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Dalla lettura del trattato sembra emergere un argomento sufficientemente chiaro: la causa
profonda della crisi dell’eloquenza va rintracciata essenzialmente nel principato, il quale ha
distrutto la libertas, che costituisce l’humus, il terreno di coltura, nel quale attecchisce floridamente
l’arte del dire.
Ma al tempo dei Flavi l’eloquenza si è svilita ed è divenuta uno strumento al servizio del servilismo
o dello sterile accademismo culturale, perdendo la sua peculiarità di strumento fondamentale per
la lotta politica e civile.
Tuttavia occorre subito sgombrare il campo da un equivoco che può provocare un fraintendimento
dell’intera epoca. Infatti, sarebbe sbagliato vedere nella condanna dell’eloquenza del tempo un
nostalgico vagheggiamento del passato repubblicano e della libertas che esso riusciva in qualche
modo a garantire.
Tacito, infatti, si mostra sostanzialmente favorevole all’avvento del principato che, se ha eliminato
la libertas, ha anche avuto il merito storico di garantire la pace e la sicurezza sociale. Pertanto la
crisi dell’eloquenza appare un male, per dir così, “necessario” se si vuol mettere al primo posto la
salvaguardia della pace e dell’ordine sociale.
A ben guardare, quindi, il Dialogus de oratoribus, pur presentando innegabili punti di contatto con il
De causis corruptae eloquentiae di Quintiliano, rivela un forte e radicato mutamento di analisi.
Infatti, la crisi dell’eloquenza non appare affatto dettata da motivazioni “interne” al genere, e cioè
dal fatto che nell’età presente purtroppo non esistono oratori del calibro di Cicerone, come
sembrava, invece, al retore di Calagurris; essa, piuttosto deve essere attribuita per Tacito al
mutato contesto politico e sociale.
Insomma, possiamo concludere che, mentre Quintiliano evita di ricercare motivazioni politiche e
sociali, che potrebbero metterlo in difficoltà con il principato, Tacito, invece, dimostra di possedere
già in questa sua opera giovanile una chiara tendenza alla storicizzazione dei problemi; pertanto la
composizione del Dialogus sembra collocarsi come un vero e proprio spartiacque fra la sua
formazione essenzialmente retorica e gli interessi storiografici ormai imminenti.
L’ Agricola : elogio del buon servitore dello Stato
Dopo la morte del suocero Gneo Giulio Agricola, avvenuta, come si è detto, in circostanze
misteriose, Tacito si diede alla composizione di una monografia (forse una recitatio) dedicata a lui,
nella quale traspare immediatamente, fin dai primi capitoli, il nuovo clima che si respira a Roma
dopo gli anni bui e sanguinari della tirannide domizianea (Nunc demum redit animus, “Ora
finalmente si torna a respirare” afferma lo storico con enfasi).
L’opera, il cui titolo completo è De vita et moribus Iulii Agricolae, consta di 46 capitoli così
suddivisi:
- capp. 1-9: breve sintesi della carriera politica prima della spedizione in Britannia (78-84
d.C.);
- capp. 10-17: excursus geografico, storico ed etnografico sulla Britannia;
- capp. 18-37: descrizione della spedizione in Britannia;
- capp. 38-46: narrazione degli ultimi anni della vita di Agricola.
L’Agricola è un’opera che molto ha dato da pensare ai critici e ai filologi, in quanto risulta difficile
da ridurre all’interno di un singolo genere letterario. Infatti essa può essere considerata:
- una biografia,
- una monografia storica,
- una laudatio funebris.
A ben guardare, però, nessuno di questi tre generi sembra essere, da solo, adatto a definire
l’Agricola. Infatti, l’opera può essere considerata una biografia, nella misura in cui essa si configura
come un elogio, un’esaltazione del personaggio e della sua vita esemplare; ma può essere definita
anche una monografia storica sul modello, ad esempio, del Bellum Iugurthinum di Sallustio; infine,
non mancano nell’Agricola elementi, come l’esaltazione della morte del protagonista, che ne fanno,
per certi aspetti, una laudatio funebris.
Così ci pare che l’opera possa essere considerata un punto di intersezione, un crocevia di generi
letterari diversi.
Tralasciando, quindi, ogni ulteriore disamina relativa a questioni prevalentemente formali, ci pare
più utile fissare bene i contenuti politici che l’opera denota in maniera abbastanza nitida e che
preludono alla futura e più matura produzione tacitiana.
In primo luogo va messo in particolare rilievo il forte spirito antidomizianeo che pervade tutta
quanta l’opera. Tuttavia sarebbe fortemente fuorviante ritenere che questo atteggiamento
scaturisca da un nostalgico vagheggiamento della tradizione repubblicana. Tacito, infatti, è
pienamente convinto della necessità storica del principato e quindi l’idea di virtus presente nel
personaggio di Agricola non va certamente confusa, per esempio, con quella di un Catone
l’Uticense, né tanto meno con quella dei martiri della resistenza senatoria di ispirazione stoica, ma
è piuttosto quella di un onesto funzionario dell’impero, che ha militato con onestà e scrupolo sotto il
principato, cercando sempre di operare per il bene dello Stato. In altri termini, il principato non si
abbatte, sembra affermare Tacito, la virtus e la dignitas consistono, piuttosto, nel saper essere
sempre scrupolosi e onesti esecutori delle proprie mansioni e nel sapersi ben districare fra
servilismo ed opposizione, senza mai perdere la propria onorabilità.
In sostanza, all’immagine del vir virtuoso che, per affermare la propria dignitas, non esita a porsi al
di fuori del sistema, arrivando a teorizzare, e a volte perfino a realizzare, un colpo di stato contro il
tiranno, subentra nell’Agricola quella del vir bonus, del galantuomo che opera all’interno di esso
facendo attenzione, però, a non confondere il proprio operato probo con le nefandezze che un
principe scellerato come Domiziano può compiere.
Come si è detto in precedenza, al di là della figura del suocero che campeggia in tutta evidenza,
un posto di rilievo ha all’interno dell’opera la spedizione in Britannia. Nella descrizione di essa lo
storiografo è principalmente proteso ad esaltare le imprese del suocero, ma ciò non gli impedisce
affatto di mettere in luce lo spirito di libertà di questi popoli “altri” rispetto ai Romani, sicuramente
barbari, ma forse proprio per ciò ancora immuni da qualsiasi tipo di corruzione, un male ormai
endemico nella società romana.
All’interno di questo excursus sui Britanni un ruolo importante gioca il discorso di Càlgaco, uno dei
capi dei Calèdoni, che si configura come una vera e propria requisitoria contro l’imperialismo
romano: “predoni del mondo, invero, poiché non hanno più terre da devastare, ora vanno
scrutando anche il mare; avidi, se il nemico è ricco, superbi, se è povero, essi che né l’Oriente né
l’Occidente sono riusciti a saziare. Soli fra tutti a gettarsi con lo stesso accanimento sull’opulenza e
sulla povertà. Rubare, massacrare, rapinare, prendono da essi il falso nome di imperium; dove
fanno deserto, lo chiamano pace”.
Tuttavia non bisogna cadere nell’errore di identificare il pensiero politico di Tacito con le parole di
Càlgaco. Infatti per lo storico l’impero romano non può minimamente essere messo in discussione,
sicché il discorso di Càlgaco, così fiero e duro, si spiega con la capacità di Tacito di saper
presentare anche le opinioni degli altri e le tesi diverse dalla sua, se ritenute degne ed in qualche
modo apprezzabili, ma si può spiegare anche con il desiderio di contrapporre alla virtus del
suocero quella dei suoi avversari, con l’obiettivo di fare risaltare meglio i meriti di Agricola, che era
riuscito a sconfiggere avversari di così grande valore.
La Germania : Romani e barbari, due civiltà a confronto
Mentre era impegnato con la composizione dell’Agricola, Tacito iniziò la fatica della Germania,
molto probabilmente intorno al 98 d.C. Essa, il cui vero titolo per esteso è De origine et situ
Germanorum, consta pure di 46 capitoli e si configura come un’indagine etnogeografica sulla
popolazione germanica (da sempre ostile ed ostica nei confronti dei Romani, fin dai tempi, come si
ricorderà, dello stesso Cesare e successivamente, di Augusto), sulla base, forse, della
documentazione desunta dai Bella Germanica di Plinio il Vecchio. La Germania, quindi, può
essere in qualche modo avvicinata sia all’excursus sulla stessa popolazione presente già nel De
bello Gallico di Cesare, sia a quello su Cartagine presente nelle Storie di Livio.
Ma vediamo in rapida sintesi la suddivisione della materia, capitolo per capitolo:
- capp. 1-5: descrizione geografica della Germania, dei suoi confini e dei suoi abitanti;
- capp. 6-15: descrizione della società germanica e delle sue componenti: sacerdoti,
donne, bambini…;
- capp. 16-26: continua la descrizione della società germanica con un’indagine accurata
sull’istituzione matrimoniale, sulle abitudini familiari, sull’educazione dei figli, sui rapporti
parentali, sui riti funebri, sul loro rigore morale;
- capp. 27-34: descrizione analitica delle popolazioni germaniche (Vangioni, Catti, Batavi,
Usipeti, Tencteri, Camavi, Frisii, …), delle singole tribù e dei loro costumi;
- capp. 35-43: descrizione e analisi delle principali popolazioni stanziate a Nord della
Germania (Cherusci, Cimbri, Suebi, …) e lungo il Danubio (Marcomanni, Quadi, …);
- capp. 44-46: descrizione di altre popolazioni germaniche come, ad esempio, i Gotoni, i
Lemovii, gli Estii, i Sitoni, …).
Tuttavia, una prima differenza rispetto ai modelli cesariani e liviani è senz’altro rappresentata dal
fatto che, mentre questi sono per l’appunto excursus e cioè parentesi, seppur di lunga durata,
all’interno di un’opera assai più vasta, la Germania, invece, costituisce una monografia a sé e
quindi la focalizzazione e l’interesse dell’autore per la materia trattata appaiono più marcati.
Inoltre, va sottolineato immediatamente che l’interesse dell’autore sembra indirizzato non tanto
sulla descrizione geografica della regione abitata dai Germani, quanto piuttosto sui loro costumi,
sulle loro abitudini di vita, sui modelli di comportamento, che intrigano tantissimo lo storiografo,
proteso a stabilire un rapporto di comparazione fra i costumi, genuini, ma rozzi dei Germani e
quelli più raffinati, ma talora fiacchi, dei Romani.
Infatti, dei Germani si sottolineano, da un lato, certe “virtù collettive” come, ad esempio, un’austera
educazione militare, un forte spirito, per dir così, nazionale,