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ATTENZIONE NELLA FORMULAZIONE NELLE DOMANDE:
– semplicità di linguaggio
– lunghezza delle domande
– parole dal forte connotato emotivo
– domande mai discriminanti
– domande mai tendenziose (a risposta pilotata)
– sequenza delle domande
Analisi dei dati
L'analisi dei dati è di tipo statistico: oggetto dell'analisi è la variabile. Lo studioso va
alla ricerca delle connessioni statistiche tra variabili (correlazioni, inferenze
causali) che confermino la relazione causale tra fattori osservati e portino ad una
generalizzazione dei risultati ottenuti.
Affidabilità e validità dei dati
Quando i ricercatori parlano di affidabilità della misurazione, essi desiderano sapere
se, ripetendo la ricerca sul medesimo campione o sullo stesso ambiente,
otterrebbero risultati simili. Se tali risultati possono essere replicati – cioè, se più di
un ricercatore ottiene gli stessi risultati – si dice allora che sono affidabili. Tuttavia
l'affidabilità non comporta necessariamente che la misurazione rifletta correttamente
ciò che il ricercatore sta cercando di scoprire. Si può ottenere la stessa misura senza
che il significato dei risultati ottenuti corrisponda a quanto pensa il ricercatore. A
cogliere questo concetto è la validità, ossia la reale correttezza della misurazione
usata da un ricercatore. Se la misurazione riflette quanto il ricercatore intende
effettivamente conoscere sul mondo sociale, allora i risultati sono validi.
Caratteristiche della ricerca quantitativa
punto di partenza: domanda di ricerca e analisi della letteratura esistente da cui
vengono formulate le ipotesi teoriche da verificare
teoria e ricerca empirica: la teoria precede la ricerca scientifica. La ricerca va
strutturata in fasi logico-sequenziali
rapporto tra ricercatore e soggetto studiato: rapporto distaccato, neutrale: è il
ricercatore che definisce l'oggetto di ricerca. Non c'è alcuna interazione tra ricercatore
e soggetto/i studiati.
Ruolo del soggetto studiato: “oggetto” di ricerca, passivo
Capitolo 7: Potere e politica
Definire il potere
Con “potere”, si intende la capacità di realizzare un cambiamento o impedire che
avvenga. Insomma, è la capacità di ottenere qualche risultato. Nei contesti sociali e
politici gli effetti del potere hanno conseguenze rilevanti per la vita delle persone (es.
ricchezza vs. povertà, mobilità sociale vs. staticità sociale ecc.). Esistono due
principali tipi di potere:
Potere collettivo: finalizzato a raggiungere obiettivi condivisi
Potere positivo: al servizio degli interessi degli altri
Le tre dimensioni del potere
La visione “unidimensionale”: conflitto tra parti contrapposte. Si verifica un
conflitto palese tra due o più individui/gruppi con interessi contrapposti e uno di
questi prevale (es. politica, elezioni). Il potere può essere detenuto in modo
illegittimo (es. uso della forza, colpi di stato) o legittimo (es. riconosciuto come
giusto e corretto) → cfr. Weber. Il potere è spesso esercitato seguendo le regole del
gioco:
– in campo politico: competizione elettorale
– in campo economico: competizione per “quota di mercato”
In altri casi, chi vince lo fa non seguendo le regole del gioco, ma manipolandole (es.
corruzione, ricorso a minacce ecc.)
Il potere viene detenuto da una classe dominante o élite del potere: un piccolo
gruppo di soggetti detentori del potere costantemente capace di ottenere ciò che
desidera. Un cambiamento di prospettiva su questo argomento viene presentato dallo
scienziato politico Robert Dahl, che ha sottoposto questa definizione a verifica negli
anni '50: sulla base dei dati raccolti, ha poi concluso che al variare delle questioni in
gioco, variavano anche i gruppi che prevalevano nel conflitto: l'ipotesi dell'élite
dominante doveva essere rifiutata. Il potere era distribuito in modo pluralistico e
probabilmente, questo risultato si applicava ad altri contesti democratici. I sostenitori
del pluralismo affermano che, finchè gruppi concorrenti hanno sufficiente potere
partecipativo, il risultato di ogni politica rifletterà le preferenze della maggior parte
dei cittadini. I critici del pluralismo sostengono che esso fornisce una visione troppo
ristretta della natura del potere, poiché è applicabile soltanto laddove esiste un
conflitto evidente.
Capitolo 6: Cultura, Media e Comunicazione
La cultura è una costruzione sociale, così come la realtà, frutto di una connotazione
fortemente sociale. La cultura serve a dare un'interpretazione e un significato alla
natura. Essa è definita da un insieme di valori, tradizioni, costumi che caratterizzano
la vita sociale di un popolo. È l'insieme dei modi di vivere dei membri di una società
o gruppi all'interno della società: l'insieme delle rappresentazioni del mondo
(lingua, religione...) e degli oggetti tecnici (ovvero creati dall'uomo) con cui
interagiamo. L'etimologia deriva da “cultus”, participio passato di “colere”, ovvero
coltivare.
La società è un insieme di individui legati da relazioni strutturali sulla base di
una cultura comune. Tra cultura e società esistono forti interrelazioni: l'esistenza di
una è correlata all'esistenza dell'altra.
La cultura non si riferisce a caratteri ereditari, ma appresi nel corso del processo di
socializzazione → costanti interazioni che iniziano al momento della nascita.
I caratteri culturali, condivisi dai membri di una società, sono alla base della
cooperazione e della comunicazione. In particolare, nella comunicazione, ci sono
alcuni elementi che distinguono quella umana da quella animale, come ad esempio:
– coscienza (consapevolezza di esserci);
– pensiero;
– ragione;
– linguaggio;
– esperienza.
Una cultura comprende aspetti materiali (artefatti prodotti da una società, oggetti
tangibili) e aspetti immateriali (linguaggio, valori e norme → definibili come la
sedimentazione dei valori).
I valori sono le idee che definiscono ciò che è considerato importante, degno e
desiderabile in una cultura, e che guidano gli esseri umani nella loro interazione con
l'ambiente sociale. Le norme sono regole di comportamento che riflettono o
incarnano i valori di una cultura. Valori e norme variano nello spazio e nel tempo,
poiché la cultura cambia a causa di tutto ciò che avviene attorno a noi, dal linguaggio
al clima al progresso tecnologico.
Le società possono essere distinte in monoculturali (culturalmente omogenee:
uniformità di valori, maggiore coesione sociale ma difficili da individuare) e
multiculturali (culturalmente composite).
All'interno di una società è possibile individuare diverse:
– subculture: segmenti di popolazione appartenenti a una società più ampia e
distinguibili sulla base di parametri culturali (es. hacker, vegetariani, vegani,
hippy...);
– controculture: gruppi che respingono i valori e le norme date in una
particolare società, ma elaborano e diffondono valori alternativi a quelli della
comunità dominante, nella quale si manifestano i modi di fare e di vivere
maggiormente condivisi.
Questa è una semplificazione: non esiste la monoculturalità nella realtà, perchè ogni
società al suo interno ha numerose subculture → social labeling, ovvero
l'etichettamento sociale.
C'è qualcosa che accomuna tutte le comunità: la sopravvivenza e l'esistenza dei tabù,
ovvero leggi che non devono venire infrante in quanto ritenute sbagliate (es. incesto).
Nella mitologia greca ci sono numerosi esempi di questo tabù, uno dei quali è il
complesso di Edipo, che ha lo scopo di dividere ciò che è giusto da ciò che è
moralmente sbagliato.
Ogni società o gruppo sociale sviluppa una propria cultura. Lo shock culturale è il
disorientamento, lo spaesamento, la vertigine che si prova quando si entra in
contatto con una cultura diversa dalla propria a causa della perdita dei punti di
riferimento familiari che ci aiutano a comprendere il mondo circostante.
L'appartenenza a una cultura può indurre gli esseri umani a considerare le altre
culture inferiori o comunque distanti. In sociologia bisogna quindi evitare
l'etnocentrismo: la tendenza a giudicare le altre culture confrontandole con la
propria, generalmente ritenuta “superiore”. In questo contesto è importante il
relativismo culturale (riferimento a Mead): lo studio di una cultura sulla base di
significati e di valori che le sono propri. Attraverso il processo di socializzazione gli
individui imparano a conoscere i ruoli sociali → insieme di comportamenti
socialmente definiti che ci si aspetta da chi ricopre un determinato status o posizione
sociale. Lo status può essere ascritto , ovvero assegnato sulla base di fattori biologici,
o acquisito , cioè ottenuto attraverso una prestazione, un merito.
In ogni società ci sono master status, cioè status che hanno priorità su tutti gli altri e
determinano la posizione sociale complessiva di una persona.
I due approcci della sociologia ai fenomeni sociali: microsociologia (studio dei
comportamenti quotidiani in situazioni di interazione diretta: individuo e piccoli
gruppi) e macrosociologia (studio dei grandi sistemi sociali: processi di
cambiamento di lunga durata).
La cultura non è un aspetto ereditario ma trasmesso, e il ruolo nodale sta alla
comunicazione, sia sul piano micro (interpersonale) che su quello macro
(istituzioni). La comunicazione è un concetto riferibile a tutte le forme di vita e può
essere definita come uno scambio di informazioni tra due o più entità in grado di
emettere/ricevere, intendendo per scambio un processo interattivo di retroazione
(feed-back).
Il modello tradizionale della comunicazione
→ superato in quanto la comunicazione viene intesa come lineare: il ricevente è
passivo, la comunicazione ha un inizio e una fine che coincide con gli interlocutori ←
Il modello interattivo della comunicazione
• l'emittente può diventare anche ricevente durante la stessa interazione. La
comunicazione può dirsi riuscita quando le immagini mentali degli
interlocutori coincidono
• emittente e ricevente appartengono ciascuno ad un ambiente (status, ruolo
ecc). Le differenze ambientali possono essere causa di fraintendimenti
→ limitato per il fatto di intendere ancora il processo comunicativo come un'entità
statica definita da azioni sepa