Rapporti Italia - Stati Uniti sul nucleare
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questo genere. EURATOM e CONSORZIO TRILATERALE
Rispetto all'EURATOM (Comunità europea dell'energia atomica- organizzazione internazionale
istituita con i trattati di Roma del 25 marzo 1957 allo scopo di dar vita ad una comunità europea per
lo sfruttamento delle applicazioni pacifiche dell'energia nucleare) l'Italia si pose favorevolmente,
ritenendo che una maggiore cooperazione europea potesse esercitare ulteriore pressione sugli Stati
Uniti per condividere con maggiore elasticità le loro tecnologie.
Per alimentare tali pressioni si svolse un negoziato Italo-Franco-Tedesco tra la fine del 1957 e la
primavera del 1958, il cui scopo era quello di creare un consorzio trilaterale per la sperimentazione
e la produzione di armi moderne (comprese, naturalmente, quelle nucleari). L'allora ministro della
Difesa Taviani, pure se orientato verso un forte europeismo, mostrava chiaramente timore nel
procedere in tale iniziativa senza il benestare statunitense, anche se tuttavia riteneva che tramite
questo progetto si potesse sollecitare ulteriormente il proprio alleato ad avere una maggiore
considerazione verso le potenzialità di sviluppo militari italiane. Chiaramente vi era la volontà di
non accettare in alcun modo quel dualismo di ruoli all'interno dell'Alleanza atlantica tra potenze
nucleari e non-nucleari. Comunque sembrava che, in un modo o nell'altro, si agisse esclusivamente
per impressionare o mettere pressione agli Stati Uniti.
“L'intesa fu raggiunta il 28 novembre 1957, quando Chaban Delmas, Strauss e Taviani firmarono un
protocollo con il quale impegnavano i rispettivi governi a una stretta cooperazione nel settore delle
invenzioni militari e degli armamenti, con particolare riferimento ai materiali aeronautici, ai missili
e alle applicazioni militari dell'energia nucleare”. Nuti
Taviani immediatamente si preoccupò di ricondurre il progetto trilaterale in una dimensione
saldamente atlantica, proprio per evitare un qualsiasi tipo di equivoco. Difatti, da parte italiana
trapelava un certo nervosismo di fronte alla decisione di mantenere gli Stati Uniti all'oscuro della
reale natura di tale accordo di cooperazione. Non vi era alcuna volontà di irritare l'alleato da cui
dipendeva la propria sicurezza. Molto si adoperò il ministro degli Esteri Pella nel tentare di
rassicurare gli Stati Uniti sul fatto che un qualsiasi accordo tripartito avrebbe comunque seguito i
suggerimenti americani e sarebbe stato aperto ad eventuali altri membri della Nato.
Tale esperienza ebbe una fine sostanzialmente ambigua; “la spiegazione più diffusa, e
probabilmente la più attendibile anche se non del tutto priva di qualche ambiguità, è che pochi
giorni dopo il suo ritorno al potere il generale de Gaulle fece sapere ai propri collaboratori che per il
momento intendeva sospendere tutti gli impegni presi dai suoi predecessori con gli alleati europei in
ambito nucleare”. Nuti ( se ci fosse stata piena approvazione USA verso tale iniziativa, sarebbe
finita in questo modo?). JUPITER
Immediatamente dopo, nel marzo del 1959, abbiamo il culmine della cooperazione militare tra Italia
e Stati Uniti, con lo schieramento dei nuovi missili balistici Jupiter sul territorio peninsulare. Nella
sessione del dicembre 1957 del Consiglio Atlantico, difatti, Washington si mostrò disponibile ad
offrire ai propri alleati europei dei nuovi missili balistici a raggio intermedio (Thor e Jupiter). Vi era
la necessità di rivitalizzare la Nato in un contesto di crescente potenzialità sovietica nei missili
balistici intercontinentali.
L'Italia si mostrò immediatamente disponibile ad inoltrare la proposta americana, anche se Fanfani
rimaneva alquanto scettico circa la questione economica dell'operazione. L'intesa finale tra i due
paesi stabiliva che “gli Stati Uniti erano pronti ad assumersi la parte maggiore del costo degli IRBM
e del loro schieramento in Italia e che avrebbero inoltre fornito ulteriore assistenza al governo
italiano sostenendo i costi dell'addestramento del personale italiano e dell'equipaggiamento
necessario in un primo momento per uso comune; inoltre gli Stati Uniti si impegnavano a
rimborsare le spese effettuate dal governo italiano per la costruzione delle strutture di sostegno per
gli IRBM e per il relativo personale. Il governo italiano, da parte sua, avrebbe dovuto fornire il
terreno, coprire i costi del personale italiano, e sostenere le spese generali di carattere
amministrativo e operativo dell'impianto”. Nuti
Fanfani considerava gli Jupiter alla stregua della SETAF, ovvero un tramite che concedeva all'Italia
una sorta di status nucleare all'interno dell'Alleanza Atlantica e che quindi consentiva di colmare,
almeno in parte, il gap con le altre grandi potenze continentali. Sembrava esser quindi una
motivazione politica più che strettamente militare, in quanto si voleva fare degli IRBMS un
elemento centrale e imprescindibile della politica estera italiana. Anche in questo caso, si decise di
non enfatizzare in alcun modo la questione, sempre per evitare situazioni scomode nei rapporti con
l'opinione pubblica. Il 26 marzo 1959 tutti gli accordi furono firmati.
“I missili sarebbero stati a disposizione del SACEUR (Supreme Allied Commander Europe) per
l'esecuzione dei piani Nato in tempo di pace e in tempo di guerra e che la decisione di lanciarli
sarebbe stata presa con il consenso dei governi italiano e americano”. Nuti
Per installare i missili fu scelta la parte sud-orientale della penisola, per la sua posizione più vicina
al "nemico". Il quartier generale, in particolare, fu installato presso l’aeroporto di Gioia del Colle
(BA), dove il 1° Maggio 1960 fu costituita ufficialmente la 36^ ABIS (Aerobrigata di Interdizione
Strategica) e l’11 Luglio il Colonnello americano Erlenbusch affidò al Colonnello dell’Aeronautica
Militare Edoardo Medaglia la gestione del sito operativo.
Oltre che a Gioia del Colle, i missili “Jupiter” furono schierati in altre nove postazioni nella Murgia:
Spinazzola, Gravina, Acquaviva delle Fonti, Altamura (due postazioni), Irsina, Matera, Laterza,
Mottola. I missili usavano come propellente un carburante simile al cherosene (RP-1) e ossidante
Lox e ciascuno era dotato di una testata nucleare da 1.45 a 4 megaton (la bomba su Hiroshima era
meno di 20 kiloton).
Comunque, sembra che i comandanti italiani della 36^ ABIS non fossero a conoscenza dei bersagli
contro cui i Jupiters erano puntati, ed erano persino tenuti all'oscuro circa l'effettiva presenza delle
testate sui missili stessi (in base a quanto detto dalla Legge McMahon del '46). Concretamente, di
quanta considerazione godeva il nostro paese? Era una cooperazione militari tra Stati facenti parte
di una medesima alleanza, o un rapporto di subordinazione ben (ma neanche troppo) mascherato?
All'Italia sembrava andar bene così, visto che forse questa era l'unica via per poter diventare una
potenza rispettata a livello internazionale.
Due accordi di cooperazione nucleare e Amm.Kennedy
Seguirono due accordi di cooperazione nucleare, uno del 1960 (“intesa di natura generale che
regolava l'uso dell'energia atomica per scopi di difesa reciproca che escludeva la cessione di armi
nucleari e tecnologie” Nuti) e uno del 1962 (sullo stoccaggio delle armi nucleari americane in Italia
per attuare la proposta di Dulles – Segretario di Stato degli Stati Uniti- di allestire un Nuclear
Stockpiles in Europa). Quest'ultimo permise una formalizzazione definitiva dei rapporti nucleari tra
Italia e Stati Uniti.
“La strategia italiana di valorizzare in maniera crescente il proprio ruolo all'interno della Nato
sembrò funzionare fin quando l'Amministrazione Kennedy, subentrata a quella Eisenhower all'inizio
degli anni '60, non mostrò crescenti perplessità a condividere il proprio arsenale con gli alleati”.
Limes
Kennedy sembrò inizialmente seguire la precedente linea a favore di una forza multilaterale Nato
(con lo schieramento di una nuova generazione di missili a medio raggio su una flotta di 12/15
vascelli di superficie), questione verso cui l'Italia mostrava pieno sostegno (anche se Fanfani
sostenne, non si capisce quanto scherzosamente, che ai marinai italiani sarebbe toccato il ruolo di
cuochi). Ma dopo la crisi di Cuba dell'ottobre 1962, gli Stati Uniti sembravano non voler proseguire
nella logica di nuclear sharing a favore degli alleati; ora la priorità sembrava esser quella di evitare
a tutti i costi una guerra nucleare, il rischio di una catastrofe era diventato eccessivamente
percorribile. Con la sottoscrizione (agosto 1963) del Limited Test Ban Treaty da parte di Stati
Uniti, Unione Sovietica e Gran Breatagna, si può facilmente intuire che la tendenza era stata
completamente invertita. TNP e EUROMISSILI
L'atteggiamento italiano verso il TNP non poté che esser improntato sul risentimento, in quanto
cadeva con questo ogni ipotesi di nuclear sharing. Difatti, il Trattato di non proliferazione nucleare
fondamentalmente tenta di promuovere il disarmo, la non proliferazione appunto, e un utilizzo
pacifico del nucleare. Proibisce inoltre agli stati firmatari non-nucleari di procurarsi tali armamenti
e agli stati nucleari di fornir loro tecnologie nucleari belliche.
“Aderire al trattato significava ridurre i margini di manovra dell'Italia e declassarla rispetto alle altre
potenze europee, a cui il trattato assegnava invece uno status nucleare.” Limes
L'Italia non voleva esser in alcun modo considerata una potenza di seconda classe, come invece
sembrava sancire la stessa strutturazione del trattato. La ratifica alla fine ci fu (il 2 maggio 1975), si
crede soprattutto grazie a forti pressioni alleate.
Durante tutta la crisi degli EUROMISSILI, i governi italiani (da Cossiga a Craxi) si mostrarono
sempre favorevoli allo schieramento delle nuove armi, come del resto era stato in tutte le simili
occasioni verificatesi precedentemente. Sembrava esser sempre una motivazione legata al prestigio
più che ad una sfera strettamente militare a spingere verso tali posizioni di favore per queste
iniziative. ATTUALITA'
Dopo la denuclearizzazione dell'Italia durante la seconda metà degli anni '80 (con la fine della
Guerra Fredda), la politica estera del paese sembrava essere sempre improntata verso un
rafforzamento ed ampliamento dell regime di non proliferazione.
Tuttavia, di recente si è riacceso il dibattito sulla presenza delle armi nucleari americane in Europa.
Difatti, cinque paesi europei dell'Alleanza Atlantica – Belgio, Germania, Italia (che ne deterrebbe
un numero cospicuo nelle due basi di Aviano e di Ghedi Torre), Olanda, Turchia- ospitano tuttora
armi nucleari tattiche USA all'interno dei propri confini. L'attuale arsenale nucleare sarebbe
costituito esclusivamente da bombe gravitazionali B-61 (ordigni aviotrasportati), e l'Italia ne
conterebbe tra le 70 e le 90.
“Attualmente, le forze nucleari dell'Alleanza non hanno più alcun paese come obiettivo
predeterminato. Il presidente Obama ha fatto del disarmo nucleare globale uno dei pilastri della
propria politica estera. La Nuclear Posture Review americana ha riaffermato la necessità di
diminuire il ruolo di questo tipo di armi, anche alla luce delle crescenti capacità delle armi
convenzionali. Il documento ribadisce tuttavia che le ANT in Europa continuano a svolgere
l'importante funzione politica di contribuire alla coesione dell'Alleanza.” www.affarinternazionali.it
In che misura il ruolo deterrente delle armi nucleari è realmente terminato con la fine della Guerra
Fredda?
Belgio, Germania e Olanda si sono espressamente dichiarate a favore della loro rimozione dal
proprio territorio, mentre la Turchia tende ad attribuire un maggior valore a queste armi in
considerazione della sua collocazione geo-strategica e dello sviluppo nucleare del vicino Iran.
L'Italia, non sorprendentemente, si pone con ambiguità rispetto a tale situazione. Come detto, il
paese è inequivocabilmente impegnato nel sostenere il programma di disarmo nucleare globale,
anche se viene data enorme importanza alla solidarietà della Nato, e non vi è alcuna intenzione di
incrinare la coesione della sicurezza euro-atlantica. Detenendo l'Italia lo status di potenza non
nucleare, inevitabilmente la presenza di armi atomiche suscita problematiche connesse alla
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