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CAPITOLO 2 – L’AVVENTO DI SETTIMIO SEVERO E LA DINASTIA SEVERIANA
Da Pertinace e Settimio Severo
All'alba del 1 gennaio 193 il popolo di Roma si risvegliò con un nuovo imperatore: Publio
Elvio Pertinace. Di origine ligure, rispettabile, filosenatorio, privo di figli e anziano, il suo regno
doveva rappresentare per i patres solo una breve parentesi necessaria per una ridefinizione degli
equilibri politici. Stando al racconto di Cassio Dione, la sua azione politica si mosse lungo due
direttrici: pacificazione politica e riassestamento economico. Egli riabilitò le vittime delle
persecuzioni commodiane ma concesse sepoltura al cadavere dell'imperatore, odiato dal senato
ma beniamino della plebe. Sul piano economico tentò di rilanciare la produzione; infine cerò di
contenere l'inflazione e ridurre le spese. Ma quest'ultimo obiettivo gli costò il trono e la vita: i
pretoriani giudicarono inadeguato il donativo concesso e, insoddisfatti, uccisero il parco
imperatore. Dietro l'attentato è da cogliere l'azione del prefetto al pretorio Quinto Emilio Leto.
Mentre a Roma, subito dopo la morte dell’imperatore, l'impero veniva messo all'asta tra il suocero
di Pertinace e Didio Giuliano, che alla fine ebbe la meglio, gli eserciti di stanza ad Antiochia
acclamarono imperatore Pescennio Nigro, quelli della Pannonia Settimio Severo. Settimio
Severo era il tipico rappresentante dei nuovi gruppi sociali emergenti di estrazione provinciale. Egli
si presentò come il difensore della tradizione e vendicatore di Pertinace; marciò su Roma e
raggiunse in giugno la capitale, dove fece uccidere Didio Giuliano, disarmò i pretoriani e sciolse le
coorti. Severo ricacciò in Asia le truppe nemiche presenti in Europa, e alle sue prime vittorie per
Pescennio iniziarono le defezioni. La battaglia decisiva si ebbe ad Isso. Pescennio rifugiatosi ad
Antiochia venne catturato e ucciso, mentre il vincitore senza indugiare si volse subito contro i Parti.
Severo intraprese una campagna fulminea e vittoriosa (la prima campagna partica) che gli valse
la conquista della nuova provincia d'Osroene. Rimaneva da eliminare Clodio Albino, pericoloso
per la sua nobile origine e il consenso di cui godeva presso il Senato. Per legittimare la sua
posizione, Severo si autoadottò nella famiglia degli Antonini e marciò contro l'avversario. Dopo
essere stato acclamato imperatore dalle sue tre legioni nel gennaio 196, Albino organizzò la
resistenza in Gallia, a Lione. Ma era troppo tardi: il 19 febbraio 197 uno scontro duro decise la
vittoria di Severo, che fece uccidere il nemico e lasciò Lione alla furia dei soldati. Lo sviluppo delle
aree provinciali, soprattutto in Oriente, aveva determinato l'affermazione delle istanze della
periferia nei confronti del centro e gli scontri di questi anni si configurano come la manifestazione
di una lacerazione più profonda. Severo rientrò a Roma nel giugno del 197, ma già nell'estate
ripartì per l'Oriente, dove intraprese la seconda campagna partica (197-199): espugnò Ctesifonte
ma sulla via del ritorno fu bloccato dall'eroica resistenza di Hatra. Venne costituita la provincia di
Mesopotamia, dotata di due legioni e affidata a un prefetto di rango equestre. Per quasi 4 anni
(199-202) l'imperatore si trattenne nelle province dell'Oriente ellenistico. Proprio la Siria fu oggetto
di un'importante riorganizzazione amministrativa, venendo divisa in 2 province più piccole per
impedire che i suoi governatori si sentissero tanto potenti da aspirare all’impero. Poi, dopo una
breve sosta nell'Urbe per il festeggiamento dei Decennalia e un soggiorno in Africa, ripartì alla
volta del limes danubiano, per la cura e la riorganizzazione di quelle province occidentali che lo
avevano sostenuto. In politica economica, il suo regnò si caratterizzò per una decisa politica
inflazionistica. Nel 194, alla vigilia dello scontro con Pescennio, con un impero sull'orlo della
bancarotta fu costretto a ridurre il fino del denario portandone il contenuto argenteo al 50%. Con
l'aumento del denaro liquido circolante si favorì la ripresa dei consumi. L'altra sua preoccupazione
fu il benessere dei soldati. I veterani furono gratificati con l'immunità dai munera personalia; ben
più importanti furono altri provvedimenti, come la possibilità per i centurioni di accedere
direttamente all'ordine equestre e per i cavalieri di avere il comando delle 3 legioni partiche
ultimamente costituite. In questo rinnovamento della classe dirigente è soprattutto il ceto equestre
a rappresentare l’elemento propulsivo. L'età severiana è l'età dei grandi giuristi Papiniano,
Treboniano, Ulpiano. Si modificarono anche le attribuzioni dei pretori, dei proconsoli, del prefetto
al pretorio, si procedette alla razionalizzazione delle casse dello stato e si limitarono le prerogative
del senato. Gli ultimi anni di Settimio Severo furono dedicati al problema della successione.
Secondo i piani, i suoi due figli, Caracalla e Geta, avrebbero dovuto dividere il trono; i due giovani,
però, si odiavano. Il vecchio imperatore tentò di sanare la situazione portando con sé i figli in una
spedizione in Britannia. Severo attuò i preparativi per la campagna a partire dal 209, ma la morte
lo colse improvvisamente il 4 febbraio 211 a Eburacum (l’attuale York). I figli si affrettarono a
concludere la pace con i Caledoni, e a rientrare a Roma.
Caracalla
Marco Aurelio Antonino, detto Caracalla (dal nome di una tunica militare con cappuccio
che era solito indossare), non aveva intenzione di condividere il potere con alcuno: già il 27
febbraio 212 fece assassinare Geta. La sua figura non può essere ridotta a quella di un
soldataccio iroso e sanguinario; a dimostrarlo basta l’attenzione alle condizioni economiche dei ceti
inferiori, in particolar modo rurali. Pr attenuare gli effetti catastrofici dell’inflazione, Caracalla
introdusse una nuova moneta, l’antoniniano, corrispondente ad 1 ½ denario ma nominalmente
equivalente a due denarii. Uno dei suoi primi provvedimenti fu la promulgazione della Constitutio
Antoniniana (212): con questo editto veniva concessa la cittadinanza romana a tutti gli abitanti
dell'impero esclusi i dediticii, cioè i contadini egizi soggetti a laografia, i dediticii traci, i laeti gallici
indigeni, ovvero le masse, soprattutto rurali, non toccate dalla romanizzazione. Centrale, nella sua
visione politica, era l'idea dell'importanza della monarchia dei Cesari: al potere celeste di Giove
doveva corrispondere, in terra, un'unica monarchia, quella romana. Le tensioni interne al regno
partico indussero Caracalla ad intervenire tempestivamente anche per prevenire futuri attacchi,
dapprima inglobando la provincia d’Osroene lo stato cuscinetto d’Edessa, e poi tentando una
conciliazione con Artabano chiedendone in sposa la famiglia. Artabano si mostrò comunque poco
conciliante: una prima spedizione contro Artabano venne intrapresa nel 216 e, proprio mentre si
stavano attuando i preparativi per una seconda, l'8 aprile 217, Caracalla venne ucciso a Carre dai
suoi soldati su istigazione del prefetto al pretorio, Marco Opellio Macrino.
Macrino
Egli fu il primo cavaliere ad ascendere al soglio imperiale. Per rafforzare la propria
posizione, Macrino fece leva sul principio dinastico tanto caro ai soldati, associando al potere il
figlio di 9 anni, Diadumeniano; ma certo le truppe non dovettero vedere di buon occhio il suo
atteggiamento remissivo nei confronti dei Parti, dai quali comprò la pace a prezzo di lauti
pagamenti in denaro. Macrino sembra essere stato inoltre poco incline ad assecondarne le
ambizioni economiche dell'esercito. Dopo l'acclamazione, l'imperatore aveva rispedito Giulia
Domna con sua sorella, Giulia Mesa, e le figlie di costei, Giulia Soemia e Giulia Mamea, nella
loro città d'origine, Emesa; e la possibilità di agire sul proprio territorio facilitò l’azione di riscossa
delle intraprendenti principessi. Soltanto tredici mesi dopo l’uccisione di Caracalla, un altro
rampollo della famiglia severiana veniva acclamato Augusto dai legionari di stanza a Raphanaea,
vicino Emesa: si trattava del 14enne, figlioletto di Giulia Soemia, Elagabalo, gran sacerdote di El
Gabal, il dio solare venerato nella città siriaca. Dopo un sanguinoso scontro tra i due eserciti, le
truppe di Elagabalo, guidate dal suo tutore, Gannys, ebbero la meglio, restituendo il trono ai
Severi (luglio 218).
Elagabalo
Elagabalo era prima di tutto un sacerdote, investito della missione di estendere a tutto
l'impero il culto del proprio dio. Elagabalo pensò di poter sostituire la veneranda religione dei Quiriti
con l'adorazione della sua pietra nera, il betilo che raffigurava anticamente la divinità solare
emesena. Essa venne posta nel cuore stesso di Roma, sul Palatino, in un tempio, l'Elagabalium,
fatto costruire appositamente per ospitarla. Rappresentato come gaudente, omosessuale,
dissoluto, anzi persino androgino ed ermafrodito, Elagabalo incarnava la quintessenza dei vizi e
delle turpitudini da sempre connessi, nell'immaginario collettivo romano, alla cultura orientale. Il
governo dell'effeminato Elagabalo apparve dominato dalle donne e dai liberti ad esse legati. Giulia
Mesa indusse il nipote a nominare Cesare il cugino, Severo Alessandro, figlio di Giulia Mamea,
nella speranza che questa diarchia potesse costituire una garanzia di salvezza. Ma i pretoriani non
erano adusi ad accettare compromessi; colta nella figura di Alessandro la possibilità di una
rigenerazione dell'impero, si affrettarono a sbarazzarsi del turpe Elagabalo, che fu ucciso insieme
alla madre Soemia l'11 marzo 222.
Severo Alessandro
Alessandro viene dipinto come il principe ideale; a differenza del cugino, il nuovo
imperatore tentò almeno di riportare la pace sociale. Anche lui giovanissimo, poco incline alla vita
militare, ebbe l'accortezza di circondarsi di collaboratori valenti come Ulpiano, Paolo e Modestino.
Tra i suoi provvedimenti si ricordano la riduzione della tassazione e il nuovo impulso impresso alle
assegnazioni di terre ai veterani. Ebbe inoltre il merito di stabilire intensi legami con i senatori. È
indubbio che il suo governo ebbe un carattere collegiale. Nuove nubi si profilavano però
all'orizzonte. Sul trono di Ctesifonte nel corso degli anni '20, all'ormai indebolita dinastia partica
degli Arsacidi, si sostituì la famiglia dei Sasanidi. Il 28 aprile 224 il sasanide Ardashir sconfiggeva,
nella battaglia di Hormizdaghan, il parto Artaban V: risorgeva l'impero persiano, destinato a
sopravvivere fino alla conquista araba del VII secolo. L'obiettivo di Ardashir era quello di ricostruire
l'antico impero achemenide. Nel 226 attaccò Hatra, per p