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Il canto solistico era utilizzato in una grande varietà di spettacoli: fra gli atti di commedie

recitate si usava intercalare con intermedi di carattere spettacolare o danzereccio, musiche

vocali e strumentali, che non ci sono pervenute se non dai libretti. Le trame di questi

spettacolo con musica erano di tipo allegorico o derivate dalla mitologia.

Molto radicata nel Cinquecento era anche la tradizione della Pastorale Drammatica o

Tragicommedia, ambientati nel mondo agreste dove i personaggi erano rappresentati quasi

sempre fanciulli spensierati e dediti all’arte, alla poesia e alla musica, un mondo arcadico di

fantasia e di sogno che faceva sembrare verosimile che i dialoghi tra i protagonisti

avvenissero cantando anziché parlando (il recitar cantando o l’imitar col canto chi parla,

come indicano le prefazioni dei primi libretti e delle prime partiture). E’ da qui che l’opera in

musica deriva e dalla pastorale conserva diverse caratteristiche: l’aspirazione ad ottenere

compostezza formale e allo stesso tempo, intensità espressiva; la suddivisione del dramma

in 5 episodi, terminanti con un coro;l’adozione del lieto fine;il libero impiego di versi

settenari ed endecasillabi sciolti, senza schema fisso di rime.

Peri, Rinuccini, Emilio de’Cavalieri, Caccini, fecero a gara per accaparrarsi il merito di

questo nuovo canto e di queste nuove opere.

Uno dei caratteri principali dell’opera nascente, che si è poi conservato per lungo tempo, è il

ruolo centrale del cantante: la composizione e la resa si fondano sulle sue capacità. I soggetti

delle prime opere sono di carattere mitologico, tratte da Virgilio e da Ovidio ( Es. di

Euridice

Peri, di Caccini, di Monteverdi)

Euridice Orfeo

L’Orfeo di Monteverdi

Monteverdi esprime il lamento pungente di Orfeo, cantato subito dopo l’annuncio della

morte di Euridice, in uno stile recitativo di grande intensità poetica, segnati da scontri

dissonanti col basso e inusitati cromatismi.

Questa favola in musica fu presentata nel 1607 a Mantova, nel Palazzo Ducale. Come le

Euridice di Peri e Caccini, anche l’Orfeo è suddiviso in 5 atti preceduti da un prologo e

osserva l’usanza del lieto fine. Il clima pastorale predomina soprattutto nei primi due atti ma

nei momenti di maggiore tensione trovano posto gli aspetti drammatici tipici della tragedia.

Nelle prime partiture operistiche il flusso del recitativo viene talvolta interrotto da arie o

canzoni, pezzi dallo svolgimento chiuso che hanno la funzione di dare spicco musicale a

Manuale di Storia della Musica

Riassunti Surian: – Vol I Pag.5

Storia della Musica II - ‘600-’700

Esame di:

determinate scene e che hanno in comune una struttura quasi sempre strofica (ad ogni

strofa si ripete la stessa musica, svolta su un testo di terzine, quartine, sestine o settimine a

base endecasillaba o settenaria, in contrasto con l’irregolarità dei dialoghi e dei monologhi.

In questi brani il rapporto tra testo e musica risulta generico, non come nei recitativi in cui

si mira ad esaltare il senso delle singole parole. Alcuni esempi di queste arie sono contenute

nell’Orfeo: Vi ricorda o boschi ombrosi (Atto II) o Possente spirito (Atto III, una preghiera

che Orfeo rivolge al traghettatore Caronte, Costruita su basso strofico accompagnato da

coppie di strumenti obbligati diversi – violini, cornetti, arpa doppia e di nuovo violini. Questa

preghiera era considerata il momento più alto dell’opera).

Monteverdi fu il primo ad indicare all’inizio della partitura, insieme ai personaggi, anche gli

“Stromenti” da impiegarvi: l’organico risponde ai criteri espressivi dell’opera: gli strumenti

a timbro grave e scuro ( tromboni, viole da gamba, organo di legno) sono riservati alle scene

infernali, mentre gli strumenti dai timbri acuti e soffici (violini, flautini, arpa, clavicembali),

sono usati nelle scene pastorali. I brani strumentali sono chiamati “Sinfonie” e, posti alla fine

di ciascun atto hanno la funzione di anticipare il tono espressivo dell’atto seguente e

accompagnare il cambio di scena, che avveniva sotto gli occhi del pubblico.

Le forme chiuse all’inizio del Seicento furono di larghissimo utilizzo, poiché consentivano

all’interprete di adottare una vocalità maggiormente virtuosa e di attirare maggiormente

l’interesse del pubblico.

L’Opera a Roma

Nei primi decenni del Seicento la vita mondana romana era dominata dalla famiglia

Maffeo Barberini

Barberini, che con l’avvento di e di Papa Urbano VIII, presero l’usanza di

1632

allestire rappresentazioni operistiche di grande impatto scenico nei loro palazzi. Nel si

utilizzò come teatro un palazzo costruito a ridosso del Palazzo Barberini in via 4 Fontane

con capacità di oltre 3000 posti a sedere. Librettista favorito dai Barberini era il prelato

Giulio Rospigliosi, poi Papa Clemente IX, il cui desiderio era quello di equiparare l’opera al

teatro parlato, seguendo le orme del grande drammaturgo spagnolo Pedro Calderòn de la

Barca. La serie dei suoi famosi allestimenti si apre nel 1631 con il che ottenne

Sant’Alessio,

un successo strepitoso e che vide per la prima volta l’inserimento di elementi farseschi e

personaggi comici, che entrarono a far parte delle caratteristiche tipiche delle opere romane

dell’epoca. Come le commedie parlate, anche l’opera romana metteva in scena le situazioni

più disparate ed intrecciate, con un alto numero di personaggi: la realizzazione scenica era

importante quanto la musica ed il costo che la famiglia sosteneva per l’allestimento scenico

era anche superiore ai compensi dei musicisti, i quali erano spesso già al loro servizio. Lo

spettacolo operistico acquisiva sempre più i caratteri di eccezionalità e venivano concesse

poche repliche. La musica doveva essere adattata alle esigenze del dramma. Il recitativo

diventava più discorsivo, i monologhi venivano affidati ai personaggi seri e questi momenti

sono intervallati da brevi episodi cantabili. Una tipica scena madre di molte opere

seicentesche è il Lamento del protagonista, spesso affidato alla donna innamorata e tradita.

In principio era concepita come un lungo recitativo nel quale si avvicendavano stati d’animo

diversi e contrastanti ed il modello era il monologo Lasciatemi Morire, dall’Arianna di

Monteverdi, che rese celebre la cantante Virginia Andreini Ramponi. I compositori diedero

al lamento la forma di un’aria , in genere in ritmo ternario, spesso preceduta e seguita da un

recitativo, formata da una serie di variazioni strofiche su un basso ostinato spesso composto

da un tetracordo diatonico o cromatico discendente ripetuto con qualche variante, che dava

la possibilità di inserire strutture armoniche dissonanti determinate da sincopi, ritardi, per

esprimere meglio l’affetto doloroso.Anche i personaggi comici si esprimono con arie che

hanno spesso ritmi semplici e melodie di sapore popolaresco, con forte sillabazione del testo.

Tra i compositori operanti nella sfera Barberini-Rospigliosi: Michelangelo Rossi (Erminia sul

da La Gerusalemme Liberata del Tasso), Virgilio Mazzocchi (Chi da

Giordano soffre speri,

Decameron di Boccaccio), Marco Marazzoli ( basato su una commedia di

Dal male il bene,

Calderon de la Barca), Luigi Rossi (Il da l’Orlando Furioso

Palazzo Incantato d’Atlante

dell’Ariosto).

L’Opera Impresariale a Venezia dal 1637

Manuale di Storia della Musica

Riassunti Surian: – Vol I Pag.6

Storia della Musica II - ‘600-’700

Esame di:

Il sistema impresariale veneziano 1637

La storia dell’opera si piò dire che abbia inizio nel con l’apertura del primo teatro

Teatro di San Cassiano.

d’opera pubblico a Venezia, il Nel giro di pochi anni ne sorsero altri

San Moisè

5, che presero il nome della Parrocchia in cui si trovavano: Il Teatro di (1639),

SS. Giovanni e Paolo Novissimo Sant’Apollinaire San Luca

dei ( 1639), (1641), (1651), o

San Salvador (1661). Erano edifici in legno, piuttosto piccoli, già in uso per commedie,

acquistati ed adattati per l’opera da alcune grandi famiglie patriarcali veneziane (Tron,

Vendramin, Giustinian, Grimani) e poi dati in gestione ad impresari: i palchi venivano

affittati per tutta la stagione ai nobili mentre i posti in platea erano venduti di sera in sera.

L’apertura dei teatri provocò un nuovo indirizzo nell’attività operistica: nacque l’esigenza di

una struttura organizzativa ed economica, la costanza e regolarità delle produzioni, un

rinnovamento continuo del repertorio che dovevano però mantenere i dettami stilistici

consueti. In del 1681, il librettista Cristoforo Ivanovich espose

Memorie teatrali di Venezia,

le origini, le funzioni e l’organizzazione del sistema impresariale veneziano: esso consisteva

nel produrre nei teatri d’opera “una non inferiore agli ambienti

pompa e uno splendore incredibile”

dei principi. I destinatari erano un pubblico selezionato di nobili e cittadini facoltosi e

Venezia, essendo un centro turistico di prim’ordine, raccoglieva un bacino di utenza

piuttosto ampio. All’interno delle rappresentazioni, veniva svolta una vera e propria

propaganda pubblicitaria della città: diversi sono i libretti che celebrano gli ideali eroici e

che riflettono l’ideologia dello Stato Veneziano (essendo la Repubblica di Venezia considerata

la legittima discendente della Repubblica romana, a sua volta originaria da Troia, frequenti

erano le opere che narravano di soggetti appartenenti alla cultura romana o alle leggende

Jacopo

troiane). Per ottenere il massimo dell’effetto scenico con il minore costo, l’architetto

Torelli (1608-1678) inventò un sistema di quinte scorrevoli che permetteva la mutazione

simultanea delle quinte, attraverso un marchingegno posto sotto al palco e collegato alle

quinte stesse. Soprattutto per una questione di risparmio dei costi, cantanti, scenografi,

compositori, librettisti e strumentisti erano pagati direttamente dall’impresario su base

contrattuale (i compensi dedicati ai cantanti solisti virtuosi – che richiamavano l’interesse

del pubblico – erano di gran lunga superiori a tutti gli altri). Il librettista ricavava spesso un

utile dalla vendita dei libretti che faceva stampare a sue spese. Al compositore operista,

considerato solo un rivestitore di note del lavoro del librettista, spesso non era dato

nemmeno di possedere la partitura originale dell’opera: una volta rappresentata, la

partitura veniva consegnata all’impresario che poteva utilizzarla illimitatamente senza

corrispondere nulla al compositore.Era perciò un lavoro che poteva dare lauti compensi ma

non continuità. I primi operisti ( Caccini, Monteverdi, Cesti, Cavalli, Per

Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
11 pagine
5 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/07 Musicologia e storia della musica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher mir.romano85 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della musica del 600-700 e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Pasquini Elisabetta.