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MORTE DELL’ARTE

Hegel era uno Svevo, un popolo celebre in Germania proprio per il gusto della

provocazione: è l’unico ceppo germanico (che io sappia) che anziché dire «sì»

dice «ha no», cioè «come mai?». Ebbene, questo carattere si rivela anche nel

detto hegeliano secondo cui l’arte appartiene al passato. I nostri

contemporanei hanno persino parlato di «morte dell’arte». In un certo senso,

l’arte è alla fine, se la si considera dal punto di vista dell’evoluzione stilistica

che va dall’arte antica a quella romanica e rinascimentale, sino all’ultimo stile

artistico, il Barocco, cui fa seguito una serie di movimenti stilistici nuovi, di

breve durata, effimeri, che giungono fino al «moderno» e al «post-moderno».

Non si tratta più dello stesso tipo di arte, e tuttavia oggi forse l’arte è più arte

di quanto non sia mai stata. Senza dubbio, infatti, le grandi epoche artistiche

sono quelle in cui più fortemente s’impongono l’aspirazione religiosa e

l’esperienza della trascendenza… ed è pertanto un enigma che nel nostro

mondo tecnologico l’arte, pur trasformandosi sotto l’influsso della tecnica,

possa restare arte genuina, e che le nuove forme di creazione artistica, quali si

trovano ad esempio nell’arte figurativa, con i suoi quadri tecnicamente poveri,

ci vengano incontro, laddove si tratti di vera arte, come una scintilla scoccata

dalla trascendenza. Un quadro cosiddetto «astratto», quando sia opera di un

grande maestro, sa parlare anch’esso un linguaggio (muto) ma altrettanto ricco

e sempre stimolante per il pensiero. Nel mio studio a Heidelberg è appesa una

grande litografia a colori di Poliakoff, un foglio assai bello, che i miei allievi mi

hanno regalato, mi pare, per il mio settantesimo compleanno. Quando, assorto

nei miei pensieri, volgo lo sguardo a sinistra, vedo un paio di superfici colorate,

tra loro contrapposte, e poi vi traspare qualcosa che assomiglia a un volto

umano, e poi, senza dubbio, una croce,… le cui tonalità sono sospese fra il

rosso e altre tonalità più scure, che arrivano fino al nero: tutto questo mi invita

ripetutamente… a riflettere sui misteri della vita e dell’aldilà. L’arte è ancora

viva. Il nostro pensiero l’ha solo sollevata in nuovi orizzonti spirituali. Sino a

quando si farà filosofia, ci sarà sempre un dialogo con l’arte, con le arti e con le

creazioni del talento umano, destinate lentamente a fondersi in una cultura

mondiale. Quale sarà il suo nuovo volto, non lo sappiamo. Ma se pensiamo alla

musica, ci accorgiamo che anch’essa contiene una promessa: il linguaggio

musicale del secolo scorso, ma anche del Classicismo tedesco o viennese –

Schubert, Beethoven, e pure Bach – parla oggi al cuore degli Americani, dei

Giapponesi, dei Russi o Sudafricani, allo stesso modo in cui si rivolge a noi

Europei. L’idioma della musica è forse il segnale più chiaro di una cultura

planetaria che si sta formando, nella quale – al di là delle barriere linguistiche –

si può imparare insieme e si può provare un senso di solidarietà, lavorando e

lottando uniti per la libertà.

L’arte romantica segna la morte dell’arte intendendo con questa espressione

non che dopo di essa non si possa più fare arte ma che in essa lo spirito

raggiunge pienamente la consapevolezza che l’arte è una forma inadeguata di

espressione dell’Assoluto.

IMMANUEL KANT (1724-1804): Arti belle: 1) Arti della parola: eloquenza e

poesia 2) Arti figurative: Plastica e pittura 3) Arti uditive e visive: Musica e

colorito Posizione particolare anche per l’arte di “comporre bellamente” la

natura, cioè il giardinaggio.

GADAMER, oppone il metodo (conoscenza neutrale ed oggettiva) alla verità (va

oltre la scienza,

esperienze – arte, filosofia, storia...), come anticipa già il titolo della sua opera

fondamentale Verità e metodo (1960). Ricerca kantianamente le condizioni di

possibilità del comprendere. Ogni evento storico, essendo oggetto del

comprendere (Verstehen), mostra che interprete e opera si devono fondere e

riconoscersi come appartenenti alla stessa tradizione, connessa alla nozione di

Wirkungsgeschichte (storia degli effetti). Nella prima sezione dell'opera

procede a una critica della coscienza estetica, intesa come prodotto moderno

che ha origine nella separazione attuata da Kant tra ambito estetico e

teoretico/pratico, che implica la perdita del contenuto ontologico dell'arte

(verità). Egli propone un incontro con l'opera (intesa come evento storico in cui

dà la verità) e contrappone alla coscienza estetica la nozione di esperienza

estetica. Una prima conseguenza è la rivalutazione dell'arte di occasione o di

elementi come ornamenti e decorazioni e la ripresa di un'immagine di artista-

ingegnere. [Valéry]

Opera d'arte come gioco: in tedesco Spiel vuol dire sia gioco che esecuzione. Il

gioco trascende l'individualità soggettiva dei singoli giocatori e questa essenza

del gioco si attua nel modo più compiuto nell'arte, nel suo essere realizzata e

interpretata. L'oggetto artistico si propone in maniera esemplare alla fruizione

permettendo un'esperienza di verità e un ampliamento della conoscenza (che

arricchiscono tutti gli elementi in gioco – fruitore, creatore, opera).

Accrescimento ontologico dovuto all'oggetto artistico. Anni dopo affianca alla

nozione di gioco quelle di simbolo e di festa. Sembra riprendere la concezione

classica di mimesi (conferimento alla realtà della sua stessa verità – no copia o

riproduzione) e l'esempio per eccellenza dell'essere estetico è la tragedia greca

nella quale grazie alla catarsi si ha una progressiva presa di coscienza da parte

dello spettatore (autocomprensione). L'aumento dell'essere porta a una

rivalutazione dell'immagine intesa come liberazione di significati latenti

(esempi: ritrattistica – coglie il caratteristico di un volto – e sacralità delle

immagini religiose). Storia degli effetti: ogni interpretazione di un dato evento

si colloca già da sempre nella vicenda degli effetti che tale evento ha suscitato

nelle altre interpretazioni storiche. La storia degli effetti è la tradizione,

esistenza dell'atto nella sua globalità. Conseguenze di questa visione sono il

riutilizzo della nozione di pregiudizio (non per forza negativo – parte integrante

dell'essere umano) e la convinzione della dialogicità implicita (apertura

all'altro) e la consapevolezza del circolo ermeneutico (affrontarlo stando al suo

interno nel modo giusto – Heidegger]. Linguaggio: orizzonte fondamentale,

l'opera è sempre un colloquio inserito in una dimensione linguistica.

L'interpretazione avviene sempre all'interno di un linguaggio (orizzonte comune

di chi parla e di chi ascolta). Il linguaggio è l'essere che può venir compreso, e il

suo rapporto con un ente è l'interpretazione.

VELO DI MAYA

Con l'espressione Velo di Maya, coniata da Arthur Schopenhauer nel suo Il

mondo come volontà e rappresentazione, si intendono diversi

concetti metafisici e gnoseologici propri della religione e della cultura induista e

ripresi successivamente anche da vari filosofi moderni. Arthur

Schopenhauer nella propria filosofia sostiene che la vita è sogno sebbene

questo "sognare" sia innato (quindi la nostra unica "realtà") e obbedisca a

precise regole, valide per tutti e insite nei nostri schemi conoscitivi.

Questo «velo», di natura metafisica e illusoria, separando gli esseri individuali

dalla conoscenza/percezione della realtà (se non sfocata e alterata), impedisce

loro di ottenere moksha (cioè la liberazione spirituale) tenendoli così

imprigionati nel saṃsāra, ovvero il continuo ciclo delle morti e delle rinascite.

Similmente alla metafora della caverna di Platone, l'uomo (e quindi

l'intera umanità) è presentato come un individuo i cui occhi sono coperti dalla

nascita da un velo; quando se ne libererà, la sua anima si risveglierà dal

letargo conoscitivo (o avidyã, ignoranza metafisica) e potrà contemplare

finalmente la vera essenza della realtà.

Le numerose ed eterogenee correnti induiste attribuiscono significati e funzioni

differenti a questo concetto: le correnti dualistiche (come ad esempio gli Hare

Krishna) la interpretano come il «velo» che separa l'essere individuale dal

riscoprire la propria relazione con Dio, che essi identificano con Krishna; mentre

presso le scuole moniste (come, ad esempio, l'Advaita Vedānta) questo «velo»

è rappresentato dall'identificazione con il corpo, con la mente, con l'intelletto e

con la propria stessa individualità, il senso dell'io (ahamkara), ovvero tutto ciò

che ricopre e riveste l'Ātman (unica entità eterna ed immortale), impedendo di

riconoscere la propria identificazione con esso ed illudendo così l'anima

individuale di essere un individuo distinto dal tutto.

NICHILISMO = Tendenza a negare in modo assoluto l'esistenza della realtà o di

alcuni valori di essa; usato più spesso con riferimento al pensiero di F.W.

Nietzsche.

HEIDEGGER: ESSERE/ENTE

L' ente per Heidegger è tutto quello che ci circonda,che percepiamo e che noi

stessi siamo,enti sono le cose,il sole,la casa,la sedia,una pietra,noi,ecc.,quello

che appaiono e si manifestano sono gli enti;L' Essere invece,non sarebbe una

cosa e nemmeno la somma degli enti,ma sarebbe ciò che permetterebbe agli

enti di manifestarsi,lo spazio che permette alle cose di poter apparire,inteso

questo spazio non in senso fisico,l' orizzonte entro il quale gli enti vengono alla

luce,ma l' Essere di cui parla Heidegger non è niente di tangibile,di

concreto,non è un fondamento e nemmeno lo si può intendere come Dio,l'

ESSERE di Heidegger non è Dio ma un' apertura nella quale e dalla quale gli

enti sorgono e possono apparire,noi possiamo vedere le stelle la notte solo

perchè c'è lo sfondo scuro del cielo e paragonabile ad uno sfondo entro il quale

le cose sono visibili è l' essere;Heidegger ha usato la metafora della luce e dei

colori per cercare di far comprendere la sua concezione dell' Essere,i colori

sono visibili solo grazie alla luce che però essa stessa non si manifesta ma

rende possibile i colori,,;Esiste come un legame ed una relazione tra

Dettagli
A.A. 2017-2018
11 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/04 Estetica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher martinameneghini di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Estetica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Ferrara o del prof Gatti Andrea.