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Atene nella lego delio-attica e ai tributi degli alleati, tributi in denaro che per un verso furono usati
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liberamente da Atene secondo il principio che in cambio del denaro gli Ateniesi garantivano la difesa
comune . Ancora nel 590 a.C. nella piana di Maratona, Atene affida le sorti della sua indipendenza ad
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un contingente di circa diecimila opliti, quasi tutti i cittadini della giovane democrazia in grado di
armarsi, che da soli riusciranno a fermare le truppe scelte persiane tre o quattro volte superiori per
numero. Una città in armi e un esercito di popolo che schierava sul fronte di combattimento dieci
battaglioni, ognuno arruolato dalla rispettiva tribù, secondo quanto prevedevano le metabolai di
Clistene, che aveva ridefinito circa quindici anni prima il piano amministrativo e politico della nuova
democrazia ateniese. Al centro dello schieramento si trovavano gli opliti della tribù Antiochis, guidati da
Aristide il Giusto, al loro fianco quelli della Leontis, guidati da Temistocle, figlio di Lisimaco. Essi
avrebbero dovuto sostenere l’urto del centro dello schieramento persiano dove, secondo l’uso,
combattevano le truppe migliori, Persiani e Saci . Il centro, schierato su sole quattro file di combattenti
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per allungare lo schieramento ateniese, resistette seppure a fatica il tempo necessario alle due ali dello
schieramento ateniese per avere la meglio sulle truppe imperiali a loro contrapposte e quando iniziò il
contrattacco guidato da Aristide e Temistocle, contemporaneamente alla manovra avvolgente delle due
ali, la battaglia vide l’inizio della fine. Ne presero atto gli stessi Persiani che iniziarono a ritirarsi verso
le navi e sulla spiaggia si svolsero le ultime fasi del combattimento in cui morì il polemarco Callimaco.
Erodoto accenna solo alla breve battaglia tra gli Ateniesi ed i Persiani in fuga mentre cercano di
imbarcarsi sulle navi, che riescono quasi tutte a salpare salvo sette catturate. Lo storico di Alicarnasso
racconta poi che la flotta imperiale doppiò il capo Sunio per cercare di arrivare ad Atene prima dei
vincitori di Maratona ed attaccare una città quasi indifesa, progetto che, com’è noto, fallì. I Persiani
furono perciò costretti a far vela verso oriente, ad abbandonare la Grecia.
Erodoto né altre fonti dell’epoca tirano mai in ballo la flotta ateniese che non ha nessun ruolo
nell’intercettare il corpo di spedizione persiano, né tantomeno nel contrastare il tentativo di attacco ad
Atene portato dalla flotta persiana dopo la battaglia a Maratona. Della flotta ateniese non c’è traccia in
questi anni perché una tale marina militare ateniese non esisteva. Fu in parte il caso ed in parte la
preveggenza di Temistocle e di molti che la condivisero ad assicurare agli Ateniesi la nuova flotta, che
nel 480 a.C. costituì circa la metà del contingente greco che fermò la terza e più insidiosa invasione
della Grecia, portata per via di terra e di mare da un corpo di spedizione mai prima messo insieme e
guidato, secondo il costume persiano, dal Gran Re in persona, da Serse figlio di Dario. Lo schieramento
greco a Salamina contava 386 triremi secondo Erodoto, circa 180 erano ateniesi. Ogni trireme era
composta da un equipaggio di circa duecento persone che a suo modo, seppure con un certo squilibrio
verso il basso, verso la quarta classe di reddito, rappresentava la città nel suo insieme: comandante,
pilota, marinai, fanti di marina e, sottocoperta , i rematori, “il popolo che fa muovere le navi” a cui
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allude l’Anonimo Oligarca. Sono centosettanta i rematori di una trireme, complessivamente trentamila e
seicento quelli della sola città di Atene, se ci atteniamo alle cifre riportate da Erodoto sulla presenza
ateniese a Salamina. Non tutti erano teti, c’era anche una componente di meteci, stranieri residenti; La
trireme vittoriosa è quella che manovra meglio, quella più veloce ed audace, capace di evitare di essere
speronata e, a sua volta, di speronare, in considerazione del fatto che le due principali tattiche di
combattimento navale, spesso integrate, il diekplous e il periplous, miravano a creare le condizioni per
speronare con successo la nave nemica.
E’ quanto successe a Salamina dove, si disse in seguito, i rematori salvarono la Grecia. Per questo,
Salamina divenne il simbolo della vittoria del popolo e della democrazia.
politike techne e nautike techne
Popolo e flotta:
“E’ il popolo che fa muovere le navi e conferisce forza alla città” leggiamo nelle prime battute
dell’Athenaion Politeia e più avanti si sostiene che gli Ateniesi imparano a manovrare i remi e a
navigare in poco tempo come fosse una vocazione naturale.
L’Anonimo Oligarca sembra considerare la democrazia come l’espressione politica della talassocrazia
ateniese che si manifesta attraverso il dominio commerciale e militare sul mare: poiché alla base della
talassocrazia, cioè della potenza e della ricchezza della città, c’è soprattutto l’elemento popolare, è
naturale che il demos crei un sistema politico funzionale alle sue caratteristiche ed ai suoi interessi.
Tanto alla base della democrazia come della talassocrazia, c’è la padronanza di una techne: la politike
techne e la nautike techne. Con techne i greci intendono la padronanza di una disciplina che si
acquisisce con la conoscenza, lo studio e l’esperienza. Il discorso sull’arte politica attraversa, ad
esempio, buona parte della riflessione platonica, a partire dalla questione principale della sua
insegnabilità, alla quale nel corso del tempo il Filosofo risponde non sempre alla stessa maniera .
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L’opera che verte essenzialmente sul tema dell’insegnabilità o meno dell’arte politica è il Protagora, ma
è un tema centrale anche nel Menone che inizia con una domanda che il giovane protagonista del
dialogo, seguace di Gorgia, pone a Socrate: “è insegnabile la virtù?”, definita come l’ “essere capace di
svolgere attività politica”.
L’anonimo Oligarca parte dal presupposto, come tutti i conservatori, che un popolo di marinai e di gente
dappoco ha usurpato il diritto al governo della città che spetterebbe ai “migliori”, termine con il quale
sembrerebbe alludere tanto alla vecchia aristocrazia degli eupatridi che ai nuovi ricchi, spesso divenuti
tali grazie allo sviluppo economico che la nuova democrazia aveva assicurato alla capitale dell’Attica.
Critica che però urta in modo evidente con i dati di fatto attestati dalla realtà che vedeva una città ricca e
potente proprio grazie a quel “popolo che fa muovere le navi”, alla sua abilità, alle sue competenze, alla
sua determinazione e alla sua cultura.
Il dominio del mare è possibile perché il popolo di Atene padroneggia la nautike techne, in quanto ha
tutte le caratteristiche necessarie per acquisire una competenza tecnica ed, in particolare, l’arte nautica:
vocazione naturale, come sembra riconoscere lo stesso Anonimo Oligarca , esercizio, esperienza,
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costanza e dedizione completa.
La tecnica inoltre richiede continue innovazioni e sembra quasi riflettere il carattere degli Ateniesi
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“innovatori e rapidi a far progetti e a compiere le loro decisioni” .
La scelta che gli Ateniesi fanno, su consiglio di Temistocle, di dotarsi di una nuova flotta da guerra,
consistente ed operativa, che permise loro di mettere in mare quasi duecento triremi a Salamina,
significò anche un cambiamento di strategia militare e politica: puntare sul dominio del mare per
garantire ad Atene la sua difesa ed il suo primato nell’Ellade. Cittadino diviene sinonimo di marinaio da
quando i cittadini hanno abbandonato Atene alla cavalleria di Mardonio e sono saliti sulle navi che
offrono loro una nuova città ed una nuova difesa, attraverso “il muro di legno” evocato dall’oracolo
delfico. Marinaio diviene sinonimo di polites, la flotta di città. I marinai vincendo a Salamina hanno
salvato la flotta e riconquistato la città. La flotta permette di utilizzare i teti che non erano stati
incorporati nella falange oplitica a Maratona e di riconoscere il loro ruolo militare e, pertanto, sociale.
Aristofane definisce i rematori “la salvezza della città” e in più occasioni evoca la connessione tra
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cittadinanza e arte nautica, come quando equipara giudici e rematori o le dita delle mani che
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applaudono nell’assemblea alle pale dei remi .
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Per più versi è possibile avanzare una similitudine ed un parallelismo tra la città e la flotta, come tra i
cittadini ed i marinai. La flotta come la città offre riparo e difesa, riunisce le varie componenti della
cittadinanza, offre loro la possibilità di difendersi e allo stesso tempo attaccare. Quando il corinzio
Adimanto alla vigilia della battaglia di Salamina intima a Temistocle di tacere in quanto è un uomo e
rappresenta uomini che non hanno una città, il personaggio che trasformò gli Ateniesi da “immobili
opliti” facendone “navigatori e marinai” rispose ad Adimanto che Atene sarebbe esistita attraverso la
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sua flotta ed i suoi marinai, fino a quando sarebbe stata capace di esprimere una potenza a cui nessuno
in Grecia avrebbe potuto e saputo opporsi.
Allo stesso tempo la flotta e ogni trireme rappresenta quasi integralmente la composizione sociale del
popolo di Atene, con una strutturazione verticale e gerarchica che partiva del basso, dall’ultima fila dei
rematori talamiti, i più poveri tra i teti, nella sezione più angusta, più scomoda ed in ombra della trireme,
poi a salire con la fila mediana dei zigianti e dei traniti in una posizione privilegiata, i soli che si
trovavano alla luce del sole, che vedevano il mare e l’orizzonte. Poi c’è un timoniere, una vedetta,
uomini di prua, un keleustes, che dà il tempo ai rematori, una decina di marinai e altrettanti epistatai,
fanti imbarcati, circa una decina, utili nel corpo a corpo quando lo scontro navale si trasformava in uno
scontro sulle triremi. Fino al trierarca che ha dovuto costruire il vascello da guerra, attraverso una
elargizione, una liturgia a cui erano tenuti i più ricchi, e poi provvedere al suo costoso mantenimento. Il
trierarca, di regola, era anche il comandante della trireme, almeno formalmente , perchè la trierarchia,
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come ogni liturgia, era un onere ma anche un riconoscimento onorifico, che si assegnava in base al
reddito, non certo per le competenze del prescelto . Sulla trireme ritroviamo, in scala, le componenti
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sociali della città, quanti appartengono alle quattro classi di censo, dal trierarca al talamite , ma pure i
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meteci, arruolati nell’esercito come nella flotta e, in certi momenti di p