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POLITICHE

Le decisioni principali in materia di politica valutaria riguardano la scelta del regime valutario e il grado di mobilità dei capitali. In un regime di cambi flessibili, le autorità monetarie devono anche decidere se cercare di gestire il tasso di cambio tentando di influenzare il suo valore o se, al contrario, lasciarlo fluttuare liberamente.

Mobilità del capitale e scelta del regime valutario

In caso di mobilità dei capitali e di cambi flessibili, lo strumento più efficace per la stabilizzazione macroeconomica è la politica monetaria.

Un regime di cambi fissi con una forte mobilità dei capitali costringe invece la banca centrale a relegare la politica monetaria alla difesa del tasso di cambio. La stabilizzazione macroeconomica quindi in questo caso può essere fatta solo con la politica fiscale.

Riassumendo, politica monetaria autonoma, stabilità del tasso di cambio e mobilità perfetta dei capitali non possono

coesistere (c.d. triangolo d'incompatibilità). I pro e i contro dell'apertura dei mercati finanziari. A partire dagli anni '70 c'è stata una tendenza allaliberalizzazione dei movimenti di capitale. Questa liberalizzazione è stata incoraggiata dal FMI, in modo dapromuovere un'allocazione ottimale del risparmio mondiale e permettendo, quindi, ai capitali dei paesiricchi di spostarsi verso i paesi più poveri. Il risultato è stato un aumento senza precedenti dei movimenti internazionali di capitali nel corso degli anni '80 e '90. Le crisi valutarie nei paesi emergenti alla fine degli anni '90 hanno però indebolito il consenso sui vantaggidella mobilità dei capitali. La liberalizzazione dei movimenti di capitale, facilitando l'ingresso di capitali, aveva infatti avallato la speculazione finanziaria e l'espansione del credito bancario, scatenando crisigemelle monetarie e bancarie. Esistono

Esistono numerosi tipi di controlli sui movimenti dei capitali. Un modo alternativo per controllare i movimenti di capitale consiste in un sistema di incentivi. L'obiettivo è quello di "mettere della sabbia negli ingranaggi" della globalizzazione finanziaria, disincentivando in particolare i flussi di capitale speculativo a brevissimo termine, sospettati di alimentare l'instabilità del tasso di cambio. Tobin ha per primo proposto di istituire un'imposta sulle transazioni valutarie esattamente per limitare la speculazione finanziaria e, quindi, l'instabilità dei movimenti di capitale, con la c.d. Tobin tax. Un'imposta sui movimenti dei capitali dovrebbe stabilizzare i finanziamenti, dato che rende più costose le reallocazioni dei portafogli (tipica attività degli speculatori). I lavori empirici mostrano infatti che un'imposta del genere favorisce gli investimenti a lungo termine, a scapito di quelli a breve termine.

Considerati più volatili (e più tipici degli speculatori, che hanno bisogno di riallocare i loro investimenti più volte in poco tempo). Un'altra proposta per cercare di ridurre le speculazioni è quella del c.d. deposito infruttifero. Cambio fisso o cambio flessibile. L'esperienza europea mostra che è difficile far vivere un'unione monetaria senza integrazione politica, che è l'unico presupposto possibile per dei trasferimenti importanti tra gli stati membri. Questo farà senza dubbio diminuire l'entusiasmo delle altre regioni del mondo nel procedere verso unioni monetarie. Scelta del regime valutario. La scelta di un regime valutario dipende da un insieme di criteri che bisogna ponderare in maniera diversa a seconda dei periodi e delle aree del mondo. Non esiste un regime valutario che convenga a tutti i paesi e in tutte le circostanze.

POLITICHE SULLA CRESCITA (cap. 6)

Concetti fondamentali

Nei capitoli precedenti

abbiamo analizzato la gestione della domanda aggregata. Tuttavia, nel medio/lungo periodo le politiche della domanda perdono la loro efficacia e il livello di attività economica è interamente determinato dall'offerta potenziale. Nel lungo periodo, il tasso di crescita di questa capacità di offerta dell'economia determina l'aumento della ricchezza e del benessere, sia in maniera diretta, sotto forma di reddito, che in maniera indiretta, attraverso il godimento di beni pubblici come la salute, l'istruzione, la sicurezza e le infrastrutture. Ormai è accertato che i ritmi dello sviluppo economico differiscono nel tempo e nello spazio tra Paesi, a seconda del grado di sviluppo delle singole nazioni, del tipo di politiche effettuate e della situazione macroeconomica globale. È ormai accertato anche che la globalizzazione degli scambi non ha prodotto alcuna uniformazione. Bisogna concentrarsi su diversi aspetti micro e macroeconomici perdeterminare le diverse performance di Paesi all'apparenza simili. Generare la crescita, mantenerla o accelerarla è quindi uno dei temi principali di politica economica, senza dubbio il principale in una prospettiva di lungo periodo. I fatti cinque riguardanti la crescita. Dallo studio dei dati sulla crescita emergono cinque evidenze empiriche o "fatti stilizzati";
  1. In una prospettiva storica, la crescita rapida del reddito pro capite è un fenomeno recente (dopo la rivoluzione industriale e dopo la seconda guerra mondiale);
  2. Il PIL pro capite e la produttività presentano delle discontinuità nel medio periodo che non sono necessariamente sincronizzate tra i paesi a uno stesso stadio di sviluppo (allo stesso stadio di sviluppo diversi paesi hanno tassi di crescita di PIL e produttività spesso divergenti);
  3. Alcuni paesi sono riusciti a colmare la differenza di tenore di vita rispetto ai paesi più avanzati (convergenza), ma altri sono
capite nel tempo, mentre lo sviluppo economico si riferisce a un miglioramento generale delle condizioni di vita di una popolazione, che va oltre la semplice crescita economica. Per misurare la disuguaglianza di reddito, si utilizza spesso l'indice di Gini, che varia da 0 a 1. Un valore di 0 indica una perfetta uguaglianza di reddito, mentre un valore di 1 indica una completa disuguaglianza, con una sola persona che possiede tutto il reddito. È importante notare che la crescita economica e lo sviluppo non sono necessariamente correlati alla riduzione delle disuguaglianze di reddito. Mentre alcuni paesi possono registrare una crescita economica significativa, le disuguaglianze possono aumentare o rimanere stabili. Allo stesso modo, alcuni paesi possono raggiungere alti livelli di sviluppo umano nonostante una crescita economica relativamente modesta. Inoltre, il progresso tecnologico può avere effetti contrastanti sulle disuguaglianze di reddito. Da un lato, può creare nuove opportunità di lavoro e aumentare la produttività, favorendo la crescita economica e la riduzione delle disuguaglianze. Dall'altro lato, può anche portare alla sostituzione di lavoratori poco qualificati con macchine o algoritmi, aumentando la disoccupazione e accentuando le disuguaglianze. In conclusione, la crescita economica e lo sviluppo sono concetti complessi che vanno oltre la semplice misurazione del PIL. La riduzione delle disuguaglianze di reddito è un obiettivo importante, ma non sempre correlato alla crescita economica o allo sviluppo. Il progresso tecnologico può essere un fattore determinante nelle dinamiche delle disuguaglianze di reddito.capite nel corso del tempo, anche se talvolta è impiegato anche in riferimento all'aumento del PIL. È da notare che il PIL è diverso dal Prodotto Nazionale Lordo (PNL), che invece fa riferimento al reddito prodotto dai residenti, a prescindere che sia o meno sul territorio nazionale. Per confrontare i PIL pro capite tra paesi e periodi storici sono necessarie delle correzioni. In una prospettiva temporale, è necessario misurare i PIL a prezzi costanti, vale a dire corretti per l'andamento dell'inflazione. In una prospettiva geografica, occorre anche considerare i tassi di cambio e i risultati saranno diversi nel caso si utilizzino tassi di cambio correnti di mercato oppure tassi di cambio teorici che permettono il livellamento dei prezzi (parità del potere d'acquisto o PPA). Limiti del PIL come indicatore di benessere. Il PIL è una misura molto specifica di benessere, quello economico. Il PIL infatti non tiene conto di importanti
  • Non tiene conto delle disuguaglianze;
  • Non tiene conto delle componenti essenziali del benessere, come la speranza di vita, la qualità del tempo libero, la salute, ...;
  • Non tiene conto del livello di istruzione;
  • Non coglie le esternalità positive o negative correlate al processo di produzione: si contabilizza il valore aggiunto delle industrie inquinanti ma non i danni che queste provocano all'ambiente; al contrario, si contano positivamente le spese per porre rimedio a questi danni. Il concetto di sviluppo sostenibile richiederebbe di correggere il PIL per tener conto dell'esaurimento delle risorse naturali e del degrado ambientale;
  • Infine, il PIL pro capite non è adeguato per studiare l'efficienza dell'apparato produttivo perché una parte degli abitanti non lavora.

Il PIL pro capite e la produttività oraria. Il PIL pro capite è il rapporto tra...

Il valore aggiunto Y creato nel corso dell'anno in un paese (PIL) e la popolazione totale P del paese. Bisogna introdurre alcune correzioni a questa grandezza per misurare la produttività del lavoro. In particolare:

  • Dobbiamo considerare la componente y, ossia la proporzione della popolazione in età lavorativa (popolazione di età 15-64);
  • Dobbiamo considerare la componente x, ossia il tasso di partecipazione (che tiene conto del fatto che non tutta la popolazione in età 15-64 desidera/può lavorare). La popolazione attiva è dunque L = xyP;
  • All'interno della popolazione attiva, una frazione u è disoccupata. La popolazione attiva impiegata è dunque N = Pxy(1-u);
  • Ogni attivo occupato lavora un numero di ore d ogni anno. Il numero di ore lavorate è quindi H = d(1-u)xyP. Infine, la produttività oraria del lavoro è:

La convergenzaI diversi concetti di convergenza. La seconda metà del XX secolo ha visto

Diverse ondate di convergenza verso il PIL pro capite degli Stati Uniti. L'Europa occidentale ne ha beneficiato per prima, seguita poi dal Giappone, e di recente dalla Cina e India. Tuttavia molti paesi sono rimasti ai margini del processo di crescita e sviluppo.

Bisogna distinguere due definizioni diverse di convergenza:

  1. La β convergenza. È relativa al tasso di crescita. C'è questo tipo di convergenza se i paesi poveri crescono più rapidamente dei paesi ricchi. In altre parole, la convergenza viene definita come una correlazione negativa tra il livello iniziale del PIL pro capite e il tasso di crescita.
  2. La δ convergenza. È relativa alla dispersione del reddito tra un gruppo di paesi. C'è questo tipo di convergenza se la varianza (dispersione) della distribuzione del PIL pro capite per un gruppo di paesi diminuisce.

Questi due concetti sono molto diversi tra loro anche se possono superficialmente sembrare simili. Per esempio,

l'aumento della disuguaglianza tra pesi può essere causato da shock esogeni, per esempio climatici o politici, che nascondono temporaneamente u
Dettagli
A.A. 2017-2018
38 pagine
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/02 Politica economica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher francesco.rizzo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Politica economica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi "Carlo Bo" di Urbino o del prof Bloise Francesco.