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2. DISTURBI PERVASIVI DELLO SVILUPPO E DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
I disturbi dello spettro autistico o disturbi pervasivi dello sviluppo riguardano difficoltà nello
sviluppo sociale (interazione e relazioni con gli altri), nella comunicazione (non c’è difficoltà
nella sviluppo del linguaggio, ma solo nello sviluppo dell’uso del linguaggio) e nel gioco con
comportamenti e interessi ristretti. I bambini affetti da autismo non sono infatti in grado di
apprendere il linguaggio e non sono in grado di sviluppare un normale interesse verso le
persone. Presentano inoltre comportamenti auto stimolatori come il rocking, mettersi le dita
davanti agli occhi o anche manipolare gli oggetti in modo ripetitivo per ore. La Classificazione
Diagnostica 0-3 ha proposto la distinzione di due diverse categorie: l’uso della categoria di
DMSS (disturbo multi sistemico dello sviluppo) per i bambini di età inferiore ai due anni e per
quelli più grandi l’uso della categoria di DSA, che anche se non ci sono chiari studi per quanto
riguarda la diagnosi del disturbi in età precedente ai 3 anni, sono sicuramente chiari alcune
caratteristiche nettamente diverse dai bambini normodotati, come deficit di interesse sociale.
Centrale in questa sindrome risulta essere il ruolo dell’intersoggettività. Essa si divide in due
diverse tappe: quella innata o primaria e quella cooperativa o secondaria. Quest’ultima
riguarda infatti la consapevolezza della condivisione con le altre persone e quindi le intenzioni
verso gli oggetti e i significati reciproci, da cui dipende quindi l’attenzione condivisa (altro
funzionamento che risulta fortemente deficitario nei bambini autistici). In generale però i deficit
presenti in questa sindrome sono svariati: si riscontrano infatti le prime evidenze già prima dei
due anni, periodo in cui si manifestano segni come la ridotta attenzione visiva verso le persone
e la ridotta risposta al proprio nome. Dai 2 anni in poi il quadro autistico risulta sicuramente più
chiaro con la presenza di specifici comportamenti anomali: ridotto contatto oculare, mancanza
di interesse per i coetanei e assenza di attenzione condivisa, un range ridotto nelle espressioni
emotive, nell’imitazione vocale e motoria e infine un gioco sempre molto disturbato; per
quanto riguarda l’area della comunicazione ci sono difficoltà nell’uso e nella comprensione dei
gesti convenzionali, l’assenza del pointing spontaneo , un ritardo nel linguaggio espressivo e
recettivo e possibile presenza del fenomeno dell’ecolalia.
In generale si può dire che riguardo all’autismo esistono vari tipi di modelli che possono
spiegare i tipi di deficit che la caratterizzano e fanno riferimento alla teoria della mente, alla
spinta cognitiva per la coerenza centrale e infine alle competenze nel campo delle funzioni
esecutive.
1. Per quanto riguarda la Teoria della Mente (ToM), descritta da Baron-Cohen, si fa riferimento al
fatto che la disfunzione nell’autismo è la conseguenza del fallimento nell’acquisire la capacità
di concepire e comprendere la mente degli altri oltre che la propria. Le persone che presentano
un disturbo autistico infatti presentano una forte difficoltà ad attribuire stati mentali alle altre
persone e anche a se stessi e comportano quindi l’incapacità di costruire un mondo sociale
adeguato, caratterizzato da intenzioni, desideri, credenze ma anche empatia verso gli altri.
2. Relativamente proprio alla mancanza di empatia si lega il secondo modello che è quello
trattato da Hobson il quale colloca il deficit primario dell’autismo nei meccanismi innati del
legame affettivo e quindi a livello dell’intersoggettività primaria. Egli infatti ritiene che i
bambini autistici abbiano difficoltà a decifrare gli stimoli sociali, in particolare il riconoscimento
delle espressioni mimiche e degli aspetti prosodiaci e affettivi della comunicazione, da cui
dipenderebbe proprio la forte difficoltà a sintonizzarsi con gli altri da cui deriverebbero quindi
anche i deficit a livello dell’apprendimento, del linguaggio e della ToM.
3. Il terzo modello è poi quello proposto da Meltzoff il quale sostiene che nell’autismo possa
verificarsi un deficit imitativo e di orientamento sociale che riguarda quei meccanismi innati
che garantiscono il legame interpersonale e l’orientamento verso la figura umana. Secondo
quest’autore infatti l’imitazione avrebbe un ruolo centrale poiché fornirebbe informazioni sugli
altri e da qui quindi partirebbe la successiva comprensione empatica degli altri.
4. Quarto modello è relativo al deficit dell’attenzione condivisa che presenterebbe una
dissociazione tra due diversi tipi di gestualità, ovvero: la gestualità imperativa e di richiesta che
determina il volere quello che si indica per esempio, e quella invece protodichiarativa che serve
per richiamare l’attenzione e per condividere un’esperienza. Questo deficit a livello
dell’attenzione condivisa potrebbe influenzare il successivo sviluppo del linguaggio, della
comunicazione sociale e l’acquisizione della teoria della mente.
5. Un altro modello che punta a sottolineare la tenenza nell’autismo ad elaborare gli stimoli in
modo frammentario piuttosto che concentrandosi sul significato d’insieme viene chiamato
quello della coerenza centrale debole e fu studiata da Kenner. Questo tipo di modello vuole
mettere infatti in luce la difficoltà presente nei bambini affetti da autismo di dare coerenza
globale che ai significati personali e al contesto sociale. Questo tipo di fenomeno lo si è poi
notato anche per quanto riguarda il linguaggio: questi bambini sarebbero in grado di
comprendere le singole parole pur non riuscendo sempre a connetterle semanticamente o
logicamente in insiemi significativi.
6. L’ultimo modello riguardante l’autismo è quello della disfunzione esecutiva che definirebbe
l’apprendimento in generale dell’autismo come un processo caratterizzato da perseverazione e
inadeguata capacità auto regolativa, cosa che dovrebbe essere dovuta ad un’alterazione dello
sviluppo dei lobi frontali.
3. EVENTI STRESSANTI, ESPERIENZE TRAUMATICHE E IMPLICAZIONI PER LO
SVILUPPO
Al concetto di stress si attribuisce la caratteristica fondamentale di risposta dell’organismo a
richieste di modificazione e cambiamento da parte dell’ambiente che possono essere stimoli
fisici, biologici, psicosociali e in generale stimoli di natura interpersonale che vengono definiti
“stressor” (situazioni che si possono considerare alla base delle modificazioni che l’individuo
deve fornire per rispondere ad esse).
Si viene a parlare di reazioni psicofisiologiche in quanto, viene posta l’attenzione anche sulla
componente psicologica di queste risposte alle richieste di modificazione dell’ambiente e quindi
si viene a ritenere che, accanto agli stimoli ambientali, il processamento cognitivo delle
emozioni gioca un ruolo determinante nell’adattamento dell’individuo determinato dalla
presenza di stress.
E’ possibile anche fare una distinzione tra stress assoluti o reali che sono in pratica situazioni
che tutti gli individui riconoscono come stressanti e invece stress percepiti che sono situazioni
in cui è l’interpretazione dell’individuo dell’esperienza a costituire un fattore di stress. E’
presente quindi una lettura soggettiva dell’esperienza che può dare origine allo stress. Esistono
infatti 3 caratteristiche specifiche degli stressor, dovuti infatti dal rapporto presente tra le
condizioni ambientali degli stressor e le caratteristiche specifiche del soggetto che ne risponde:
- la natura. – il timing: momento o periodo evolutivo ed esistenziale della storia dell’individuo in
cui agisce lo stressor. – la durata: relativa all’evento stressante nella vita dell’individuo e cioè
la sporadicità (stress acuto) o continuità (stress cronico) del corso del tempo dell’azione dello
stress.
In generale però il mancato adattamento a fronte di una richiesta ambientale di cambiamento
definisce lo stress come potenzialmente traumatico e ciò può avvenire quando lo stress
minaccia la salute e il benessere dell’individuo rendendolo impotente di fronte a un pericolo e
cioè quando lo stress viola gli assunti di base della sopravvivenza e/o evidenzia l’impossibilità
da parte del soggetto di controllare o prevedere gli eventi.
Gli aspetti neurobiologici coinvolti nelle situazioni traumatiche sono noti come “circuito dello
stress” che comprende l’attivazioni neuroendocrine e particolari aree cerebrali che si
dimostrano sensibili e specificamente coinvolte da situazioni stressanti. L’asse HPA viene
attivato in condizioni di stress così da preparare il nostro organismo a una risposta “attacco e
fuga” che rende possibile una reazione in tempi molto rapidi a potenziali minacce, attivando
una sequenza tipica che alla fine attiverà la produzione di glucocorticoidi che è in pratica il
cortisolo che è infatti generalmente noto come “ormone dello stress”. Il ruolo dei
glucocorticoidi è quello di attivare la conversione di proteine e lipidi in carboidrati rendendo
pronto il nostro corpo a reazioni immediate e di alto valore adattivo per la sopravvivenza in
condizione di grave pericolo attraverso l’aumento del livello di cortisolo (aiuta il cervello a
metabolizzare gli zuccheri e quindi a funzionare più velocemente). Oltre al cortisolo anche la
serotnonina e gli oppioidi endogenti (neuro-ormoni endogeni)svolgono un ruolo attivo nella
risposta dell’organismo allo stress. Una disfunzione dei meccanismi che regolano la quantità di
serotonina (ormone deputato al controllo degli impulsi) può danneggiare il funzionamento del
sistema inibitorio comportamentale, con esplosioni di aggressività, impulsività o riemersione di
ricordi traumatici. Diversamente, il ruolo degli oppiodi endogeni è quello di attenuare la
risposta emotiva a stressor ambientali. L’aumento di questi neuro-ormoni è responsabile della
tipica analgesia emozionale che è uno stato in cui non si prova dolore a fronte di stress gravi e
a trauma reminders. Gli oppiodi in questo modo riducono una sofferenza psicologica
potenziamente sopraffacente e servirebbero quindi come disinnesco di risposte
comportamentali impulsive e disfunzionali.
In generale gli ormoni dello stress influenzano tre strutture cerebrali molto importanti che
hanno un ruolo decisivo nella valutazione e interpretazione delle situazioni come stressanti,
regolando l’attivazione o l’inibizione di risposte contingenti: la corteccia prefrontale, l’amigdala
e l’ippocampo. Queste strutture quindi giocano un ruolo molto impo