Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
IL DIVARIO REGIONALE NEL MODELLO A STADI DI BONELLI E CAFAGNA:
Cafagna: odia la tesi che lui chiama rivendicativa, la tesi “piagnona” secondo cui il Sud ha
diritto a un risarcimento perché ha pagato il prezzo di un Nord divenuto ricco. Cafagna
nega la tesi di Romeo secondo la quale il Nord si sarebbe industrializzato a spese del
Sud: il sottosviluppo del Sud non ha permesso la crescita nazionale, semmai l’ha frenata.
Cafagna torna più volte sulla questione e usa argomenti che nel corso del tempo, non
sono sempre coerenti tra di loro. In un primo momento, afferma che il Sud era già
indietro ai tempi dell’Unità, il Nord aveva vantaggi ambientali, le risorse (acqua,
terra migliore); poi “se la prende” con Sereni dicendo che i meridionali erano poveri e
che quindi gli abitanti del Nord non si sarebbero arricchiti vendendo i prodotti al Sud;
dunque, il presunto allargamento del mercato conta poco. Poi sostiene al contrario che
in fondo all’Unità il Nord e il Sud avevano anche caratteristiche simili, entrambi
erano esportatori mondiali di prodotti primari (la seta nel caso del Nord, lo zolfo nel
caso del Sud). Poi, si chiede in sostanza Cafagna: se Sud e Nord erano simili
all’Unità perché hanno poi avuto destini cosi diversi?
In un secondo momento, dopo decenni Cafagna torna sul tema e “attacca” direttamente la
tesi rivendicativa e si appoggia al modello Bonelli-Cafagna, che come vedemmo a suo
tempo, è un modello a stadi, dicemmo a suo tempo che è in sostanza il modello di Romeo
“al rallentatore”. Questa è un’arma efficacissima: se uno infatti crede nel modello a stadi,
se uno crede (come Bonelli e Cafagna) che ci si industrializza dopo una lunghissima
accumulazione agraria, il risultato è che il divario regionale non può essere colpa dello
Stato perché all’Unità “i giochi erano fatti”; perché con questo modello si parte da metà
'700, lo Stato nazionale non può incidere sul divario regionale, si tratta di processi lenti che
vanno esaminati nel lunghissimo periodo
Romeo invece con i suoi “tempi corti”, poteva dire che il divario è questione post-unitaria.
Cafagna: la lunga accumulazione agraria è importante, e c’è stata soprattutto al Nord. Il
Nord arriva all’Unità già “pronto” per industrializzarsi l’accumulazione
(aveva già effettuato
agraria), non così nel caso del Sud. (Notate la contraddizione con il “primo Cafagna”). Il
Nord si industrializza non grazie allo Stato, si sviluppa grazie alla sua
accumulazione agraria di lungo periodo e grazie ai sui meriti imprenditoriali, alle
sue capacità manchesteriane (prendendo Manchester come archetipo dell’area che si
sviluppa perché ha imprenditori che sanno cogliere le occasioni, e non per l’aiuto dello
Stato). La conclusione a cui giunge Cafagna è che non si può attribuire il divario nord-sud
all'unificazione.
Cerchiamo di rispondere alla domanda che si pone Cafagna: se Sud e Nord erano simili
(non troppo diversi) all’Unità perchè hanno poi avuto destini così diversi? Il Cafagna
recente da di fatto 2 risposte:
1) il Nord e il Sud erano simili all’Unità (nel senso che entrambi esportavano prodotti
primari), ma il Nord era un pò più sviluppato, come “dimostrato” da Eckaus. Ma in un
mondo di rendimenti crescenti le differenze iniziali si esasperano.
IL DIVARIO REGIONALE TRA PASSATO E PRESENTE STORICO: IL MODELLO
CICLICO
2) è vero il Nord “parte avanti” ma più in generale aveva vantaggi radicali, profondi. Il Nord
ha più risorse naturali (acqua, cascate che danno forza motrice) umane (elevata
alfabetizzazione) sociali (si rispetta la legge). Il Nord aveva un maggior potenziale di
crescita, ma allora non importa il punto di partenza e il discorso dei rendimenti crescenti
perde di importanza. Secondo Cafagna dunque il Nord ha all’Unità un potenziale di
crescita che si è realizzato nel corso dei decenni ed è emerso con maggiore
evidenza il divario Nord-Sud.
Rimane in tale visione l’appello ai tempi lunghi, come già nel modello Bonelli-
Cafagna. Abbiamo più volte dubitato nel corso di tale visione (modello ciclico).
Notammo che la caratteristica del modello ciclico non è il ciclo (non è guardando ad un
grafico del PIL che si desume se si applica il modello ciclico oppure quello a stadi di
sviluppo), la caratteristica principale del modello ciclico è che le risorse sono mobili. Per
cui non serve la lunga accumulazione agraria. La visione cafagnana secondo cui esiste
un potenziale ma occorrono decenni per realizzarlo sembra discutibile. Sembra
preferibile la visione opposta, quella secondo la quale il potenziale si raggiunge
immediatamente. Lo stesso potenziale cambia nel tempo. All’Unità in Nord aveva
raggiunto il suo potenziale con le sue risorse e con la tecnologia del momento. Poi nel
tempo cambia il potenziale, ma si realizza sempre “subito.
Non tutte le risorse sono infatti mobili: le risorse immobili attirano quelle mobili. Per
esempio, la cascata (forza motrice) è immobile: uno deve portare lavoro in prossimità della
cascata e capitale e produrre “in loco”. Il potere di attrazione delle risorse locali
dipende dalla loro natura e dalla tecnologia del momento. In Italia, il maggior
sviluppo del Nord nel cinquantennio post-unitario non sarebbe dunque da
ricondurre al suo maggior potenziale iniziale, che avrebbe raggiunto subito e non in
mezzo secolo. Il Nord è cresciuto piuttosto, relativamente al Mezzogiorno, con la crescita
nel tempo del suo stesso potenziale, sempre “subito” realizzato: sarebbe cresciuto cioè nel
cinquantennio con l'evoluzione della tecnologia, e grazie al potere di attrazione delle
risorse locali. In conclusione, i vantaggi dell'ambiente settentrionale identificati da Cafagna
conserverebbero tutta la loro importanza, che sarebbe però un'importanza legata al
momento, non alle condizioni di partenza. Il fatto che all'Unità il nord e il sud occupassero
una posizione analoga nell'economia internazionale non influirebbe minimamente sul loro
sviluppo successivo: il problema che Cafagna risolve appellandosi ai rendimenti crescenti,
sarebbe quindi inesistente.
LA STORIOGRAFIA QUANTITATIVA:
Negli ultimi anni la ricerca quantitativa sulle “cose regionali” nel periodo 1861-1913 è
aumentata considerevolmente. Il primo studio moderno di carattere quantitativo è dovuto a
V. Zamagni. Le va dunque riconosciuto l’indubbio merito di aver iniziato il dibattito
regionale moderno tra gli storici economici, per la prima volta si misurano le disparità
regionali utilizzando le fonti storiche (fine anni '70). Zamagni ricostruisce il quadro
dell’industria nel 1911, sfruttando ampiamente il censimento industriale dello stesso anno.
Anthony Esposto, dopo alcuni anni, sfrutta altre fonti e produce delle stime relative alla
produzione industriale relative agli anni 1889-1893 e pubblicate tra il 1885 e il 1903.
Esposto paragona i suoi numeri con quelli di Zamagni, ma gli studi differiscono in fonti e
metodi, dunque tali paragoni sono dubbi.
Tra l'Unità e la Grande Guerra le sole fonti statistiche sulle economie regionali almeno
teoricamente esaustive, ripetute nel tempo, ragionevolmente omogenee sono i censimenti
demografici del: 1861, 1871, 1901, 1911. Questi, contengono una classificazione
dettagliata della forza lavoro, industria per industria. I censimenti della popolazione
consentono dunqie di avere un quadro diacronico (un quadro che tenga conto
dell’evoluzione nel corso del tempo) dello sviluppo industriale.
Così sappiamo nelle varie regioni quanti individui lavoravano il ferro, il legno, il piombo,
quanti erano i filatori, i tessitori ecc. Per capire come è cambiata la struttura dell’economia
nel tempo, vari autori (Vitali 1970, poi Zamagni 1987, Fuà 1988) hanno considerato i
censimenti della popolazione, ma a partire dal 1881 (ignorando il 1871). Questa letteratura
guarda ai cambiamenti nella struttura della forza lavoro per capire qualcosa
dell’evoluzione dell’industria (e più in generale dell’economia).
Fenoaltea non si è occupato mai di cose regionali, ciò fino al 2001. Nel 2001, ha appena
terminato le sue stime nazionali del valore aggiunto a prezzi 1911 relative ai settori
dell’industria italiana (riunite poi nel suo indice della produzione industriale. Vista la
disponibilità di tali stime nazionali, decide di utilizzarle per produrre stime del VA regionale
industriale utilizzando i censimenti della popolazione. Fornisce le prime stime
diacroniche del valore aggiunto regionale per i settori dell’industria d’Italia.
L’algoritmo proposto da Fenoaltea per stimare il VA regionale a prezzi 1911 di 15 settori
industriali è molto semplice.
In sostanza include 4 passi: per ciascuno dei censimenti (1871, 1881, 1901, e 1911):
1) si calcola la forza lavoro dei vari settori industriali separatamente per regioni
NB: nei censimenti della popolazione sono riportate le categorie professionali (fabbro,
fornaio, tessitore) e non i settori industriali. La forza lavoro appartiene ai 15 settori
industriali (di cui si compone l'industria stessa) e si ottiene raggruppando opportunamente
le varie categorie professionali: ad esempio: il filatore, il tessitore e simili vanno attribuiti al
settore tessile; il fabbro alla meccanica, e così via.
2) si calcola, separatamente per ciascun settore industriale, la quota regionale della
forza lavoro nazionale.
Esempio: In Piemonte, nel 1871, risultano nel settore delle industrie estrattive 1.591
uomini e 7 donne, per un totale di 1.598 addetti. Nell’Italia intera, sempre nel 1871,
risultano 39.325 uomini e 194 donne, per un totale di 39.519 addetti. La quota del
Piemonte in termini di forza lavoro è pari a 1.598/39.519 = 0,0404 cioè circa il 4%.
3) si moltiplicano, settore per settore, regione per regione, le quote della forza
lavoro appena calcolate per il VA nazionale corrispondente (ad esempio nel 1871 il VA
dell’Italia nelle industrie estrattive era pari a circa 49 milioni di lire, dunque la stima del VA
per il Piemonte è pari a 0,0404 * 49 = 1.98 milioni di lire circa, che arrotondati sono i 2
milioni riportati nella Tabella 7.04 di EI, p. 256)
4) si sommano poi le stime regionali del VA per i vari settori industriali per ottenere
il VA dell’industria intera, regione per regione.
In formule:
FLij indica la forza lavoro della regione i nel settore industriale j, con i = 1, 2, . . . , 16 e j =
1, 2, . . . , 15, si ha, in un dato anno censuario (1871, 1881, 1901, 1911)
Σ
VAi,