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Wittgenstein) = concepire un concetto come ‘somiglianza di famiglia’
e impiegare frequentemente esempi per passare dal particolare al
generale. Filosofia VS. Moda
• La moda non è mai stata, né è ancora oggi, un argomento corrente
in campo filosofico: “tradizionalmente non è stata considerata un
oggetto degno di studio” e, in fondo, “scrivere di moda contrasta con
l’essenza della filosofia”, per come quest’ultima si è concepita dai
Greci in poi.
• “A partire da Platone” (428-348 a.C.) “abbiamo distinto fra realtà in
sé e sue rappresentazioni, fra profondità e superficie. E la moda è
sempre superficie”: essa è stata “negletta dai filosofi” perché ritenuta
“fenomeno troppo superficiale perché gli si possa concedere
un’analisi seria”. “Via” di L.S.
• Nesso moda/identità (suggerito da Simmel, peraltro)
= “i vestiti sono una componente determinante della costruzione
sociale del sé. L’identità non ci viene più data dalla tradizione” (crisi
della modernità ecc.), ma è ormai “qualcosa che ci dobbiamo
scegliere in forza del nostro ruolo di consumatori”:
“tutti noi dobbiamo esprimere chi siamo attraverso la nostra
apparenza esteriore” (dialettica essenza/apparenza = anti-
platonismo) “e tale espressione dovrà necessariamente dialogare
con la moda” -
• Dinamiche ‘bivalenti’ (duplice funzione) della moda:
- “non attua solo differenziazione fra i ceti, come si rivela nelle
analisi sociologiche, […] ma nella stessa misura permette al singolo
di esprimere se stesso”
- mondo di oggi (postmoderno, secondo Svendsen) = “mondo che
eleva la moda a principio”, e così da un lato “siamo costantemente
stimolati da ‘nuovi’ fenomeni e prodotti”, ma dall’altro “ci annoiamo”;
da un lato “ci liberiamo da legami tradizionali”, ma dall’altro ci
rendiamo da soli “schiavi di nuove istituzioni”;
da un lato “ci sforziamo sempre più di esprimere la nostra
individualità specifica”, ma dall’altro “raggiungiamo solo
un’impersonalità astratta”.
Svendsen CAP. 2
• ARGOMENTO DEL CAPITOLO:
Il principio che è alla base della moda,
individuato da Svendsen ne “il Nuovo”.
Concetto di ‘nuovo’: moda e modernità
• MODA = fenomeno non universale, non presente in ogni luogo e
tempo, non radicato nella natura umana = prodotto di una certa
evoluzione storica ben precisa; più precisamente, fenomeno della
modernità occidentale
• Nascita della moda = tardo Medioevo/primo Rinascimento, quindi
XV secolo (‘400), anche se essa “nell’accezione moderna (…) non
si caratterizzò come forza rilevante prima del ‘700”.
• Epoche pre-moderne = “società conservatrici”, “stili durevoli”; scarso
impulso alle modifiche nell’abbigliamento; “impulso ad adornarsi”
che però non seguiva vere e proprie mode; “linee fondamentali di
acconciature, abiti, gioielli che si mantennero più o meno intatte
attraverso le generazioni”. -
• Fine ‘300/Inizio ‘400 = crescita economica, sviluppo di capitalismo
mercantile e, legate a ciò, modificazioni culturali di vario tipo, anche
nell’abbigliamento (“cambiamento desiderato in sé e per sé”).
• Modificazioni nello stile, però, all’inizio accessibili solo a pochi (i
ricchi) cambiamento reale nel ‘700, quando “crebbe una
→
borghesia cittadina che competeva per il potere con l’aristocrazia
feudale e utilizzava i vestiti per fare mostra del suo status sociale”.
• Rapporto moda/società = strettamente legate, ma senza
condizionamento unilaterale (vd. sociologismo ‘riduzionistico’ ecc.)
“le mode si creano innanzitutto sulla base di quelle precedenti”,
→
“la moda si sviluppa più in risposta a sollecitazioni interne che in
dialogo con l’evoluzione della società”.
-
• Definizione di Svendsen:
“Per parlare di moda non è sufficiente che un cambiamento abbia
luogo una rara volta ogni tanto. Si parla di moda solo quando il
cambiamento è ricercato di per sé e avviene a un ritmo
relativamente incalzante”.
“Scopo della moda è essere potenzialmente infinita, ovvero creare
nuove forme e costellazioni all’infinito”, senza telos o giustificazione
ulteriore che non sia questa creazione-produzione stessa.
Moda e modernità
• MODA = Avvenimento decisivo della storia, che condivide con la
modernità il tratto fondamentale della novità, della “soppressione
delle tradizioni”, e addirittura “determina la direzione della
modernità”.
Essa però contiene “anche un elemento che la modernità
disconoscerebbe”, e cioè l’irrazionalità del “cambiamento per il puro
cambiamento, mentre invece la modernità vede se stessa come un
cambiamento” dotato di senso, di fine-scopo, di progresso razionale.
“La moda è irrazionale nel senso che persegue il cambiamento per il
cambiamento”, promuovendo “modificazioni superficiali”, senza
“esigenze più profonde” (superficie/profondità = moda/filosofia),
dunque al solo scopo di “rendere obsoleti gli oggetti sulla base di
requisiti inessenziali” e non certo in vista di un progresso.
-
• Modernità = epoca basata sulla “rappresentazione del ‘nuovo’”, sulla
“distinzione tra ‘vecchio’ e ‘nuovo’”, sull’idea che “essere moderno
[sia] un valore in sé” (a differenza, per es., del Medioevo), con
l’avvento di “una nuova concezione del tempo e della storia”,
secondo cui “essere ‘moderno’ [è] sinonimo di essere ‘nuovo’”. “Il
nuovo si afferma come auto-fondante”.
• Moda = fondata proprio su questa ‘logica’ (“costante corrente di
‘nuovi’ oggetti che ne sostituiscono altri, che a loro volta sono stati
‘nuovi’ ma che sono diventati ‘vecchi’”), come riconosciuto da “tutti i
teorici della moda” (a eccezione dell’architetto austriaco Adolf Loos,
secondo Svendsen). -
• Moda e modernità accomunata anche dalla loro fondamentale
ambiguità (cfr. anche E. Wilson, Vestirsi di sogni)
• Modernizzazione “consta di un duplice movimento: la liberazione,
infatti, implica sempre una costrizione”, cioè aprirsi a “una forma di
realizzazione di sé” non può che precluderne altre: alla fine,
“un’oppressione sostituisce la precedente”, essere ‘nuovi’ e
‘moderni’ a tutti i costi diventa un nuovo assoggettamento più che
una liberazione!
• Analogamente la moda è per sua natura relativistica e ‘anti-
totalitaria’ (col suo “rinnovamento costante mina la sussistenza di
verità universali”), ma “è anche il fenomeno più totalitario del mondo
moderno, perché assoggetta tutti i campi alla sua logica e diventa
onnipresente”. -
• Kant, Baudelaire, Mallarmé, Valéry su bellezza, temporalità
(transitorio/eterno), ‘nuovo’, moda (pp. 25-27).
• Moda e arte moderna = “guidate da una ‘compulsione innovativa’”,
assoggettate all’imperativo di non “mantenersi all’interno dei confini
della tradizione” (come gli artisti pre-moderni) ma di “creare sempre
qualcosa di nuovo”. Decadenza dell’ideale estetico della bellezza e
affermazione dell’“esigenza del ‘nuovo’ (…) come fattore decisivo: è
il trionfo della logica insita nella moda su tutte le altre determinazioni
estetiche”.
• In particolare, avanguardie artistiche ‘900 = “mantra (della) richiesta
di originalità”, “culto della novità” ma “volto a creare il
‘definitivamente nuovo’”, che in quanto tale non rientra nella “logica
della moda”.
• La moda non sottostà “a questa illusione” (es. Mark Rothko) = per
Svenden la moda è paradossalmente più autocosciente dell’arte
moderna su questo punto.
Cambiamenti (problematici)
nella ‘logica’ della moda
• “L’essenza della moda è la fugacità”, la “richiesta di innovazione
radicale”, la “caccia costante all’originalità”.
Il fatto che Svendsen individui l’essenza (dunque, un tratto stabile,
unico, universale) della moda non implica però l’assenza di
cambiamenti nella sua storia. Ciò è particolarmente evidente in
relazione alla dimensione temporale.
• “Tempo e spazio si sono via via compressi”, e così se prima la moda
“sembrava avere una temporalità più lineare, man mano ne ha
acquisito una ciclica”, o meglio: “è sempre esistito un elemento
ciclico” (nel senso di ripetizione, anziché evoluzione, di stili) nella
moda, ma un tempo “i cicli avevano durata molto maggiore e la
moda in genere si proiettava in avanti”.
-
• Nella moda si dà per scontato che “tutto ciò che è nuovo verrà
presto sorpassato da qualcosa di ancora più nuovo”.
• Dagli anni ’70 a oggi, tuttavia, la moda sembra avere “una memoria
fin troppo buona” ed “è diventata sempre più un dialogo con il suo
passato, a cui attinge per rinnovare il nuovo”.
A partire dagli ultimi decenni del ‘900, la moda non sembra più
“creare nuove forme” quanto piuttosto “giocare con quelle vecchie”
= paradossalmente ci si rivolge al ‘vecchio’ per produrre il ‘nuovo’.
Ciò rappresenta un sintomo di crisi della logica della moda, la cui
causa è la “estrema rapidità” dei cambiamenti nella moda.
-
• La moda procede per ‘cicli’ (ciclo = “spazio temporale fra
l’introduzione di una moda e la sua sostituzione con un’altra”) e, in
base al principio del ‘costantemente nuovo’, è portata