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Ciò che distingue un tecnico da un professionista, è proprio la capacità di giocare il proprio ruolo in
termini relazionali, di uscire da schemi prefissati per adattare il proprio intervento alla persona che
si ha di fronte, di lasciarsi coinvolgere nella giusta misura in questa relazione con l’assistito, in
modo che questi possa sentirsi veramente al centro della sua attenzione e del suo impegno
professionale.
Concludendo, in una relazione assistenziale è fondamentale osservare, ascoltare, immedesimarsi
(empatia) ed identificarsi, comunicare, pensare, negoziare, pazientare e collaborare. Bisogna
saper restare in contatto con i sentimenti della persona, ma anche con i propri sentimenti.
Il vissuto di malattia
è qualcosa di personale: è ciò che la vita offre all’individuo nell’esperienza quotidiana,
Il vissuto
ossia la somma delle esperienze passate ma ancora vive nella coscienza individuale o collettiva (è
un bagaglio affettivo, sentimentale).
L’esperienza del soffrire si esprime, quasi sempre, in un circolarità tra danno (ciò si è subito) e
senso.
Ogni età della vita è, infatti, caratterizzata da un conflitto centrale e da una meta psicologica
specifica da raggiungere.
Nella linea della vita, ad un certo punto arriva una variabile, che prende il nome di malattia, che
rappresenta un evento traumatico, un attacco all’integrità personale, una frustrazione.
Dunque, le reazioni della persona alla malattia possono essere diverse:
E’ possibile percepire
1. la malattia come una minaccia esistenziale
2. Possono esserci conseguenze psicosociali (perdita del lavoro e di alcune relazioni sociali)
3. Si possono avere, ovviamente, problemi fisici (come dolore, debolezza), ma anche
psicologiche (depressione, debolezza mentale, stress)
La malattia raggiunge, quindi, la persona in tutti i suoi aspetti, non solo in quelli fisici: le alterazioni
vanno a coprire ogni piccola parte della personalità di un individuo, con conseguenze variabili da
soggetto a soggetto.
Fra le principali reazioni, tuttavia, troviamo:
1. Ansia
2. Depressione
Il vissuto di malattia cambia in funzione dell’età. “Lo sviluppo umano, infatti, non termina con
l’adolescenza, ma si svolge lungo tutto l’arco dell’esistenza” (Erik Erikson).
Molto spesso, specialmente nel bambino, la fiducia di base, una volta che sopraggiunge una
malattia, viene ad alterarsi, trasformandosi in paura e confusione.
Nell’adolescente, invece, nel momento in cui sopraggiunge una malattia, molto spesso è possibile
notare una reazione paradossale: l’adolescente rifiuta le cure, poiché vuole sentirsi indipendente. I
trattamenti medici, considerati come una pressione verso la propria indipendenza e tendente ad una
regressione (rifiuto delle cure come affermazione di propria indipendenza).
In un soggetto di mezza età, lo stato di malattia ostacola le attività importanti della vita, provocando
un senso di precarietà e vulnerabilità della condizione umana (una persona con una famiglia, una
vede quest’ultima una minaccia per sé e per tutti i suoi cari).
volta che una malattia subentra,
una patologia provoca un grande senso di fragilità, di invalidità. L’anziano
In una persona anziana,
si comincia a sentirsi un peso per gli altri, si carica di insoddisfazioni e timori, comincia a guardare
alla malattia come un evento intrinseco e strutturato della persona, che preannuncia solo sofferenze,
In questi casi, è necessario che l’infermiere punti e faccia
terminando inevitabilmente con la fine.
pressione sui determinanti di forza che la persona ancora presenta, al fine di mostrare a questa come
esistano ancora delle qualità su cui puntare e per cui continuare a vivere.
Il vissuto della morte
Cosa dice il Codice Deontologico, in proposito?
Nell’articolo 35, questo viene detto: “L’infermiere presta assistenza qualunque sia la condizione
clinica e fino al termine della vita all’assistito, riconoscendo l’importanza della palliazione e del
conforto ambientale, fisico, psicologico, relazione e spirituale”.
aiuto nel caso di morte? Lo scopo della relazione d’aiuto, in questa fase,
Qual è, quindi, lo scopo di
è quello di aiutare i familiare ad affrontare la morte e a riemergere dallo shock della perdita del
congiunto. Inoltre, soltanto quando sarà realmente stato compreso che il loro caro è morto, sarà
possibile richiedere la donazione degli organi.
Esistono alcune fasi di un lutto:
1. Negazione, in cui si ha uno shock e uno stordimento per la morte del proprio caro
2. Patteggiamento, in cui si prova una speranza nel ritorno del proprio caro, facendo promesse
affinché ciò possa accadere
3. Rabbia, in cui si ha una ricaduta, con rabbia nei confronti del destino, il mondo e gli altri
4. Depressione, in cui si prova una profonda tristezza e un dolore enorme per la realtà e
l’irrimediabilità della morte.
in cui finalmente, passato un po’ di tempo, si comincia
5. Accettazione, ad accettare la
situazione, fino ad arrivare a serenità e pace ritrovata.
Può capitare, tuttavia, che a volte ci siano delle ricadute, che possono riportare alcune tappe ad
anche successivamente all’accettazione.
essere ripercorse,
Molte persone, in tutto il momento del processo di malattia, sono portare a negare del tutto che la
“non è possibile, non sono io, deve esserci un errore,
malattia possa portarle alla morte (negazione):
analisi saranno state scambiate”.
le
E’ importante, invece, che la speranza venga mantenuta in ogni fase del percorso di adattamento.
“Allora è proprio vero, sta succedendo
Successivamente, a questa negazione, succede la collera:
non lui, che è cattivo?”.
proprio a me, ma perché io e
Contemporaneamente, tuttavia, si ha la fase del patteggiamento, in cui la persona comincia ad
“accettare” la situazione, cercando di trovare speranza in Dio.
Successivamente, però, si ha la fase della depressione, che è la principale conseguenza
all’accettazione piena della realtà. Si hanno due depressioni:
1. Reattiva, in cui si ha un senso di invulnerabilità, benessere, integrità e valore
osservabile nell’ultimo periodo di vita, che ha a che fare con il dolore di
2. Preparatoria,
all’ultima separazione. In questa fase si ha, normalmente,
prepararsi la chiusura di
qualunque affetto con i cari.
Infine, si ha l’accettazione, in cui la battaglia termina in un vuoto di sentimenti, al fine di soffrire il
).
vanno incontro a quest’ultima fase
meno possibile. (Solo i gatti, tuttavia,
Counselling: una relazione di aiuto
è l’attività professionale che tende ad orientare, sostenere e sviluppare le potenzialità
Il counselling
del cliente, promuovendone atteggiamenti attivi, propositivi e stimolando le capacità di scelta. Si
occupa di problemi non specifici e contestualmente circoscritti (famiglia, scuola, lavoro).
Il counselling si basa sul presupposto che il modo migliore per aiutare una persona in difficoltà non
sia quello di darle dei consigli e dirle cosa fare, ma di aiutarla a capire la situazione nella sua
totalità e ad affrontarla in autonomia facendo leva sulle sue competenze.
Con la legge del 14 gennaio del 2013 (numero 4), il counselling viene inserito all’interno delle
professioni intellettuali, per esercitare le quali non è necessario seguire alcun iter specifico.
Ma quali sono i punti essenziali del counselling?
dov’è che l’infermiere, per esempio, ha il confine fra l’infermieristica e la
1. I confini:
psicologia?
2. La formazione degli operatori
valutazione dell’efficacia.
3. La Se il mio counselling non ha funzionato, non significa che io,
come operatore, ho fallito, ma magari non sono riuscito a mettere in atto operazioni che, per
quel determinato individuo, erano errate.
Il processo di counselling, quindi, penetra all’interno di varie tappe:
1. Ascolto (attivo) della storia e invito alla consapevolezza
e dell’atteggiamento della persona (magari questa è stata
2. Osservazione delle autointerruzioni
portata lì con la forza e, per questo, presenta un atteggiamento strafottente)
3. Individuazione delle polarità (per individuarle, è necessario non contraddire il paziente; per
esempio, se questo sta parlando di un film che ha visto e dice che non gli è piaciuto, noi non
bisogna ribattere, sostenendo come questo, invece, sia bella e ben fatto).
4. Valutazioni diagnostiche
5. Scelta della tecnica
Burnout: scoppiato, bruciato, esaurito
è l’esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che
La sindrome da burnout
esercito professioni di aiuto, qualora queste non rispondano in maniera adeguata ai carichi eccessivi
di stress che il loro lavoro li porta ad assumere. Si tratta di una reazione di difesa, quindi, di
un’azione riparativa, di tutela, una quasi-soluzione ad un problema, alla tensione emotiva.
Ma come si manifesta? Con un esaurimento emotivo (l’individuo si sente prosciugato, esausto,
(l’individuo assume un comportamento
incapace di rilassarsi e di recuperare), depersonalizzazione
freddo e distaccato nei confronti del lavoro e degli altri, adottando un atteggiamento di indifferenza
(l’individuo arriva a percepirsi come
nel tentativo di proteggersi), ridotta realizzazione personale
incapace ed inadeguato al lavoro).
Purtroppo, il burnout non colpisce solo una persona, ma anche tutte quelle che le stanno intorno.
Si hanno problemi fisici, psichici e comportamentali.
Ovviamente, i soggetti più a rischio di burnout sono quelli ansiosi, i remissivi, coloro con confini
lavorativi non precisi e scarsa fiducia in se stessi.
Il burnout, quindi, è un problema di adattamento tra persona e lavoro. Il counselling è una delle
terapie adeguate, al fine di superare la fase di burnout.
Gruppi di auto mutuo aiuto
Questi sono misure adottate da non professionisti, al fine di promuovere o recuperare salute.
Due signori statunitensi, Bill e Bob, due alcolisti, passarono una nottata a parlare, senza bere. Questi
combattere il problema dell’alcool: fondarono il gruppo
capirono, quindi, che parlare permetteva di
degli alcolisti anonimi. Da qui sono nati infiniti gruppi di auto mutuo aiuto (diabetici, obesi,
familiari, CAT, tossicodipendenti, ecc.). In questi gruppi, i membri sono pari, ossia affetti dallo
stesso problema, condividono lo stesso obiettivo (migliorare lo stato di vita, raggiungere
un’astinenza, ecc.). Il potere e la leadership sono orizzontali: non esiste un capo o un leader.
In questi gruppi viene enfat