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Capitolo 4: il percorso evolutivo del sè e dell'io: l'incontro conla disabilità
Il sè è la percezione somato-psichica dello stato di integrazione del soggetto in un
tempo e in uno spazio, è il risultato della mente che diventa consapevole di se stessa; la
mente è l'insieme di processi cognitivi superiori di cui si ha consapevolezza, è uno
strumento che media continuamente tra soma e psiche, tra esperienza fisica e psichica,
nella radice indoeuropea ha il significato di "mamma" e da qui la sua funzione di
mediazione. Winnicott colloca la mente tra soma e psiche, il sè come risultato della
mente ha la capacità di designare con simboli gli oggetti dell'esperienza e di riflettere
ed elaborare l'esperienza stessa; il sé non è unico ma si avvale di due funzione: l'io
intuitivo, chi compie l'azione, è oggetto di qualcosa che qualcuno fa, è l'istanza di
personalità che gestisce l'esperienza di sé in quel tempo e in quello spazio; il me è
l'insieme di sensazioni, percezioni, sentimenti che derivano da ciò che gli altri fanno, è
oggetto delle azioni altrui, ciò che si riceve dagli altri, la risposta che gli altri danno
secondo il mio punto di vista, il sé non è soltanto come tu mi vuoi ma come io mi voglio,
è il luogo dell'automatismo e delle proprie identità profonde.
La formazione dell'immagine di sé. Il senso del sé resta sempre un'importante realtà
soggettiva, un fenomeno evidente ed attendibile che la scienza non può ignorare; Stern
invita a prendere in considerazione quattro diversi sensi del sé: il senso di un sé
emergente che si forma dalla nascita ai 2 mesi; il senso di un sé nucleare che si forma
dai 2 ai 6 mesi; il senso di un sé soggettivo che si forma dai 7 ai 15 mesi; il senso di un
sé verbale che si forma per ultimo. Stern riferisce di aver osservato un caso del tutto
particolare di due sorelline siamesi separate all'età di 4 mesi dove ha osservato che
ogni bambina percepiva non solo quale era il suo pollice e quale quello estraneo, ma
faceva anche movimenti diversi; infatti, secondo lo studioso, già dai 2 ai 6 mesi il
bambino dà segni inequivocabili di avvertire che lui e la madre sono entità separate,
altri autori asseriscono che soltanto all'età di 8 mesi il bambino ha il senso della propria
esistenza distinta e impara progressivamente a riconoscere il proprio corpo nelle
proprie parti e nell'insieme e a saperlo gestire dal punto di vista neuro-muscolare anche
attraverso l'ambiente e l'esportazione dando senso di benessere e gradevolezza. Ciò
accade tutte le volte che le stimolazioni sono adeguate e l'organismo è in equilibrio
psicofisico o si riceve l'approvazione delle persone significative che lo circondano; il
senso di gradevolezza da la possibilità di godere mentre il senso della validità
costituisce una delle componenti importanti per la formazione dell'immagine di sé,
soprattutto a garantire il senso di sicurezza. Se il proprio corpo viene percepito forte,
agile ed efficiente, capace di fronteggiare le situazioni difficili e di affrontare con
successo le sfide dell'ambiente si avrà già un substrato favorevole per costruire un
equilibrio psichico ottimale, ciò collegato all'approvazione delle persone significative
produrrà un alto livello di autoefficacia. Quanto più l'immagine di sé si avvicina alla
realtà oggettiva del proprio essere e quanto più esatta è la valutazione dell'ambiente
con cui egli deve mettersi in rapporto e tanto più sarà facile il processo di adattamento
e affermazione. Un atleta con buona percezione di competenza e un buon concetto di
sé avrà un'alta motivazione al successo ed alla ricerca di esperienze positive che
andranno ad alimentare il forte senso di autostima (ego). Il credere in sé è sinonimo di
fiducia, è la consapevolezza di un personaggio circa le proprie capacità, un'aspetto
dell'autoconsapevolezza è l'immagine di sé; il smesso di fiducia possiamo considerarlo
come un sentimento di precisione favorevole circa il verificarsi di avvenimenti a
vantaggio del soggetto nel quale induce un senso di sicurezza ma è qualcosa più di
questo, è un sentimento che coinvolge in modo crescente la componente cognitiva che
offre le motivazioni e giustificazioni del perché ci si possa fidare. Due modelli si sono
occupati della fiducia:
-Mc Coy: la prospettiva costruttivista dice che credere in sé stessi significa essere
consapevole di saper seguire bene un compito ancora prima di avviarlo, si sperimenta
fiducia quando si realizza una buona corrispondenza fra come una persona si aspetta di
fare e come lo fa, quando c'è discrepanza di sperimenta colpa
-Bandura: nota teoria dell'autoefficacia, distingue fra aspettativa di risultato (stima di
una persona che un dato comportamento condurrà ad un dato risultati) ed aspettativa
di efficacia (quanto una persona si stima capace di assumere con successo il
comportamento richiesto per produrre il risultato); la fiducia è una stima di quanto una
persona si considera efficace nell'affrontare un compito, le aspettative di efficacia
determinano se il comportamento avrà inizio e quanto impegno verrà profuso
-modello integrato della fiducia (combinazione dei due precedenti): quando si trova
davanti ad un compito la persona stima con quanta efficacia riuscirà a portarlo a
termine, la decisione di impegnarsi influirà sul l'insieme di credenze che riguardano il
sé, se vi è alto livello di incertezza l'individuo tenderà alla ricerca di esperienze negative
che alimenteranno il senso di inferiorità.
Per ogni essere umano è importante acquisire consapevolezza del proprio valore e
accettare la propria unicità, il confronto con gli altri ci conforta e ci conferma; corpo,
vissuto corporeo ed immagine di sé sono alla base della conoscenza dell'altro e di sé,
attraverso il corpo giungiamo alla fiducia nei nostri mezzi.
Durkheim--> corpo come un barometro che indica lo stato interiore della persona, una
persona insicura cerca appoggio, una che ha paura tira su le spalle, il corpo è il luogo
della propria identità di genere e di ruolo così come si è realizzata nel corso della
propria storia evolutiva; l'essere umano deve stare nell'hara, il basso ventre e se il
baricentro vi risiede potrà stare saldamente in piedi e nessuno potrà farlo cadere. Stare
nell'hara significa assumere una posizione di permeabilità e di apertura a Dio e
all'assenza, nell'apertura al mistero sta il luogo della nostra conoscenza, della fiducia
nella vita e nella morte, una fiducia fortemente sollecitata nella fase della vita in cui il
corpo è protagonista (adolescenza). Di fronte ad una visione ideale del corpo si volge
l'attenzione alle degenerazioni dei corpi malati o traumatizzati che manifestano
palesemente le storie soggettive e lo svolgersi dei processi fisiologici che rivendicano
una loro legittimità umana e sociale; quando ci si ammala o si subisce un trama è come
se il corpo uscisse fuori da uno stato di silenzio, la malattia è come un rumore, non
soltanto degli organi, ma anche dei pensieri che si accavallano e che tormentano. La
persona nella malattia è costretta a riflettere sulla propria esistenza ed è indotta a
ripensare all'immagine che si era fatta di sé nel tempo in cui era in salute, ci accorgiamo
delle esigenze e delle grida del nostro corpo, è molestia, sospensione, peso ed
interruzione, è la rivelazione della condizione normale di limite in ogni soddisfazione
umana, è qualcosa che definisce l'individuo nel sue essere fragile, debole, incerto e
mancante.
Parlare di corpo abile e dis-abile dell'adolescente significa parlare di attitudini (in
psicologia applicata per indicare la predisposizione individuale a svolgere con maggiore
o minore efficacia un dato compito) e limiti; le attitudini si riferiscono all'intera gamma
delle potenzialità psichiche umane che possono essere di tipo psicomotorio, percettivo,
verbale, concettuale ecc.,. Ogni adolescente è portatore di particolari attitudini o
capacità che lo rendono diverso dagli altri e contribuendo a formarne il carattere e la
personalità; il fatto di essere più portato per una cosa piuttosto che per un'altra implica
la presenza di limiti che spesso si vuol superare, respingere, rinnegare e vengono vissuti
in maniera negativa, ma non è così che vanno visti e vissuti. Il limite non deve avere
questa accezione negativa ma deve essere sinonimo di scoperta r di possibilità e per
questo è necessario conoscerli ed accettarli per trasformarli in risorsa e per potersi
migliorare, per poter così accettare di stare dentro la realtà è da questa lavorare per
fare dei limiti una risorsa; scoprire un limite determina all'inizio amarezza, ma poi ci
aiuta a scoprire le caratteristiche del proprio corpo e l'adolescenza non deve forzarle,
conoscere i limiti significa inseguire nuove vittorie, è il confine dal quale inizia qualcosa
di diverso, scoprendo l'altro si scopre anche se stessi. L'io si confronta con l'altro e
attraverso questo confronto scopre l'unicità della persona, sia perché l'altro è termine
di paragone sia perché ci spinge a migliorarci; in questo processo si entra in comunione
e comunicazione costruendo continue relazioni e ridefinendo il confine tra io ed altro,
arrivando a definire nuovi equilibri, scoprendo la propria identità e quella altrui.
Il percorso evolutivo dell'io nel soggetto con disabilità. L'io è l'istanza organizzativa di
gestione e autogestione del sé in un tempo e uno spazio, e presenta un'evoluzione
parallela a questo dal quale si differenzia; il percorso evolutivo dell'io è costituito da
vari momenti:
-primo momento: ha a che fare con il funzionamento del sé ed indica la nascita della
mente, coincide con l'evocazione di sensazioni (relazione non simbiotica ma adesiva del
bambino alla madre); l'essere umano è capace di regredire ma anche di concedersi
esperienze regressive, recuperando ed attualizzando esperienze precedenti in modo da
renderle vive, questo momento assume importante funzione di difesa per l'io.
-secondo momento: fase di ideazione poietica, area dell'esperienza egoica poco
conosciuta il cui nucleo centrale è il diniego della realtà; questa capacità poietica
(emotiva) d