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CIRCOLARI INTERPRETATIVE E AFFIDAMENTO
Ci sono degli strumenti interpretativi privilegiati di cui dispongono gli enti impositori, tra cui
l’Agenzia delle Entrate, e sono le circolari interpretative.
L’Agenzia delle Entrate è una delle parti direttamente interessate nel rapporto d’imposta ed è il
soggetto a cui il legislatore rimette la funzione di interpretazione delle norme dalla stessa applicate.
Che efficacia hanno le circolari interpretative? Vincolano i contribuenti e gli stessi uffici
dell’Agenzia? Vincolano il giudice?
La risposta data dalla Corte di Cassazione è quella nel senso di escludere effetti vincolanti in capo
alle circolari: le circolari non vincolano nessuno (né i contribuenti, i quali sono liberi di adeguarsi al
contenuto delle circolari sia di astenersi; né gli stessi uffici dell’Agenzia, i quali rimarranno fedeli
all’interpretazione dell’Agenzia ma potrebbero anche disattenderla; né il giudice dal momento che
non sono atti normativi, ma sono atti amministrativi dei quali il giudice può tenere conto nello
scrivere la sentenza come criteri di orientamento nell’interpretazione o nell’applicazione di una
norma).
Va segnalato l’articolo 10 dello Statuto del Contribuente: il comma 2 dell’articolo 10 tutela
l’affidamento che il contribuente ripone nelle circolari interpretative. Questa norma riguarda
proprio il caso in cui il contribuente legge la circolare, si attiene all’interpretazione che viene fornita
dalla circolare stessa e in un momento successivo si trova sorpreso dalla notifica di avviso di
accertamento che disattende la stessa interpretazione in precedenza fornita dalla circolare.
Il legislatore si occupa di questo problema e prevede la “non doverosità delle sanzioni” ferma
restando la doverosità dell’imposta.
L’articolo 10 infatti prevede che non sono dovute sanzioni e interessi nel caso appena menzionato;
il contribuente dovrà comunque pagare il maggior tributo dovuto in dipendenza della fattispecie
realizzata.
2) Gli altri due soggetti dell’interpretazione sono il giudice, il quale interpreta le norme di
legge quando scrive le sentenze e la Corte di Cassazione riserva la funzione di adeguamento
e ricerca di uniformità nell’interpretazione e applicazione delle diverse disposizioni. Altro
soggetto è il legislatore, il quale può adottare norme interpretative, cioè norme che hanno la
funzione di chiarire il significato di precedenti disposizioni oscure.
Norme di questo tipo sono benvenute quando vengono effettivamente ad interpretare una
disposizione oscura e quando vengono a scegliere tra gli svariati significati della norma, uno di
questi.
Si ricordi l’articolo 36 del decreto legge 223/2006 che ha interpretato ai fini fiscali il concetto di
area edificabile che in precedenza era oscuro perché diversamente definito da disposizioni di legge
settoriali.
La norma del 2006 è una norma interpretativa in senso proprio, che ha chiarito la portata delle
precedenti disposizioni e produce effetti retroattivi (caratteristica delle norme interpretative che per
loro natura vanno ad incidere su disposizioni precedenti e gioco forza guardano al passato e
producono effetti anche a riguardo di presupposti di imposta prima della loro entrata in vigore). 7
Le norme interpretative mascherate, dietro lo schermo di una interpretazione, intendono innovare
e introdurre principi o criteri nuovi. Sono norme interpretative che non possono essere accettate dal
momento che vengono ad incidere in maniera retroattiva sull’ordinamento tributario in situazioni in
cui non ce ne è bisogno poiché non vi è nulla da chiarire. à
La prassi e la giurisprudenza individua e segnala questa differenza si segnala quindi
l’opportunità delle norme interpretative del primo tipo e l’illegittimità di quelle del secondo.
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I PRINCIPI COSTITUZIONALI (capitolo 4)
Ci soffermiamo sull’articolo 53 il quale contiene due principi di carattere sostanziale: il principio
della capacità contributiva e il principio di progressività.
Il primo comma dispone che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro
capacità contributiva.
Il secondo comma dispone che il sistema tributario è informato a criteri di progressività.
Il principio della cap. contributiva non è una novità della nostra Carta Costituzionale anche se
rappresenta una sostanziale differenza rispetto al passato e infatti nello Statuto Albertino non era
previsto un sistema di cap. contributiva come oggi, ma era previsto un dovere di concorso dei
à
cittadini alle spese pubbliche in termini diversi rispetto a oggi questo dovere di concorso non era
correlato ai doveri di solidarietà, ai principi di uguaglianza…
Infatti il principio di cap. contributiva esprime un dovere di concorso di tutti i cittadini, non
cittadini, residenti e non residenti, alle spese pubbliche.
Il dovere di concorso deve essere poi tradotto in singole disposizioni normative dal legislatore nel
rispetto del principio costituzionale e quindi in particolare del principio della cap. contributiva e con
immediata attenzione alla necessità di colpire con l’imposta dei fatti che siano espressivi di cap.
contributiva posti in essere dal soggetto passivo.
L’articolo 53 esprime al contempo una regola di concorso e di solidarietà e anche una regola di
à
garanzia (principio di garanzia per i contribuenti) se il contribuente è tenuto a dover concorrere
alle spese pubbliche in ragione alla propria cap. contributiva, è anche vero che questo dovere si
arresta laddove non esiste più attitudine al concorso e quindi dove la situazione economica del
contribuente impediscono di ravvisare una ricchezza che sia disponibile per la collettività.
Questo concetto viene espresso con il riferimento all’esigenza di rispetto e all’intangibilità del
minimo vitale dell’individuo e della famiglia.
Il principio di capacità contributiva si applica all’ambito dei tributi (anche se non tutti ma delle
imposte e delle tasse).
Nell’interpretazione della Corte Costituzionale, le imposte sono sempre attratte nell’ambito
applicativo dell’articolo 53; mentre le tasse lo sono solo quando vanno a toccare la sfera giuridico-
patrimoniale del contribuente in misura superiore di quello che rappresenta il corrispettivo del
servizio pubblico reso dall’Ente pubblico, cioè quando si abbandona la logica di sinallagmaticità
che regge la previsione e la disciplina delle tasse nel nostro sistema.
L’articolo 53 non interessa altre prestazioni, come le sanzioni, le quali possono essere stabilite dal
legislatore in misura anche molto marcata e senza che vi sia una stretta correlazione con l’imposta
dovuta per effetto della sanzione che viene menzionata. 8
L’articolo 53 impone al legislatore ordinario di andare ad individuare e di tassare i fatti indici
espressivi di capacità contributiva.
Il nostro ordinamento individua i fatti indici espressivi di capacità contributiva, direttamente o
indirettamente espressivi di una forza economica in capo al contribuente.
I fatti indice per eccellenza sono il reddito e il patrimonio (imposte dirette)
Vi sono poi imposte indirette che colpiscono indici indirettamente espressivi di cap. contributiva e
sono le imposte sul consumo e sui trasferimenti di ricchezza (IVA e imposta di successione).
Vi sono indici problematici di cap. contributiva, con riferimento ai quali si è posto il problema della
legittimità costituzionale dell’imposizione.
Si pensa all’IRAP, la quale colpisce il valore aggiunto della produzione, cioè una grandezza diversa
dal reddito e in riferimento alla quale si è chiesti se la relativa disciplina sia rispettosa del principio
della cap. contributiva dal momento che questa imposta non da rilievo a determinati costi di
produzione del professionista e quindi può determinare la tassazione di determinati soggetti passivi
che risultano in perdita ai fini reddituali.
La Corte ha salvato l’imposta escludendo la violazione dell’articolo 53 ritenendo che il valore
aggiunto della produzione sia un fatto indice espressivo di cap. contributiva assoggettabile ad
imposta dal momento che ha individuato il presupposto giustificativo del tributo nel dominio dei
fattori produttivi da parte dell’imprenditore, e quindi nella presenza di una organizzazione
autonoma di cui l’imprenditore dispone e che da sole giustifica l’assoggettamento all’imposta.
La stessa corte ha concluso che l’imposta in coerenza con queste premesse, non è dovuta da coloro
che non dispongono di un’autonoma organizzazione poiché non sono in grado di dominare i fattori
produttivi (professioni e imprenditori privi di beni strumentali, dipendenti, finanziamenti).
Il principio di cap. contributiva presenta diverse forme di declinazione e interessa profili di
uguaglianza, effettività, attualità nel prelievo.
La corte Costituzionale quando applica l’articolo 53 lo fa molto spesso in parallelo con l’articolo 3
della costituzione, quindi con il principio di uguaglianza sostanziale e si viene a chiedere se la
norma tributaria debba essere dichiarata incostituzionale perché tale da assoggettare a diversa
imposizione fatti che siano espressivi di una medesima cap. contributiva (o viceversa).
à
Sono numerose le sentenze della corte costituzionale sentenza del 2008 che ha escluso profili di
incostituzionalità nella disciplina dettata dall’articolo 10 del Testo unico delle imposte sui redditi in
tema di deducibilità dell’assegno alimentare corrisposto dal soggetto passivo per le necessarie
esigenze di mantenimento dei propri famigliari e invece l’indeducibilità dell’assegno di
mantenimento dei figli corrisposto dal coniuge separato o divorziato.
Il profilo dell’effettività della cap. contributiva viene menzionato dal momento che ci sono diverse
disposizioni che non rispettano questo criterio poiché vanno a tassare un reddito presunto, stimato e
che non è effettivo e di cui il legislatore non cerca di andare ad individuare nella sua effettività.
Il profilo di attualità del prelievo, implica un immediato richiamo alle norme impositive retroattive
le quali sono incostituzionali violando l’articolo 53 a meno che colpiscano presupposti di imposta
che pur realizzati nel passato siano ancora ragionevolmente espressivi di una forza economica
attuale, cioè situazioni nelle quali si possa ragionevolmente ritenere che la ricchezza prodotta nel
passato dal soggetto passivo sia ancora nella sua materiale disponibilità