La crisi finanziaria si trasmette all’economia reale nel momento in cui si svalutano i titoli.
Le banche, le SPV e molti intermediari finanziari si trovano a detenere titoli che non valgono più
niente. Il mercato recepisce le informazioni in modo rapido, erodendo i loro patrimoni dall’oggi al
domani.
Le banche hanno necessità di ricapitalizzarsi, le SPV in crisi di liquidità hanno necessità di prestiti
e le imprese hanno necessità di finanziamenti per i propri investimenti. Le banche mandano in
cortocircuito il sistema, dando il via al nascere del problema relativo al credit crunch.
Dal lato dell’offerta, le banche a corto di liquidità aumentano i tassi di interesse sui prestiti.
Dal lato della domanda, le imprese riducono gli investimenti vedendo un futuro incerto e alti tassi di
interesse. Inoltre, le imprese dipendenti dal sistema bancario si trovano in difficoltà e falliscono.
Il perdurare dello stato di crisi dell’economia reale e il credit crunch avviano una spirale che si
autoalimenta.
In conclusione, i motivi principali che hanno generato la crisi sono:
• la cartolarizzazione patologica;
• l’aumento dei tassi di interesse tra il 2003 e il 2006;
• l’alto tasso di insolvenza dei mutui statunitensi;
• il conflitto di interessi tra società di rating e banche.
Parte 2 – La ripercussione sui debiti sovrani
Tra il 2007 e il 2008 la crisi giunge in Europa e si ripercuote soprattutto sui debiti sovrani. I paesi
più colpiti, ricompresi nell’acronimo PIIGS, sono Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna.
La prima a soffrire è stata la Grecia, che manifesta problemi di debito tra la fine del 2009 e l’inizio
del 2010. Si trova in una situazione in cui il saldo primario è negativo e, per sostenere la spesa
pubblica, opera in deficit. L’emissione di debito fa aumentare il rendimento dei titoli e questo,
facendo aumentare gli interessi, aggrava ancora di più il saldo. Si inizia ad avvertire il rischio
default.
Il possibile default della Grecia crea un effetto contagio. La trasmissione parte dalla svalutazione
dei titoli greci. I creditori erano ovviamente altri grandi investitori, tra i quali gli Stati dell’Unione
Europea. Questo aggrava ancora di più gli Stati che già avevano problemi di debito, i PIIGS.
Si inizia a pensare alle possibili soluzioni per risolvere questo scenario disastroso e il punto di
partenza stabilito è stato salvaguardare le banche.
La banca svolge un ruolo fondamentale e, in Italia, anche garantito dalla Costituzione: il risparmio.
Il fallimento della banca, erodendo i risparmi, crea fallimenti a catena.
Inoltre, soprattutto in un momento di crisi, è necessario che le banche effettuino finanziamenti alle
imprese, che sono le uniche a poter invertire la rotta. La spirale è infatti alimentata dalla mancata
crescita, che riduce il reddito prodotto e, di conseguenza, le entrate fiscali. La riduzione del PIL fa
poi aumentare i rapporti deficit/PIL e debito/PIL che spinge in alto il rendimento richiesto sui titoli di
debito pubblico emessi. Si arriva dunque ad un aumento del debito dello Stato.
Riguardo l’Italia, studiando la situazione precedente alla crisi, è possibile notare come l’avanzo
primario, nonostante un debito elevatissimo, fosse il più elevato d’Europa.
Questa situazione ha richiamato l’attenzione degli investitori. Era possibile investire in titoli di Stato
di un paese solido, in quanto genera molto reddito, ad un buon tasso di rendimento.
L’Italia diventa quindi bersaglio di attacchi speculativi e, di asta in asta, è costretta ad offrire
rendimenti sempre più elevati per piazzare i titoli emessi. Inoltre, sui titoli già in circolazione il
prezzo si adegua verso il basso, scontando la richiesta di un rendimento maggiore per la
negoziazione.
Entrando nello specifico sul profilo del rendimento è necessario sottolineare che, oltre ai giudizi
delle agenzie di rating, in questo caso, è importante tenere in considerazione chi sono i
sottoscrittori. I titoli di Stato sono in larga parte detenuti da grandi investitori che, vista la
disponibilità economica, possono influire sul tasso di rendimento. Infatti, asta dei titoli di Stato sono
questi ultimi che comprano parte rilevante dei titoli e, la loro assenza, comporta l’impossibilità di
piazzare tutti i titoli. Conseguenza evidente è che l’asta successiva dovrà proporre gli stessi titoli
con rendimenti congrui alle attese degli investitori istituzionali.
L’Italia, vittima di questo attacco speculativo, tenta di rimediare incitando i cittadini all’acquisto del
debito sovrano, in modo tale da ridurre il costo sopportato.
L’Italia rimane bersaglio di speculazioni fino a metà del 2012, momento in cui l’Unione Europea
mette in atto le prime politiche a sostegno dei paesi membri.
Il motivo del ritardo degli interventi è da attribuire al conflitto sorto tra gli Stati interventisti
(principalmente quelli sul mediterraneo e a tratti la Francia) e gli Stati (Olanda, Germania e
Finl