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Il contatto sociale e l'obbligazione senza prestazione

Al riguardo, vale precisare, non si tratta di contatto sociale dal quale insorge, secondo quanto prospettato da una parte della dottrina, una obbligazione senza prestazione. Nel contatto sociale è infatti da ravvisarsi la fonte di un rapporto che quanto al contenuto non ha ad oggetto la "protezione" del paziente bensì una prestazione che si modella su quella del contratto d'opera professionale, in base al quale il medico è tenuto all'esercizio della propria attività nell'ambito dell'ente con il quale il paziente ha stipulato il contratto, ad essa ricollegando obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi emersi o esposti a pericolo in occasione del detto "contatto", e in ragione della prestazione medica conseguentemente da eseguirsi.

In altri termini, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, l'esistenza di un contratto è rilevante solo al fine di...

stabilire se il medico è obbligato alla prestazione della sua attività sanitaria (salve le ipotesi in cui detta attività è obbligatoria per legge: ad es. art. 593 c.p., Cass. pen., 10/4/1978, n. 4003, Soccardo). In assenza di dette ipotesi di vincolo il paziente non può invero pretendere la prestazione sanitaria dal medico, ma se il medico in ogni caso interviene (ad es., in quanto al riguardo tenuto nei confronti dell'ente ospedaliero) l'esercizio della sua attività sanitaria (e quindi il rapporto paziente-medico) non può essere differente nel contenuto da quello che abbia come fonte un comune contratto tra paziente e medico (v. Cass., 22/1/1999, n. 589). Si è esclusa la configurabilità in tale ipotesi della responsabilità aquiliana, rinvenendosi una responsabilità di tipo contrattuale, per non avere il soggetto fatto ciò cui era tenuto. La situazione descritta generalmente si riscontra nei

confronti dell'operatore di una professione cd. protetta (cioè una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione da parte dello Stato), in particolare quando il relativo espletamento concerna beni costituzionalmente garantiti, come appunto per l'attività medica, che incide sul bene "salute" tutelato ex art. 32 Cost.. A tale stregua, la responsabilità sia del medico che dell'ente ospedaliero trova titolo nell'inadempimento delle obbligazioni ai sensi degli artt, 1218 ss. c.c. Trattandosi di obbligazione professionale, la misura dello sforzo diligente necessario per il relativo corretto adempimento va considerato in relazione al tipo di attività dovuta per il soddisfacimento dell'interesse creditorio. Al riguardo, in base al combinato disposto di cui all'art. 1176 c.c., comma 2, e art. 2236 c.c. la diligenza richiesta è già quella ordinaria, del buon padre di famiglia bensì quella

ordinaria del buon professionista e cioè la diligenza normalmente adeguata in ragione del tipo di attività e alle relative modalità di esecuzione. Nell'adempimento dell'obbligazione professionale va infatti osservata la diligenza qualificata ai sensi dell'art. 1176 c.c., comma 2, (che costituisce aspetto del concetto unitario posto dall'art. 1174 c.c.: cfr. Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 1122/12/1999, n. 589), quale modello di condotta che si estrinseca (sia esso professionista o imprenditore) nell'adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili, in relazione alla natura dell'attività esercitata, volto all'adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell'interesse creditorio, nonché ad evitare possibili eventi dannosi. Lo specifico settore di competenza in cui rientra l'attività esercitata richiede infatti la specifica

conoscenza ed applicazione delle cognizioni tecniche che sono tipiche dell'attività necessaria per l'esecuzione dell'attività professionale. Come in giurisprudenza di legittimità si è già avuto modo di porre in rilievo, i limiti di tale responsabilità sono invero quelli generali in tema di responsabilità contrattuale, presupponendo questa l'esistenza della colpa, lieve del debitore, e cioè il difetto dell'ordinaria diligenza. Al riguardo si è ulteriormente precisato che il criterio della normalità va valutato con riferimento alla diligenza media richiesta, ai sensi dell'art. 1176 c.c., comma 2, avuto riguardo alla specifica natura e alle peculiarità dell'attività esercitata. In argomento, atteso che questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo come la limitazione di responsabilità professionale del medico ai casi di dolo o colpa grave ex art. 2236 c.c. siapplica nelle sole ipotesi che presentano problemi tecnici di particolare difficoltà, in ogni caso attenendo esclusivamente all'imperizia e non anche all'imprudenza e alla negligenza e considerato quanto sopra posto in rilievo in tema di affidamento del paziente, deve ulteriormente precisarsi che la condotta del medico specialista (a fortiori se tra i migliori del settore) va esaminata non già con minore ma semmai al contrario con maggior rigore ai fini della responsabilità professionale, dovendo avere riguardo alla peculiare specializzazione e alla necessità di adeguare la condotta alla natura e al livello di pericolosità della prestazione, implicante scrupolosa attenzione e adeguata preparazione professionale. In quanto la diligenza (che, come posto in rilievo anche in dottrina, si specifica nei profili della cura, della cautela, della perizia e della legalità, la perizia in particolare sostanziandosi nell'impiego delleabilità e alle conoscenze tecniche peculiari dell'attività esercitata, con l'uso degli strumenti normalmente adeguati; ossia con l'uso degli strumenti comunemente impiegati, in relazione all'assunta obbligazione, nel tipo di attività professionale o imprenditoriale in cui rientra la prestazione dovuta) deve valutarsi avuto riguardo alla natura dell'attività esercitata (art. 1176 c.c., comma 2), al professionista, e a fortiori allo specialista, è richiesta una diligenza particolarmente qualificata dalla perizia e dall'impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di attività da espletarsi. A tale stregua l'impegno dal medesimo dovuto, se si profila superiore a quello del comune debitore, va considerato viceversa corrispondente alla diligenza normale in relazione alla specifica attività professionale esercitata, giacché il professionista deve impiegare la perizia ed i mezzi tecnici adeguati allostandard professionale della sua categoria, tale standard valendo a determinare, in conformità alla regola generale, il contenuto della perizia dovuta e la corrispondente misura dello sforzo diligente adeguato per conseguirlo, nonché del relativo grado di responsabilità. Come si è osservato in dottrina, il debitore è di regola tenuto ad una normale perizia, commisurata al modello del buon professionista (secondo ciò è una misura obiettiva che prescinde dalle concrete capacità del soggetto, sicché deve escludersi che il debitore privo delle necessarie cognizioni tecniche sia esentato dall'adempiere l'obbligazione con la perizia adeguata alla natura dell'attività esercitata), mentre una diversa misura di perizia è dovuta in relazione alla qualifica professionale del debitore in relazione ai diversi gradi di specializzazione propri dello specifico settore professionale. Ai diversi gradi di specializzazione

corrispondono infatti diversi gradi di perizia. Può allora distinguersi tra una diligenza professionale generica e una diligenza professionale variamente qualificata. Chi assume un'obbligazione nella qualità di specialista, o una obbligazione che presuppone una tale qualità, è tenuto alla perizia che è normale della categoria. Lo sforzo tecnico implica anche l'uso degli strumenti materiali normalmente adeguati, ossia l'uso degli strumenti comunemente impiegati nel tipo di attività professionale in cui rientra la prestazione dovuta. La misura della diligenza richiesta nelle obbligazioni professionali va quindi concretamente accertata sotto il profilo della responsabilità. Con specifico riferimento all'attività ed alla responsabilità del medico cd. "strutturato" si è in giurisprudenza di legittimità affermato che il medico e l'ente sanitario sono contrattualmente impegnati al risultato dovuto,

quello cioè conseguibile secondo criteri di normalità, da apprezzarsi in relazione alle condizioni del paziente, alla abilità tecnica del primo e alla capacità tecnico-organizzativa del secondo. Il normale esito della prestazione dipende allora da una pluralità di fattori, quali il tipo di patologia, le condizioni generali del paziente, l'attuale stato della tecnica e delle conoscenze scientifiche (stato dell'arte), l'organizzazione dei mezzi adeguati per il raggiungimento degli obiettivi in condizioni di normalità, ecc.. Normalità che risponde dunque ad un giudizio relazionale di valore, in ragione delle circostanze del caso. La difficoltà dell'intervento e la diligenza del professionista vanno valutate in concreto, rapportandole al livello di specializzazione del professionista e alle strutture tecniche a sua disposizione, sicché il medesimo deve, da un canto, valutare con prudenza e scrupolo i limiti della.propria adeguatezza professionale, ricorrendo anche all'ausilio di un consulto (se la situazione non è così urgente da sconsigliarlo); e, da altro canto, deve adottare tutte le misure volte a ovviare alle carenze strutturali ed organizzative incidenti sugli accertamenti diagnostici e sui risultati dell'intervento, e laddove ciò non sia possibile, deve informare il paziente, financo consigliandogli, se manca l'urgenza di intervenire, il ricovero in una struttura più idonea. Emerge evidente, a tale stregua, che il risultato normalmente conseguibile per i migliori specialisti del settore operanti nell'ambito di una determinata struttura sanitaria ad alta specializzazione tecnico-professionale non può considerarsi tale per chi sia viceversa dotato di minore grado di abilità tecnicoscientifica, ovvero presti la propria attività presso una struttura con inferiore organizzazione o dotazione di mezzi, ovvero in una strutturasanitariapolivalente o "generica", o, ancora, in un mero presidio di "primo intervento". Ne consegue che anche per il migliore specialista del settore il giudizio di normalità va allora calibrato avuto riguardo alla struttura in cui è chiamato a prestare la propria opera professionale. Laddove lo spostamento v
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Publisher
A.A. 2009-2010
21 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/10 Diritto amministrativo

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Atreyu di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto Sanitario e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Corso Guido.