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CAPITOLO 2 - IL LATINO: UNA LINGUA IN CERCA DI COMUNITà

Come abbiamo visto alcuni contestano l’uso del latino in chiesa e nei tribunali perché escludeva la

maggioranza della popolazione dalla “comunità d’interpretazione”. Sia in epoca medievale sia ai tempi della

prima modernità, il latino offre un classico esempio di “diglossia”, in quanto era considerato appropriato

usare questa lingua in alcune situazioni e domini.

Nel IX secolo il latino era diventato una lingua senza parlanti nativi. Per questa ragione, il latino

postulassimo è stato definito una lingua “senza popolo” o “senza comunità linguistica”. In realtà sarebbe

meglio parlare del latino come di una lingua senza comunità. Il latino post classico esemplifica l’uso della

lingua come strumento di coesione di un gruppo. In questo caso, le persone accumunate dall’uso del latino

formavano una comunità di idee o una comunità immaginata di portata internazionale. In età moderna il

latino era espressione e contribuiva alla coesione, di due comunità internazionali in particolare: la chiesa

cattolica e la repubblica delle lettere.

Prima di volgere l’attenzione a queste due comunità, è forse utile dire qualcosa su altri 4 gruppi che usavano

il latino e per i quali questa lingua può aver fatto da collante: giuristi, funzionari, diplomatici e viaggiatori.

All’inizio dell’età moderna il latino era utilizzato da avvocati e notai in molte parti d’Europa. Per gli

avvocati l’importanza del latino era correlata al rilievo che il diritto romano aveva in molti parti d’Europa.

quanti ai notai alla fine del Medioevo esistevano corsi speciali di latino a loro beneficio. Esistono migliaia di

documenti che testimoniano l’importanza di questa lingua soprattuto nelle parti formulari. In secondo luogo

il latino, nell'Europa dell’età moderna, era anche la lingua della giustizia e dell’amministrazione anche se

stava via via perdendo la sua importanza.

Fu sopratutto nell’impero asburgico che il latino rimase importante in campo burocratico. Nel 600 i

funzionari della Camera imperiale di Vienna, responsabili delle finanze dell’impero, corrispondevano in

latino con i loro omologhi di Bratislava.In un impero plurilingue una lingua morta offriva il vantaggio di

essere politicamente neutra e di fungere da lingua franca, tale da consentire ai parlanti di tutte le lingue

(tedesca, ungherese, ceca, croata..) di comunicare in condizioni di parità purché godessero del beneficio di

una formazione classica.

In terzo luogo il latino era la lingua della diplomazia ed un esempio lo abbiamo nel documento con cui la

regina Elisabetta denunciava l’insolentem audaciam dell’ambasciatore polacco.Il latino spicca per la sua

assenza tra le lingue attribuite all’imperatore Carlo V, ma un ambasciatore inglese testimoniò che, pur se

“non ha piacere a parlare latino”, l’imperatore era in grado di capirlo. Per gli ambasciatori era obbligatorio

saper parlare un minimo di latino. Questa situazione rendeva però complicate le comunicazioni con la

Moscovia e l’impero ottomano , che non erano affatto padroni della lingua.

L’uso del latino in ambito diplomatico presentava diversi vantaggi: da una parte era ben conosciuto dagli

esponenti dell’élite; in secondo luogo godeva di grande prestigio ed infine era neutrale rispetto alle lingue

allora in competizione per l’egemonia culturale vale a dire l’italiano, lo spagnolo ed il francese.Il latino

conservò la sia importanza nelle relazioni internazionali per gran parte del 600 a dispetto della leggenda

seconda la quale il francese sarebbe divenuto la lingua della diplomazia sotto il regno di Luigi XIV. Ancora

nel 700 il latino continuò a essere in uso come lingua scritta per

esempio nella stesura di trattati internazionali. Solo attraverso un processo lento, infatti, il francese divenne

ciò che era destinato a rimanere fino a metà del Novecento ovvero la lingua diplomatica par excellence.

Anche i viaggiatori facevano spesso ricorso al latino come lingua franca, in particolari in territori come la

Polonia e l’Ungheria che venivano spesso descritti come territori in cui la conoscenza della lingua classica

era notevolmente diffusa.

Anche i soldati, altro gruppo nomade, sapevano un po’ di latino sebbene non sapessero coniugare o declinare

i verbi alla perfezione, mentre uno studioso ungherese ha osservato che i "processi penali del Settecento

serbano spesso traccia del fatto che la gente comune parlava latino”. Com’è ovvio queste persone cadevano

in errore ed è più verosimile che in questa parte del mondo latino parlato si fosse trasformato in una sorta di

pigdin. Come nei pigdin recenti, le desinenze erano probabilmente scomparse e i verbi si erano ridotti alle

forme dell’infinito: il cosiddetto latino dei viaggiatori privo di fronzoli e di molte risorse della lingua.

La conoscenza del latino era preziosa anche fuori Europa come venne riscontrato in Brasile nel 700 dove fu

utilizzato dall’inglese Barrow per comunicare con un frate a Rio. Era un vantaggio che derivava dal fatto che

il latino era la lingua ufficiale, insegnata nelle scuole e nei seminari in Brasile, Perù e Messimo. furono

Tlatelolco collegio di Santa Cruz.

istituite scuole di latino a Città del Messico e a fu costruito nel 1536 il

Qui i ragazzi indi studiavano il latino e lo spagnolo. Quando il collegio di Tlatelolco cessò di esistere il latino

continuò a essere la lingua dell’istruzione nelle università del Messico e di Lima.

In Giappone il latino fu introdotto dai missionari gesuiti insieme alla dottrina cristiana. Alla fine del 500 nei

collegi gesuiti fondati da Azuchi e Prima i ragazzi studiavano il latino su edizioni di classici come Cicerone,

stampate in loco. Ma il latino non sopravvisse alla messa al bando della religione cristiana e alla “chiusura”

del paese nel 1639. Nell’attuale Giacarta (ex regione di Batavia) la situazione di ascesa e declino fu analoga.

Il latino in chiesa: la funzione del latino come lingua della chiesa è ben nota, ma non è facile fornire una

descrizione esatta del ruolo che esso svolgeva nella pratica.Il latino era generalmente la lingua della liturgia

cattolica e questa fu la sua situazione per circa 16 secoli fino agli anni Sessanta del Novecento. Il dominio

del latino fu messo in discussione all’inizio del Cinquecento ma poi venne riaffermato da un decreto del

Concilio di Trento nel 1562 fino al 1965, sebbene ad alcune minoranze fossero consentite liturgie in altre

lingue (come agli “uniati” in Ucraina e nei Balcani dove nel Sei - Settecento per scopi liturgici veniva usato

anche il greco). Fil siriaco, l’arabo ed il georgiano erano invece in uso in alcune parti del mondo cattolico

seicentesco, mentre papa Paolo V consentì che in Cina per la messa venisse utilizzato il mandarino.L’uso del

latino nella liturgia in un’area così vasta, in presenza di lingue locali così diverse, contribuiva a creare un

senso di distanza dalla vita quotidiana e un’impressione di universalità. E incoraggiava anche un senso della

tradizione, che potrebbe essere definito come appartenenza a una comunità che includeva i morti ed i vivi.La

riforma protestante portò a una drastica riduzione del territorio latino.questo portò a conseguenze positive

(che vedremo poi) e negative tra cui la perdita del senso si universalità. Questa perdita era proprio ciò che

volevano alcuni riformatori: usare l’idioma quotidiano era infatti un modo per desacralizzare gli uffici

religiosi, di ridurre la distanza tra ambito religioso e vita normale. Altri riformatori invece, come

l’arcivescovo di Canterbury, preferivano la lingua locale per ragioni pratiche ma ne adottarono una forma

che potesse stare al passo con la dignità del latino grazie all’uso di forme arcaiche.Il latino era anche la

lingua del clero, almeno per quanto riguarda i doveri d’ufficio del clero. Era la lingua della res publica

clericorum e la lingua sacerdotum. Dal punto di vista del clero, almeno nel Medioevo, esistevano due

culture: quella del clero, dei literati che conoscevano il latino, e quella dei laici, del vulgus e degli illeterati,

che non lo conoscevano. In questo senso il latino creava una comunità includendo certi individui ed

escludendone altri. Nella pratica questo modello non fu mai del tutto preciso e prese a funzionare sempre

meno bene con il passare del tempo. I laici che studiavano il latino divennero via via più numerosi,

includendo alcune donne, fra cui erudite del rinascimento.Tuttavia parte rilevante del clero parrocchiale non

conosceva la lingua nel 400 in Italia ed è probabile che il clero italiano non fosse isolato nella sua ignoranza.

La consapevolezza di questo problema fu una delle ragioni che alla fine del 500 indussero a fondare seminari

in cui i futuri

parroci potessero apprendere il latino. Nel caso degli incontri del clero spesso è difficile scoprire quale lingua

fosse usata (un problema analogo sorge con i sermoni in quanto sembra improbabile che tutti i sermoni

fossero tenuti in latino a un pubblico di gente comune ma è possibile che chi parlasse lingue romanze fosse

in grado di comprendere almeno un latino elementare, sopratutto se alternato a brani in volgare). Che fosse

bene o mal compreso, il latino lasciava tracce nella cultura e nell’idioma locale della gente comune, come è

stato dimostrato dallo studio di Beccaria che fa notare che in Italia, anche oggi, i dialetti sono colmi di latino

liturgico. Questa comprensione parziale del latino non significa che nessuno si sentisse o fosse escluso o che

nessuno si ribellasse contro il dominio del latino nella chiesa. Si diceva spesso che il clero si servisse del

latino proprio per tenere i laici a distanza e per relegarli nell’ignoranza.

Gli eretici rivendicavano il diritto di leggere la Bibbia in volgare e coloro che volevano leggerla da soli

venivano però bollati come eretici.I sostenitori del latino nella chiesa non si trovavano solo nelle file dei

cattolici, né i suoi oppositori erano tutti protestanti. Ad esempio Martin Lutero assunse una posizione

moderata, favorevole a conservare una liturgia in latino per il suo valore educativo e a crearne una in volgare

per quanti non conoscevano la lingua classica. Anni più tardi Erasmo lanciò il suo famoso appello in latino,

dal momento che si rivolgeva alla classe colta, a favore di una traduzione della Bibbia in volgare, affinché

potessero leggerla tutti. Ancora dopo il 1560, nelle ultime sessioni del Concilio di Trento, alcuni cardinali e

vescovi continuavano a perorare (in latino che era la lingua del concilio) l’uso dei volgari locali per la Bibbia

e la liturgia.

All’epoca era diffusa l’idea che il latino

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A.A. 2018-2019
161 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/02 Storia moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giorgia2808 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia moderna e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Di Nepi Serena.