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Strategie Organizzative e Competitive
- Approcci teorici:
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Paradigma microeconomico neoclassico, i contributi nello sviluppo di tale teoria provengono da Marshall e Pigou essa si basa su logiche di ottimizzazione dei mercati che seguono le linee guida di massimizzazione di profitti per le imprese e di massimizzazione di utilità per i consumatori; inoltre si basa sullo studio dei due modelli di mercato principali di monopolio e concorrenza perfetta. Limite di questa teoria è dato dal fatto che in tale visione le imprese possono solo scegliere quanto produrre e i relativi prezzi, inoltre vi è assenza di competitività.
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Paradigma strutturalista, principale studioso di tale concezione fu Bain che sviluppò tale teoria basandosi sulla struttura di settore e individuando nella sua concentrazione (formata da concentrazione dei produttori, differenziazione dei prodotti e limiti all’entrata) elementi di influenza sulla performance complessiva aziendale. In tale teoria a differenza della precedente si fa luogo anche all’economia di oligopolio e alle pratiche competitive di limitazione della quantità e fissazione dei prezzi.
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Paradigma strategico, in tale ottica si ha un orientamento verso il comportamento strategico delle imprese che porta ad implicare delle scelte progettuali per il raggiungimento del vantaggio competitivo. Lo studio dell’impresa quindi diviene più importante di quello del settore in quanto risulta essere più adatto a spiegare l’evoluzione del mercato. In tale ottica sono presenti 3 diversi filoni riconducibili a: Porter, approccio di management strategico con lo sviluppo del modello di concorrenza allargata; Shapiro, approccio a teoria dei giochi (in cui giocate erazionale deve svolgere una propria azione tenendo conto della risposta del rivale); Ansoff approccio di business economic, in cui assumono rilevo le decisioni in merito allo sviluppo strategico orientate dalla ricerca di massimizzazione del profitto ma ad una maggiore collaborazione.
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Paradigma istituzionale e organizzativo, tale modello cerca di comprendere perché le aziende adottino approcci strategici diversi tramite uno studio interno dal punto di vista organizzativo e istituzionale. Si ha l’emergere del concetto di efficienza organizzativa e di integrazione con una maggiore concentrazione nei processi interni all’azienda. Questa si caratterizza dal contesto istituzionale in cui è collocata (paesi sviluppati o economie di sussistenza), dal diverso assetto di governo e da diversi soggetti aventi ruoli e obiettivi diversi (stakeholder, management e proprietari). In tale ottica quindi si comprende l’impossibilità di fissare obiettivi di massimizzazione individuali in quanto l’influenza degli elementi esterni ed interni porta l’organizzazione a creare degli obiettivi di tipo condiviso che possano soddisfare tutti i vari attori.
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Paradigma evoluzionistico, esso basa il suo focus sulla dinamica dei fattori, sui processi decisionali, sull’innovazione e sul cambiamento e infine sulla varietà degli attori. Principale studioso è Shumpeter che sviluppa il concetto di innovazione come “distruzione creatrice”; si sviluppano due filoni distinti il primo basato sull’evoluzionismo selettivo darwiniano- spenceriano che analizza il mercato come il luogo del conflitto selettivo in cui solo l’azienda migliore può sopravvivere e il secondo del modello basato su concezioni lamarckiane in cui l’organizzazione nasce da un processo di sedimentazione di conoscenza.
L’oggetto della concorrenza
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Per prima cosa si passa ad identificare il settore come l’ambiente in cui è presente un’offerta simile a quella erogata dall’impresa sia fisicamente, con prodotti offerti che risultano essere tipo omogeneo, e sia “psicologicamente” con la medesima soddisfazione di bisogni richiesti dai consumatori , o ancora con l’uso di medesimi fattori produttivi. Il problema tuttavia si pone per quanto riguarda la definizione dei confini di un settore la quale è sicuramente difficile e soggettiva in quanto sia la valutazione, che concerne quindi un’ampia gamma di diversificazioni, della sostituibilità dei prodotti e della diretta competizione fra le aziende che li
offrono (differenziazione). Possiamo quindi affermare che la sostituibilità del prodotto è un'elemento essenziale per quanto riguarda la delimitazione dei limiti settoriali in quanto identifica la capacità di "mutamento" dell'offerta o domanda di mercato:
- La sostituibilità dal lato della domanda identifica la disponibilità dei consumatori a sostituire i beni con altri uguali o simili. Lo strumento principale per la misurazione del grado di sostituibilità è l'elasticità incrociata della domanda al prezzo, in cui ogni prodotto occupa una posizione su una scala la quale è costruita in modo che siano vicini tra loro quei prodotti per i quali è più elevata l'elasticità di sostituzione; maggiore è vicina la distanza tra questi prodotti e maggiore è la sostituibilità inversamente per cui si allontana dalla scala è meno sensibile sarà la sostituibilità. Tale strumento può essere utilizzato nel momento in cui vi sono le condizioni di assenza di switch costs, presenza di molte informazioni e anche tempi temporali brevi e i risultati sono strettamente connessi alle scelte metodologiche compiute. Nel lungo periodo tale strumento non è molto utilizzato in quanto risente di molte condizioni come l'ingresso di nuove tecnologie, i cambiamenti negli atteggiamenti di acquisto dei consumatori e i potenziali nuovi processi di regolamentazione. Tale criterio viene preferito in quanto esso registra il comportamento effettivo del consumatore e non un comportamento ipotetico o intenzionale dell'impresa.
- Dal lato dell'offerta identifica la capacità dei produttori di spostare la propria offerta su altri settori, anche il tal caso viene utilizzato lo strumento dell'elasticità incrociata dell'offerta la quale però esprime una concorrenza potenziale, in quanto si basa sulla sovranità dell'impresa del poter scegliere su quale mercato competere.
Il settore è solo una porzione del sistema competitivo infatti ci sono molte altre forze esogene ad esso che esercitano una pressione concorrenziale sulle imprese. La competitività non è solo un'azione che si manifesta all'interno dell'impresa ma bensì è un obiettivo che può essere raggiunto solo tramite una ottimale cooperazione dell'intera catena del valore orientata verso il raggiungimento di un obiettivo comune. A tal punto quindi si inserisce il modello di Porter della concorrenza allargata (o delle 5 forze della concorrenza) che cerca di identificare gli attori che influiscono sulla competitività complessiva d'impresa: concorrenti diretti, potenziali entranti, produttori di prodotti sostitutivi, fornitori e clienti; si ha inoltre il modello della swot analysis che evidenzia punti di forza e di debolezza dell'impresa. I managers però necessitano di modelli di analisi della concorrenza molto più specifici e prossimi alle caratteristiche della loro impresa e quindi si passa dall'analisi del settore all'analisi interna al settore focalizzata sulla concorrenza (raggruppamenti strategici): si restringe e focalizza il campo di analisi della concorrenza alle caratteristiche firme specifici, e inoltre all'interno di un raggruppamento strategico i confini sono dettati dalle barriere alla mobilità che sono il corrispondente delle barriere all'ingresso per il settore.
Possiamo quindi identificare un raggruppamento strategico come un’insieme di imprese che perseguono all'interno di un settore strategie simili, al suo interno la concorrenza varia a seconda del grado di concentrazione, della presenza di raggruppamenti e delle barriere di mobilità. Lo strumento utilizzato per verificare la presenza di tali raggruppamenti è l'approccio cognitivo: secondo ciò i raggruppamenti sono realtà sociali che vengono ad essere create da manager e imprenditori per raggruppare i concorrenti in modo simile; tale approccio identifica i raggruppamenti marginali, analizza i percorsi strategici perseguiti dalle singole imprese, individua le barriere alla mobilità nel passaggio tra i vari raggruppamenti strategici, analizza la varietà strategica delle imprese e spiega i diversi livelli di profittabilità esistenti all'interno di un settore. Tutti i strumenti fin’ora analizzati però hanno dei limiti ovvero non tengono conto del ruolo strategico di settori complementari e del valore di cooperazione, alleanze, joint venture e delle innovazioni di tipo trasversale.