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Portata del divieto

1. Divieto di iniziare una nuova impresa:

Ai fini della violazione del divieto di cui all'art. 2557 c.c., è sufficiente anche l'idoneità della nuova impresa a sviare la clientela, non essendo necessario che la nuova attività abbia effettivamente già causato la sottrazione della clientela dell'azienda ceduta (c.d. danno potenziale). L'esistenza del danno potenziale, integrando la violazione dell'art. 2557 c.c., crea il presupposto giuridico perché l'acquirente possa chiedere la risoluzione del contratto di cessione di azienda o, in alternativa, possa esperire l'azione inibitoria nei confronti dell'alienante. Qualora venga data la prova anche del danno effettivo (ossia che la violazione del divieto da parte dell'alienante ha determinato una reale sottrazione della clientela all'azienda ceduta), allora l'acquirente può chiedere anche il risarcimento.

del danno subito. Non viola il divieto di concorrenza colui che, alienando un'azienda, continua ad esercitare l'attività di impresa (in concorrenza con quella svolta dall'azienda ceduta) che svolgeva già prima dell'alienazione, con altra azienda o con un ramo non alienato dell'azienda ceduta, in quanto in tal caso non vi sarebbe inizio nuova attività di impresa.

Non si ha, invece, violazione del divieto di concorrenza nel caso in cui, alienata un'azienda che di fatto non risulta essere stata mai in concreto utilizzata per l'esercizio di attività di impresa, l'alienante dia inizio ad una nuova attività, in concorrenza con quella che costituiva astrattamente l'oggetto dell'azienda ceduta (in tal caso, infatti, non sarebbe necessario - né possibile - assicurare all'acquirente il godimento della clientela trasferita, in quanto nessuna clientela è stata oggetto di trasferimento).

2.

LIMITI DEL DIVIETO DI CONCORRENZA Durata del divieto: il divieto legale di concorrenza ha durata massima di cinque anni. Tale termine è inderogabile dalle parti (art. 2557, co. 2). L'art. 2557, co. 3, stabilisce inoltre che "Se nel patto è indicata una durata maggiore o la durata non è stabilita, il divieto di concorrenza vale per il periodo di cinque anni dal trasferimento". È opinione prevalente che il limite temporale di durata del divieto di concorrenza, se non è derogabile in aumento; tuttavia, può dalle parti essere convenzionalmente ridotto, qualora esse dovessero ritenere, ad esempio, che un periodo di tempo inferiore a cinque anni sia comunque sufficiente a garantire l'acquirente dell'azienda contro pericoli di sviamento della clientela derivanti da pratiche concorrenziali poste in essere dall'alienante. Oggetto, ubicazione ed altre circostanze: il divieto di concorrenza ha carattere relativo:

L'operatività del divieto rimane infatti subordinata ad un giudizio rimesso alla valutazione discrezionale del giudice investito della controversia, avente ad oggetto l'idoneità della nuova impresa a sviare la clientela di quella ceduta.

Objetto: la nuova impresa, eventualmente iniziata dall'alienante, non deve avere un oggetto tale da poter determinare lo sviamento della clientela dell'azienda ceduta. Affinché possa considerarsi violato il divieto, non è identico necessario che l'oggetto della nuova impresa sia del tutto a quello succedanei, dell'azienda ceduta, dovendosi il divieto estendere anche a beni ove idonei a sviare la clientela (costituisce, dunque, violazione del divieto anche l'inizio, da parte dell'alienante, di un'impresa che produce beni che, seppur non identici rispetto a quelli prodotti dall'azienda ceduta, siano in grado tuttavia di sostituire questi ultimi sul mercato).

Ubicazione: è

da ritenersi violato il divieto qualora chi aliena un'azienda ne inizi poi un'altra destinata a svolgere la propria attività (uguale o comunque simile a quella dell'azienda alienata) anche solo parzialmente nel territorio dove l'azienda ceduta ha da sempre operato; allo stesso modo, il divieto può dirsi violato anche quando l'alienante inizi una nuova impresa, la localizzi altrove rispetto al luogo dell'impresa ceduta e, tuttavia, ne estenda l'attività fino alla zona o a parte della zona in cui già opera l'azienda ceduta. Al contrario, invece, non sembrerebbe che il divieto di concorrenza risulti violato nel caso in cui la nuova attività di impresa, iniziata dall'alienante, venga svolta in un territorio o su di un mercato che solo potenzialmente potrebbe essere oggetto di interesse dell'azienda ceduta. Altre circostanze: si può pensare all'ipotesi in cui il cedente inizi una nuova impresa, ma in una diversa ubicazione.

avente ed diversi da quelli dell'impresa ceduta, sostenuta da una campagna pubblicitaria mirante a sottrarre clienti all'azienda ceduta, perché prospetta, ad esempio, i beni prodotti dalla nuova impresa come idonei a soddisfare bisogni analoghi rispetto a quelli soddisfatti con i beni dell'azienda ceduta.

DIVIETO CONVENZIONALE DI CONCORRENZA derogare, le parti possono sia pure entro certi limiti, alla disciplina di cui all'art. 2557 c.c.

Ampliamento della portata del divieto: la disposizione attribuisce espressamente alle parti la facoltà di ampliare i limiti del divieto legale di concorrenza, prevedendo ad esempio che il cedente non possa iniziare una nuova impresa neppure in ambiti territoriali nei quali, al momento dell'alienazione, l'azienda ceduta ancora non opera, ma vuole in futuro estendere la propria sfera d'azione; oppure, stabilendo che il cedente debba astenersi dal dare vita ad aziende che producano non solo i beni

già prodotti dall'azienda ceduta, ma anche di altro tipo che il cessionario dell'azienda ha, in futuro, intenzione di produrre. Riduzione della portata del divieto/esclusione dello stesso: considerato il carattere derogabile della disciplina del divieto di concorrenza e, contemporaneamente, il rilievo solo privatistico degli interessi che esso mira a tutelare, la dottrina e la giurisprudenza sostengono che i limiti a tale divieto possono non solo essere ampliati, secondo quanto espressamente previsto, ma anche ristretti, escludere fino ad arrivare ad del tutto l'obbligo di non concorrenza a carico di colui che aliena l'azienda. In particolare, il cessionario è libero di accettare il rischio che può derivare dalla potenziale concorrenza dell'alienante, eventualmente decidendo di attribuire un valore a tale rischio e, quindi, d'accordo con il cedente, fissando un prezzo di acquisto che tenga conto anche di tale rischio che egli si assume in.

limiti più ampi di quelli legali. Limiti alla derogabilità: la derogabilità alla disciplina legale del divieto di(i)concorrenza incontra due limiti: l'ampliamento eventuale del divieto di concorrenza(ii)non deve essere tale da impedire ogni attività professionale dell'alienante; il divieto non può eccedere la durata di cinque anni dal trasferimento.

AMBITO DI APPLICABILITÀ DEL DIVIETO chi aliena l'azienda, l'art. 2557, co. 1, c.c. pone il divieto di concorrenza a carico di così individuando il soggetto passivo dell'obbligo di non concorrenza. La dottrina e la giurisprudenza si sono trovate spesso a dover stabilire se è possibile estendere o meno il divieto a soggetti diversi da quelli espressamente individuati dalla norma: Fallimento dell'impresa cedente (rinvio): si discute sull'applicabilità del divieto di concorrenza a carico dell'imprenditore fallito. Sul punto,

v.cessione di azienda nel fallimento;

Cessione di quote di partecipazione societaria: la giurisprudenza prevalente nega il carattere di eccezionalità all'art. 2557 c.c. e lo ritiene conseguentemente applicabile all'ipotesi di cessione di quote di partecipazione societaria, ove detto trasferimento realizzi il presupposto di un pericolo concorrenziale analogo a quello conseguente alla cessione di azienda vera e propria (ove dunque emerga, dal complesso delle circostanze di fatto oltreché dal contenuto dello stesso negozio di cessione, la funzione concreta e non equivoca di effettiva sostituzione di un soggetto ad un altro nella conduzione della struttura aziendale);

Socio receduto: secondo la giurisprudenza prevalente, il divieto di concorrenza non è applicabile al socio receduto da una società in nome collettivo che, dopo lo scioglimento del rapporto sociale, inizi in proprio o in società con altri un'attività concorrente con

quella della società titolare dell'azienda, dal momento che in caso di recesso non si determina alcun trasferimento diretto o indiretto dell'azienda (in tal senso, v. Cass., 17 aprile 2003, n. 6169, secondo la quale la disposizione prevista dall'art. 2557, nonostante il suo carattere non eccezionale e la sua possibile estensione ai casi di cessione di quote di partecipazione societaria, non è applicabile al socio che recede da società in nome collettivo);

Esercizio di impresa da parte dell'alienante in modo indiretto: secondo la giurisprudenza, viola il divieto di concorrenza anche chi, alienata un'azienda, ne esercita una nuova non in modo diretto, bensì tramite altre persone. Così, si avrebbe violazione del divieto in caso di: esercizio mediante l'utilizzo di un prestanome; esercizio di un'azienda in nome e per conto altrui; esercizio mediante partecipazione a società in nome collettivo che

on è ritenuta grave e sostanziale (ad esempio, se l'attività concorrente è di dimensioni rilevanti e pregiudica in modo significativo l'azienda ceduta);(iii) il diritto di richiedere il pagamento di una penale, se prevista nel contratto di cessione, per ogni violazione dell'obbligo di non concorrenza;(iv) il diritto di richiedere il sequestro preventivo dei beni utilizzati per l'attività concorrente, al fine di evitare ulteriori danni all'azienda ceduta;(v) il diritto di richiedere il risarcimento del danno morale, se la violazione dell'obbligo di non concorrenza ha causato un pregiudizio reputazionale all'azienda ceduta.
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Publisher
A.A. 2021-2022
109 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/04 Diritto commerciale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher diegocarboni di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto delle operazioni straordinarie e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Vattermoli Daniele.