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CAPITOLO 5: PROTEZIONISMO E L’EMIGRAZIONE
Il protezionismo ha lo scopo di limitare l’ingresso di merci di altri paesi ed nel corso del
tempo ha manifestato una lunga storia.
Già dagli anni delle citta stato medioevali ognuno tendeva a tutelare le proprie attività
specie commerciali e manifatturiere, poi con il tempo a metà ottocento si abbraccia la
corrente del libero scambio con l’Inghilterra che fa da leader.
I vari stati cominciano così a ridurre i dazi e a instaurare rapporti con le altre nazioni con
trattati che garantivano accordi bilaterali di iter commercio con clausole per la nazione più
favorita: ovvero tra le parti del contratto si assicurava lo stesso trattamento concesso alla
nazione più favorita osservati da altri trattati tra quella nazione e un'altra.
In altre parole, se due nazioni stipulano un accordo (di riduzione di dazi) una terza nazione
intrattiene rapporti con una delle prime due nazioni godrà delle stesse tariffe fissate tra
quelle.
Con lo sviluppo dell’industria continentale e la concorrenza all’Inghilterra si ritorna ad
atteggiamenti protezionisti, a protezioni di determinati interessi specie industriali.
Nel 600 vi era il mercantilismo secondo la quale la ricchezza di un paese è decretata dallo
stock di moneta che possiede: si cercò quindi di evitare delle riduzioni di stock d’oro con
controlli e divieti sull’acquisto di metalli di commercianti esteri.
In una fase successiva si regolarono scambi affinché fossero tutelate le esportazioni e
minimizzate le importazioni.
Avversa a questa politica commerciale si sviluppa il liberismo dai pensatori Smith e
Ricardo.
Il libero commercio inizia nel 1846 con l’abolizione del corn laws (dazio sul grano), in virtù
dell’entrata di industriali nel parlamento inglese.
Con il trattato anglo-francese nel 1860 si estende a tutto il continente il libero scambio con
la clausola “nazione più favorita”.
Per questo c’è un effetto domino della riduzione del dazio sul grano.
Il liberismo manifestava risultati positivi perché c’era da una parte un leader industriale e
poi il resto del mondo ancora agricolo.
In Italia: non appena il continente si aprì al liberismo il Piemonte esteso al regno intero la
mite tariffa “piemontese”(dazi bassi), avendo unificato il paese ritengono giusto estendere
le loro regole.
Dal 1878 si cambiò tendenza e apparirono atteggiamenti di protezione specie per
l’industria siderurgica e cotoniera con una nuova tariffa doganale (lista di prodotti su cui
sono applicati dazi).
I dazi aumentano ancor di più nel 1887 specie quello sul grano, cotone e ferro.
I prezzi del grano diminuivano e allora i produttori vollero protezioni, garanzie.
Il dazio sul grano vide aumenti nel 1888, 94,95 così come anche quello sullo zucchero
(che portò dei frutti perché si azzerarono con il tempo le importazioni lanciando l’industria
nazionale).
Per gli altri prodotti i dazi risultarono immutati dopo il 1887.
A contrastare il protezionismo saranno soprattutto bachicoltori, setaioli e filandieri ovvero
coloro che coprivano gran parte delle esportazioni che erano a conoscenza del fatto che le
limitazioni delle importazioni avrebbero avuto conseguenze importanti sulle esportazioni.
Cavour dall’inizio cercò di ottenere l’appoggio delle grandi potenze per consolidare il regno
ed ecco che si spiegano determinate posizioni militari (come la dichiarazione di guerra
all’impero russo, e truppe militari a fianco di Francia e Inghilterra).
Il livello di protezione dipende da 3 variabili precise:
- Dazio
- Prezzo della merce daziata
- Cambio nominale
Il dazio nella tariffa era specifico, ovvero tassa che pesa sulla quantità delle merci non
sulla qualità, veniva fatto pagare un “tot.di lire” al quintale, scelta portata avanti per
agevolare la riscossione, più facile pesare le merci che stabilire un valore.
Si parla invece di “ad valorem” quando il dazio è una percentuale del valore del bene
importato.
Se come detto il livello di protezione è funzione di quei 3 fattori, è osservabile come
all’aumentare del prezzo delle merci l’effetto del dazio (a parità di dazio specifico)
diminuisce.
Più è alto il prezzo e minore sarà l’effetto del dazio e viceversa.
Il dazio permette di proteggere le merci se il prezzo di ciò che è importato è basso non se
è alto.
I prezzi mondiali delle merci sono aumentati fino al 1873 per poi decrescere fino a metà
anni 90 e risalire nel nuovo secolo.
(Slide 27)
Perciò il fatto che i prezzi erano bassi ha aiutato il protezionismo specie per l’industria e
agricoltura.
Per quanto riguarda il cambio nominale, quando questo diminuisce (quotazione certo per
incerto) aumenta il prezzo delle importazioni (come se aumentasse il dazio) e quindi può
influire sulla politica protezionista:
Dall’andamenti del cambio nominale si osserva che il cambio (oro/mille lire) è stato alto
negli anni 60’, negli ottanta e basso negli altri.
Quindi nel 1890 la protezione dei settori agrari e industriali voluti è stata massima perché i
prezzi sono stati bassi e il cambio è rimasto alto e i dazi sono aumentati.
Nel periodo giolittiano i prezzi si alzano, e la lira si rafforza e quindi la protezione si
riduce.
Per molto tempo, economisti (Pareto, Einaudi, Ferrara) hanno sempre considerato il
protezionismo come uno ostacolo alla crescita, una politica voluta da gruppi di
parlamentari che cercano di soddisfare interessi privati ai danni della società.
Il liberismo era la chiave per lo sviluppo con il libero scambio e i vantaggi comparati.
Tuttavia si passò ad un cambio di mentalità e alcuni studiosi hanno cominciato a osservare
che il liberismo andava bene per il paese leader e non portava grandi vantaggi a chi era
ancora economicamente ancorata all’agricoltura.
Siccome si comparava il progresso all’industria, tutto ciò che veniva fatto a favore
dell’industria venne considerato positivo.
Ecco allora che Romeo e lo stesso Gerschenkron non criticheranno il protezionismo e i
dazi in sé.
Quest’ultimo attaccherà lo stato per via delle industrie che hanno deciso di proteggere
ostacolando la crescita.
Successivamente le critiche al protezionismo sono rare, frequenti quelle sulla struttura dei
dazi (inadeguati piuttosto che eccessivi), come mostra la storiografia negli studi di
Zamagni, Toniolo.
Secondo questa storiografia, il protezionismo poteva favorire lo sviluppo allentando
(rendendo più lento) il vincolo esterno della bilancia dei pagamenti.
L’idea del vincolo si basa sul fatto che non si può spendere se prima non guadagniamo,
dunque se non esporto non posso importare: questo vincolo può limitare la crescita perché
se vogliamo un bilancio commerciale bilanciato (equilibrio della bilancia dei pagamenti) nel
tempo, occorre che le esportazioni e le importazioni crescano allo stesso tasso ma quello
importazioni dipende dal reddito. A meno di un aumento delle esportazioni quindi il vincolo
limita lo sviluppo.
Dimostrazioni:
PdX=PfME
dove Pd è il prezzo delle esportazioni, Pf quello delle importazioni, X le esportazioni e M le
importazioni, E il tasso di cambio (prezzo nazionale della valuta estera).
Affinché la bilancia si mantenga in equilibrio nel tempo, è necessaria che il tasso di
crescita delle importazioni sia pari a quello delle esportazioni:
pdt + xt = pft + mt + et
(lettere minuscolo indicano i tassi di crescita).
In un modello semplificato possiamo scrivere anche come X’=M’ (stessi tassi di crescita).
Tuttavia la domanda di importazioni dall’andamento di quella del reddito con una relazione
normalmente ad elasticità costante e maggiore di uno.
Quini dipende da quanto la domanda di importazioni è elastica rispetto a quella del reddito
(modello semplificato, perché in realtà dipende anche dall’elasticità al prezzo delle
importazioni in valuta nazionale (un incremento del prezzo delle importazioni infatti
determina una diminuzione della quantità di importazioni), e dall’elasticità incrociata al
prezzo dei beni nazionali.
Prendendo i tassi di variazione abbiamo che:
M’=ttY’
In altre parole, se Y aumenta del 2%, M aumenta del 2% moltiplicato il parametro “p
greco”.
Ma “p greco” non è altro che l’elasticità delle importazioni al reddito che dipende da paese
a paese.
Si osserva dunque che si perviene a situazioni di squilibrio estero.
Ma come vediamo che il vincolo esterno limita la crescita dell’economia ?
X’=ttY’ allora Y = X’/tt
L’ultima forma mi indica il tasso di crescita compatibile con il vincolo estero, se il tasso
effettivo di crescita a superiore a questo allora si raggiungono squilibri, deficit estero.
Se il reddito correrà troppo allora correranno troppo le importazioni.
Se il tasso è inferiore a quello della formula si andrà in surplus.
Se la domanda interna, dunque viene repressa, si tende a diventare creditori netto.
La crescita del reddito può essere limitata dal vincolo dell’equilibrio dei conti l’estero.
Cafagna, Bonelli, Federico e Zamagni ritenevano che con misure protezionistiche
potevano allentare il vincolo esterno della bilancia dei pagamenti, meno importazioni
evitando così limiti alla crescita.
Se non erano limitate, e non esportavo maggiormente era dura.
Tuttavia questo modello di ragionamento considerava dei prezzi e cambio nominali rigidi
che può essere idonea per l’economia del XX secolo non per l’economia super flessibile
del XIX dove i prezzi e il cambio stesso variavano giorno per giorno.
Questa è proprio la critica rivolta da Fenoaltea ai sostenitori del protezionismo attaccati
alla teoria dell’allentamento del vincolo di bilancio.
La politica commerciale italiana protezionistica si basa su 4 fondamentali dazi:
- Tessile
- Siderurgico
- Grano
- Zucchero
In generale, la rivoluzione industriale nasce con la filatura meccanica del cotone in virtù
dell’introduzioni di macchine sempre più sofisticate che comportarono un incremento
enorme della produttività e la conseguente riduzione di costi e di prezzi.
All’inizio soprattutto il cotone, mentre fibre più complesse vengono lavorate più tardi
quando si creano nuovi macchinari.
La filatura fino al 1700 a mano diventa così meccanica, le macchine permettevano di
separare i fili dalla pianta ed estrarre i semi per poi essere ripiantati.
L’economia artigianale vede la suddivisione del la