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riconosce alla responsabilità un valore etico che l’uomo, per essere considerato tale, ha il
dovere di assumersi; una responsabilità che affonda le sue radici in una coscienza capace
di procedere da sé in autonomia decisionale e solo a partire da essa l’uomo conosce,
decide e agisce. E’ sulla base di tali affermazioni che Eugenio Borgna costruisce,
mattone dopo mattone, la sua opera: responsabilità come dovere etico e morale. Ma la
responsabilità implica la libertà e la libertà del singolo intacca a sua volta la libertà del
prossimo: essere responsabili significa allora considerare la propria vita come un piccolo
tassello di un grande puzzle; è proprio questo che caratterizza la prospettiva etica: ogni
uomo, in quanto soggetto pensante e agente, è chiamato a considerare la propria
esistenza come un tutto integrale, “una circolarità di esperienze che ci rendano
consapevoli di quanta sia la responsabilità nel determinare i modi di essere e di
comportarsi degli altri.” Esistenze legate tra loro da un filo sottile ed invisibile e che
nessun essere umano dovrebbe voler mai spezzare; ma quando questa corda già fragile in
partenza, rinnova la sua debolezza e talvolta raggiunge la rottura completa?
L’autore ci presenta il caso estremo di Antonia Pozzi, studentessa e scrittrice milanese
morta suicida all’età di ventisei anni. Ella sembra rispecchiare perfettamente l’immagine
di una donna dal cuore smarrito ed inquieto che va cercando continuamente un appiglio
a cui sostenersi. Poesie, lettere dal sapore di speranze infrante sono l’ultimo grido
bruciante di Antonia: il bisogno di comunicare e mantenere contatti umani non è
estraneo neanche alle anime “fragili e sensibili, gentili ed introverse, anelanti
all’assoluto, che giungano alla scelta estrema di rinunciare alla vita”. Ma l’appiglio a cui
cerca di aggrapparsi si rivela incapace di sorreggere il greve macigno della ragazza,
oramai appesantito da una sconfinata tristezza dell’anima: spezzare il filo le rimane
l’unica ragione per sperare. Un finale dalle sorti simili quello di Virginia Woolf,
scrittrice, saggista e attivista britannica, vittima di un malessere esistenziale che l’ha
portata a lasciarsi annegare in un fiume. L’incapacità di reagire alle difficoltà e a farsi
spazio nella quotidianità della vita hanno ridotto donne come queste ad esseri
inconsistenti e vuoti, condannate a ritagliarsi un angolo di salvezza, un “ubi consistam” a
cui affidare le paure dell’animo. Queste sono alcune delle vicende sconcertanti e, come
definisce Borgna, “indicibili”: storie passate e attuali su cui riflettere attentamente.
Nietzsche parla di “nichilismo assoluto”, la condizione pessimistica e passiva di
un’umanità per la quale nulla ha più significato: un sentimento di perdita e dolore per
l’esistenza. Ma quali sono i motivi per cui ricorrere ad un gesto di simile drammaticità?
Le cause vanno forse cercate nell’indifferenza delle persone più care? Antonia ebbe il
coraggio di opporre resistenza alla condizione di profonda paralisi verso la vita
scrivendo poesie, lettere fragili che narrano di un’esistenza infernale e soffocante. Come
amici e parenti non sono stati in grado di coglierne il senso e la verità? Antonia, forse,
cercava un aiuto morale che avrebbe potuto donarle un barlume di speranza e di pace per
affrontare ancora una volta il cozzo duro della realtà: ma ciò non avvenne. Potrei finire
col giudicare situazioni e persone a me sconosciute ma il mio compito non è certo
questo: è analizzare e decifrare come la responsabilità e la speranza possano, in alcuni
casi, salvare vite. Borgna offre una sorta di “cura” alle responsabilità mancate: porgere